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La violenza dipende da un sistema economico che idolatra i soldi, dice il Papa. E sottintende che nella società moderna l’attrazione per i beni materiali sia più forte che in passato e che sia la molla delle guerre e del terrorismo. Ma grazie allo sterco del demonio il mondo non è mai stato così tranquillo. Lo dice Harvard
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di Luciano Capone | 02 Agosto 2016 ore 06:15
Roma. "Quando si mette al centro dell’economia mondiale il dio denaro e non l’uomo, questo è già un primo terrorismo. Hai cacciato via la meraviglia del creato e hai messo al centro il denaro, è un terrorismo di base contro l’umanità”. Papa Francesco nel commentare i recenti attentati terroristici ha ribadito un concetto già espresso nella descrizione delle cause della “guerra mondiale a pezzi”: la religione non c’entra, la violenza dipende da un sistema economico basato sull’idolatria del denaro. L’affermazione del Pontefice implica o sottintende che nella società e nell’economia moderna l’attrazione per i beni materiali sia più forte che in passato e che questa sete di ricchezza sia la molla delle guerre e del terrorismo. Già Max Weber, oltre un secolo fa, ricordava a chi descriveva il capitalismo come un sistema basato sull’avidità, che l’auri sacra fames non si identifica con l’economia moderna e men che meno con il suo “spirito”: l’avidità “c’è sempre stata in ogni tempo, anche quando il capitalismo non c’era”, anzi “l’affermazione del proprio interesse materiale era una caratteristica specifica di paesi il cui sviluppo capitalistico era rimasto arretrato”.
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Diversamente da Papa Francesco molti pensatori hanno visto nella “forza del denaro”, intesa come espansione del libero scambio, uno strumento per promuovere la pace (“Lo spirito del commercio non può accordarsi con la guerra e prima o dopo s’impadronisce di ogni popolo”, scriveva Immanuel Kant). E non si può dire che abbiano avuto torto. In un recente libro intitolato “Il declino della violenza”, il linguista e psicologo evoluzionista dell’Università di Harvard Steven Pinker ha spiegato – attraverso una grande quantità di studi scientifici, dati empirici e statistiche – perché quella in cui stiamo vivendo è l’epoca più pacifica della storia. L’affermazione può sembrare eccessiva, soprattutto in questo periodo in cui le città europee sono sotto la minaccia del terrorismo islamico, dal medio oriente arrivano le immagini dei massacri dell’Isis, delle vittime della guerra civile siriana e dall’Africa giungono le notizie delle stragi di Boko Haram. Ma nella storia dell’umanità le cose sono andate sempre peggio di adesso. Nonostante il mito del “buon selvaggio” resista ancora, solo 5 mila anni fa, quando l’economia non si basava sullo sterco del demonio e sul commercio ma sulla caccia e la raccolta, il 20 per cento dei membri delle tribù moriva in guerra, una percentuale che nel XX secolo è scesa al tre per cento della popolazione mondiale.
Un analogo calo ha riguardato gli omicidi, che erano un metodo di risoluzione delle controversie molto diffuso fino a qualche secolo fa, e altre forme di violenza come la pena di morte, la tortura, la pulizia etnica. Pinker non ha un approccio determinista o storicista, secondo cui la pace sarebbe il destino dell’evoluzione, ma indica tra le cause (reversibili) del declino globale della violenza l’affermazione da parte dell’occidente di quelli che definisce “i migliori angeli” della natura umana: lo stato, la ragione, l’empatia, la moralità, l’autocontrollo e il commercio. Quando le persone attraverso lo scambio, la cooperazione e il denaro hanno capito che gli altri valgono più da vivi che da morti hanno smesso di ammazzarsi. Il “dio denaro” dell’economia moderna non garantisce la salvezza eterna, ma ha contribuito a una vita terrena più pacifica. E non a caso è uno dei pilastri della civiltà occidentale che il terrorismo vuole abbattere.