Pansa, l'attacco mortale ai sindaci: "Vi spiego perché sono inutili"
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La nostra Repubblica è un insieme caotico di poteri senza potere,
Giampaolo PansaGiampaolo Pansa Libero, 7.12.2015
Il sistema è morto e i sindaci vanno ko. Che cosa sia il sistema lo sappiamo tutti. È l' insieme dei partiti politici e delle istituzioni che la Casta dovrebbe far funzionare in un modo decente. Dalle strutture più grandi, a cominciare dalla presidenza della Repubblica e dal governo nazionale, per finire a quelle di secondo livello, le regioni e i comuni.
Ma se il sistema tira le cuoia, è illusorio sperare che a salvarsi siano pochi o tanti dei suoi pezzi. Nessuno si salva e l' insieme diventa un cadavere da seppellire al più presto. Ne volete una prova? Il Parlamento, ossia il Senato e la Camera in seduta comune, ha l' obbligo di eleggere i tre membri che mancano alla Corte Costituzionale. Non è un compito impossibile. Basta trovare un accordo e poi votarli. E invece che cosa accade? Siamo arrivati a un numero strabiliante di votazioni senza esito. Uno dei giudici designati si è ritirato dalla gara, disgustato.
Il 14 dicembre, dopo che i signori senatori e i signori deputati si saranno goduti il ponte dell' Immacolata, verrà fatto l' ennesimo tentativo. Se anche quello fallirà, si continuerà a votare senza sosta. Il presidente Grasso e la presidente Boldrini hanno precisato che i tre giudici dovranno essere eletti entro la fine del 2015 e non un giorno dopo. Forse senza rendersi conto che, nel caso si tratti di un ultimatum destinato a fallire, otterrà l' unico risultato di rendere ridicole le due eccellenze.
Un vecchio motto recita: ne uccide più il ridicolo della spada. Sarà questa la fine del sistema politico e istituzionale italiano. Vogliamo dirci la verità, senza ipocrisie e fuori dai denti? La nostra Repubblica è un insieme caotico di poteri senza potere, che soltanto una dittatura militare sarebbe in grado di rimettere in ordine, forse. A scanso di equivoci, dichiaro di non auspicare nessun colpo di Stato. Constato e basta.
Del resto temo che neppure generali e colonnelli ce la farebbero a rimediare al disastro italiano. Per di più in un' epoca come questa che, tra i tanti guai, presenta un rischio che non avevamo mai incontrato. È il terrorismo stragista islamico, uno spettro che si aggira per l' Europa e può mandare all' altro mondo un numero terribile di innocenti. Obbligando i governi a dimettersi e avvelenando la convivenza civile.
Viviamo tutti alla giornata e sui carboni accesi. È una verità indiscutibile che rende grottesche le manovre della Casta per decidere chi sarà il sindaco di Milano, di Roma, di Napoli, di Torino, di Bologna e di altre città. Quale senso hanno queste battaglie di carta? Nessuno. È importante che nei grandi municipi sieda il signor X o la signora Y? No, poiché chiunque indossi la fascia tricolore conterà sempre come il due di picche e finirà ko. Al cospetto di un demonio che vuole la fine del nostro sistema di vita.
Un tempo non era così. Le prime elezioni amministrative del dopoguerra si tennero nella primavera del 1946. Fu una grande prova di democrazia. Anche le donne furono ammesse alle urne, grazie a un decreto reale del febbraio 1945. Prima di allora il voto era un diritto esclusivo dei maschi. «Come il pisciare in piedi» sosteneva beffarda una nostra vicina di casa. Il decreto ebbe l' effetto immediato di raddoppiare il corpo elettorale, da 11 a 23 milioni di iscritti alle liste. Nella mia piccola patria monferrina, l' affluenza alle urne si rivelò molto alta: il 71,6 per cento.
Un' utopia nell' Italia del 2015, assenteista e nemica della politica. Il vincitore, ossia il sindaco eletto, era osservato con rispetto anche dagli avversari. Poiché tutti sapevano che rimettere in sesto una città dopo cinque anni di guerra era un mestiere da non augurare al peggior nemico.
I duelli di oggi, destinati a sfociare nel voto amministrativo della primavera 2016, hanno tutto un altro sapore.
Sta per iniziare una guerra assurda per la conquista di un potere inesistente, tranne per la parte che può trasformarsi in una serie di affari, si spera leciti. Milano era governata da un buon sindaco rosso, Giuliano Pisapia, legato al mondo di Sinistra ecologia e libertà, il partito guidato da Nichi Vendola. Pisapia aveva il diritto di ripresentarsi alle urne e sarebbe stato di certo rieletto. Ma per qualche motivo che anche i suoi elettori ignorano, ha fatto sapere in anticipo di non voler ritornare a Palazzo Marino.
Il sindaco uscente ha designato un' erede: l' assessore Francesca Balzani. Questo ha aperto la guerra all' interno del Pd. Matteo Renzi, il premier pigliattutto, ha puntato sul capo dell' Expo 2015, Giuseppe Sala, un manager perfetto per il futuro Partito della nazione. La battaglia di Milano sarà tutta interna ai democratici, così sembra. Il centrodestra non ha ancora un candidato. Paolo Del Debbio, il conduttore televisivo di "Quinta colonna", sostiene di non essere stato mai contattato da nessuno del giro Berlusconi, Salvini & C. Sarà vero? Come succede in guerra, anche nelle campagne elettorali vale un motto antico: «Più balle che terra».
Per la seconda capitale italica, Roma, lo scenario è tragico. Ignazio Marino si è lasciato alle spalle una metropoli in sfacelo, coperta di debiti, senza nessuna autorità in grado di occuparsi almeno della normale amministrazione. Tronca, il commissario prefettizio, è riuscito ad allontanare dal Colosseo i falsi centurioni che pelavano i turisti. Ma venerdì 4 dicembre ha fatto il suo primo passo falso.
Ha deciso le targhe alterne proprio nel giorno di sciopero dei mezzi pubblici. Risultato? Un disastro.
Nessuno sa dire chi saranno i candidati sindaci. Alfio Marchini è pronto a competere, ma non capisce se potrà farlo per il centrosinistra o per il centrodestra. Renzi finge che non esista, lo sfotte come un premier non dovrebbe mai fare. E si vede ricambiato il ceffone. L' energica Meloni spasima di gareggiare, ma non le basteranno certo i voti dei Fratelli d' Italia e di qualche volonteroso supporter. Esiste il rebus della candidatura dell' ex sindaco Marino. Per il Pd si fa il nome di Fabrizio Barca, eccellente persona, ma forse non adatto a uno scontro senza regole, un Far West de noantri.
A Napoli l' unico a essersi candidato è il sopravvissuto Antonio Bassolino, disposto a affrontare le primarie del Pd. Ma i renzisti stanno già dicendo che gli ex sindaci non possono più presentarsi. A Torino il collaudato Piero Fassino è insidiato da una giovane dei Cinquestelle, brava e testarda: Chiara Appendino. In realtà, il partito di Beppe Grillo è un colosso che incombe sull' intero voto amministrativo. Il comico pentastellato sarà il vero king maker del voto di primavera.
L' unico in grado di prendere decisioni decisive. E questo non è soltanto un banale gioco di parole. Il solo a restarsene al sicuro è il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta. Nell' isola non sono previste elezioni, almeno per il momento. Anche per questo il presidente siculo, un vero mago che ama i colpi di scena, se n' è uscito con una proposta stupefacente: «Mandatemi in Libia come inviato dell' Onu.
Conosco bene quel territorio e sono l' unico al mondo in grado di portare la pace fra le tribù e sconfiggere il Califfato nero».
Come si vede, sostenere che il sistema è morto, e i sindaci sono inutili, non è soltanto il titolo di un Bestiario.
Giampaolo Pansa
Categoria Italia