Ferretto: «Vi spiego Zonin e lo scandalo della BpVi»
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Sulla popolare troppi silenzi. E l'ombra dei poteri forti. Dal Vaticano a Bankitalia. Parla Ferretto, ex vicepresidente della banca: «Zonin faceva paura».
di Giovanna Faggionato | 02 Ottobre 2015 Lettera43
«Fanno scaffali, vero?», chiede il tassista quando gli viene comunicato l'indirizzo da trovare tra le file parallele di capannoni che si susseguono appena fuori dal centro storico di Vicenza.
Gli serve conoscere il prodotto più che il numero civico per arrivare in pochi minuti nel quartier generale di Ferretto group, società di produzione di sistemi automatici di magazzinaggio da 50 milioni di fatturato l'anno.
Il titolare, Gian Carlo Ferretto, è l'ex numero uno di Confindustria Veneto ed ex vicepresidente della Banca Popolare di Vicenza (azionista di Lettera43.it), il decano degli industriali cattolici della provincia 'sacrestia' d'Italia.
DURE CRITICHE AI VERTICI DI BPVI. Il Commendatore, come lo chiamano i suoi impiegati, ha usato parole molto dure sulla gestione dell'istituto di credito popolare, finito nel mirino della procura dopo aver segnato una perdita record da oltre 1 miliardo nell'ultima semestrale e aver svalutato le sue azioni del 23% dopo anni di aumento costante del loro valore.
«Mi sorprende la lentezza di Guardia di finanza, magistratura e Banca d’Italia rispetto alla situazione della Popolare di Vicenza: le denunce di soci e clienti erano partite da anni, che certe cose fossero poco chiare si sapeva ad alti livelli, ma ci si è mossi tardi», ha dichiarato a poche ore dalla grande assemblea annuale di Confindustria del 28 settembre. E dalla sua scrivania ripete la denuncia, raccontando di un sistema di potere che conosce molto bene.
«DOVE ERA LA BANCA D'ITALIA?». «Dove era la Banca d'Italia quando Bpvi ha fatto un aumento di capitale sociale da oltre 1 miliardo di euro? 'Non abbiamo bisogno di mettere a posto i nostri conti', ci dicevano. Avevano pensato di comprare Veneto Banca, avevano pensato di comprare banca dell'Etruria... Ai soci che dovevano mettere i soldi era stato presentato come un progetto di espansione. E invece chi ha investito per un programma di crescita, si trova depauperato perché i suoi soldi sono serviti a tappare i buchi. Dove era il controllo di gestione di quella banca?»
DOMANDA. Secondo lei di chi sono le responsabilità, di Zonin?
RISPOSTA. Troppo facile dare la croce a Zonin, adesso. Certo ha le sue colpe, ma non è solo lui che la deve portare. C'è stata un'omertà, un silenzio, un'acquiscienza. Come si faceva a pensare che tutte le banche popolari crollassero di valore e quella di Vicenza no? Ci sono delle responsabilità e quelle più grandi le ha la Banca d'Italia.
D. E le altre?
R. Non voglio fare accuse a singoli. Ma dico che c'è stato da parte di qualcuno omissione di atti d'ufficio. Poi da parte di chi: la direzione generale, la presidenza della BpVI, la Banca d'Italia? Sarà la magistratura a dirlo. Ma come è possibile che un istituto di credito proponga un aumento di capitale sociale finalizzato a potenziare il patrimonio per progetti d'espansione quando già c'era il preavviso che dovevano svalutare le azioni?
D. Quando la sorveglianza è passata in mano alla Bce si è aperto il vaso di Pandora.
R. Quale dei due è il sistema che funziona? E perchè a un certo punto Bankitalia si è adeguata? Chi c'era a dare consigli all'amministrazione della Banca Popolare di Vicenza? Quali erano i consiglieri che pesavano in quel momento? Sappiamo che c'era un vicepresidente che si chiama Andrea Monorchio (l'ex numero uno della Ragionieria dello Stato, ndr).
D. È ancora al suo posto, veramente. E cosa vuole dire con questo?
R. Dico solo che siede nel Consiglio di amministrazione. E ci è andato per costruire una rete di alleanze, conoscenze e rapporti che in qualche modo possono 'aiutare'.
D. In che modo?
R. Nel bene per la gestione l'azienda, nel male a tenere la polvere sotto al tappeto se hai qualcosa da nascondere. Non so se sia questo il caso, ma è così che solitamente funzionano le cose.
D. Stiamo parlando di un istituto di credito partecipato da centinaia di migliaia di cittadini, da grandi famiglie imprenditoriali, negli anni nel consiglio di amministrazione si sono succeduti esponenti della classe dirigente locale. Come è possibile non si siano levate voci critiche sulle decisioni in merito al valore delle azioni, sugli aumenti di capitale continui?
R. È un processo che ha coinvolto tutte le banche popolari non quotate: noi risparmiatori abbiamo sbagliato, le abbiamo considerate la mucca da mungere. Ogni anno compravi le azioni, distribuivano i dividendi, ci mettevano lì la monetina e aumentava il valore dei titoli. Io per primo ho fatto questo errore.
D. Quanti titoli ha di Banca Popolare?
R. Io ho investito in Veneto Banca: ho 150 mila azioni. E quindi mi trovo a leccarmi le ferite. Da tre anni chiedo di vendere. Dovevamo capirlo: mentre i titoli delle banche quotate scendevano, quelli di Veneto Banca e della Popolare continuavano a crescere. Eravamo come drogati. 'Siamo un sistema protetto', 'Teniamo in piedi il territorio', ci ripetevano, e ci davano continue e tranquillanti informazioni.
D. In parte il territorio ne ha beneficiato.
R. Va dato atto che se il Nord Est ha retto lo si deve anche alle banche popolari che, mentre le altre chiudevano i rubinetti, hanno continuato a erogare credito. Lo sviluppo dell'economia reale c'è stato. Ma distribuivamo utili che di fatto non avevamo e che non avevano. E incrementavano di un valore le azioni senza che ci fosse un corrispondente effettivo.
D. Nelle assemblee dei soci nessuno chiedeva spiegazioni, nessuno contestava?
R. Io sono stato vicepresidente della banca. Ma facevo parte della vecchia gestione. Quando il cavaliere del lavoro Zonin ha puntato alla presidenza, io mi sono dimesso e non mi sono più presentato per 20 anni.
D. Perché?
R. Perchè non ero d'accordo con la sua impostazione. All’epoca vi fu uno scontro tra due linee strategiche: io condividevo l’ipotesi di una aggregazione con banche del territorio per fare una grande banca locale, Zonin puntava sull’autonoma crescita della Popolare di Vicenza. E voleva a tutti i costi diventare presidente della banca.
D. E alla fine c'è riuscito nel 1996.
R. È stato molto scaltro. Del resto è un uomo abilissimo, un grande imprenditore. È riuscito a gestire l'assemblea creando una spaccatura interna e così è riuscito a farsi eleggere. A posteriori posso dire che avevamo ragione noi, cioè quelli che si opponevano alla sua scalata.
D. Chi c'era con lei?
R. Giseppe Nardini, che era presidente, e Luciano Gentilini, direttore generale. Allora c'eravamo resi conto che una banca locale era importantissima, ma nel contesto che si stava sviluppando bisognava aggregarsi. Avevamo puntato sulla fusione con la Popolare di Padova: sede legale a Padova, ma tutta l'operatività a Vicenza. Era un bel disegno. Superavamo il campanile e cercavamo di creare un sistema finanziario forte.
D. Cosa non ha funzionato?
R. Abbiamo fatto un errore tattico. Abbiamo tenuto il discorso tra pochi intimi, perché volevamo mettere a punto i dettagli. E quando è uscita la voce si è detto che volevamo fare l'operazione sulla testa dei soci. Zonin ha strumentalizzato l'assemblea. E ha vinto chi difendeva la 'vicentinità'.
D. Adesso siamo al punto di partenza?
R. Sì, io spero che la soluzione alla situazione di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza sia la creazione una grande banca veneta. Non una banca paesana, ma locale, radicata in questa terra particolare che è il Veneto.
D. Serve ancora una banca locale?
R. Mr Diesel, Renzo Rosso, dice che bisogna essere globali, che serve un grande gruppo istituto di credito con filiali sul territorio. Ma se poi quelle filiali non hanno effettiva autonomia a un certo momento i poteri forti esterni possono prendere il sopravvento. E io ho paura dei poteri forti.
D. Ma Zonin non è stato a suo modo un potere forte?
R. Un potere fortissimo.
D. Da come la raccontano in tanti, sembra che il potere personale di Zonin non trovi argini: è realistico?
R. Io le dico che un po' per il suo carisma, un po' per la sua personalità, un po' per le grandi alleanze che è sempre riuscito a realizzare nella sua vita, Zonin è un uomo intelligente e di potere illimitato.
D. Alleanze di che tipo?
R. Dalla presidenza della Repubblica al Vaticano, tanto per dire.
D. Intende la vecchia presidenza della Repubblica?
R. Eh sì. Zonin è un uomo che sa intessere le relazioni, non avrebbe neanche bisogno della presidenza della banca. Ma la banca gli è stata estremamente utile. Quando ero io vicepresidente avevo un compenso di circa 40 milioni di lire all'anno e oggi lo stesso ruolo con i collegati incarichi che comporta prevede compensi 20 volte maggiori.
D. Aveva alleanze anche in Banca d'Italia?
R. Certamente. È un uomo di relazione e di potere. Di grande abilità, capacità e furbizia. Basta vedere chi ha messo in alcune posizioni apicali della BpVi.
D. Ce lo dica lei.
R. Le dico solo che ci sono persone importanti.
D. E Zigliotto, il presidente di Unindustria Vicenza?
R. Qualcuno ha detto che un leader degli industriali non deve stare nel Cda della banca, ma io penso che se sta lì per fare gli interessi degli industriali il problema non c'è. E penso anche che un uomo è innocente fino a prova contraria, un avviso di garanzia non è colpevolezza.
D. Questo è sacrosanto, ma al di là della rilevanza penale, per i consiglieri non emerge almeno un problema di competenza e capacità?
R. Un consigliere di amministrazione non può vedere certe cose se non gliele fanno vedere. Basta pensare che Zonin ha denunciato l'ex direttore della banca Sorato per aver fatto operazioni a sua insaputa. E lo ha mandato a casa con i due vicedirettori.
D. Molti sostengono che questa versione non regga.
R. È una buffonata, certo.
D. È possibile che in una provincia così importante dal punto di vista industriale si sviluppi un potere parallelo così forte?
R. Il fatto è che Zonin aveva raggiunto una dimensione di potere tale che...
D. Che?
R. Che poteva fare anche paura per certi aspetti. Perché manovrava la leva del credito. Il giorno dopo la sua elezione a presidente della BpVi sono uscito dal Consiglio di amministrazione e mi sono visto revocare i fidi. Solo in seguito abbiamo ripreso i rapporti.
D. Ma come manager come lo giudica?
R. Penso abbia fatto delle cose egregie: ha portato gli sportelli della banca vicentina a un numero incredibile. Ha concentrato la sua attenzione sia nell'impresa privata sia nella banca, facendola crescere in una dimensione diversa da quella un po' paesana di Veneto Banca, che ha solo fatto crescere il tessuto territoriale.
D. Intanto Veneto Banca e Popolare di Vicenza hanno bruciato 2,5 miliardi
R. Sono due logiche diverse ma che si sono rivelate entrambe fallimentari, se poi gestisci il consenso attraverso la distribuzione fasulla di risultati e un incremento fasullo del valore economico dell'azione. Il motivo di conflitto che io avevo con Zonin in Cda è sempre stato quello.
D. Quale?
R. Il valore delle azioni. Io sostenevo che dovesse corrispondere a quello che avrei ottenuto vendendo tutto il mio patrimonio. E invece no: lui sosteneva la necessità di aggiungere il valore di avviamento, cioè oltre al patrimonio netto il calcolo della capacità di creare reddito in futuro. Ma se io devo vendere, questo reddito futuro non ce l'ho più e allora bisogna trovare un punto di equilibrio: io proponevo di farlo pagare ma scorporandolo dal prezzo dei titoli.
D. Che anni erano?
R. Vent'anni fa.
D. Banca d'Italia, infatti, nel 2001 definiva il valore delle azioni non legato a criteri di oggettività.
R. E alla fine abbiamo creato una nuova povertà.
D. Si riferisce ai piccoli risparmiatori?
R. Se le mie azioni Veneto Banca sono scese del 50% - e se mi permettessero di venderle anche così le venderei subito - ho perso 3 milioni di euro su 6, ma tutto sommato riesco a reggere. Ma lei pensi a chi ha investito tutta la liquidazione, la dote della figlia, chi ci ha messo la pensione: è un disastro sociale quello che ha fatto sta gente, un disastro sociale.
D. Da quello che mi dice mi sembra che lei non parteciperà alla sottoscrizione per il nuovo aumento di capitale.
R. Never say never, dipende dal progetto. La peculiarità del Nord Est è tale che deve avere la sua banca. Ma bisogna farlo in spirito di servizio non in chiave di potere. E purtroppo le persone che siedono ai tavoli del Cda poche volte difendono l'istituzione, molte volte difendono se stessi. Ed è per questo che siamo arrivati qua.
D. Cosa intende?
R. Quando ero presidente degli industriali del Veneto avevo fatto tutto il possibile perché la Banca cattolica restasse nel Veneto. Avevo trovato i due padrini politici dell'operazione: Gianni De Michelis e Carlo Bernini. Avevo convinto le popolari di Vicenza, Venezia e Padova a partecipare a una cena nel corso della quale avevamo discusso la possibilità che tutte queste popolari messe insieme acquisissero la Cattolica. Ed era la prima pietra di un progetto molto più ampio. Lei si immagini che razza di polo finanziario poteva venire fuori.
D. Ma non è andato in porto.
R. Ero riuscito a convincerli a incontrarsi. Ma quando si sono seduti hanno litigato sulla cosa più banale.
D. Le poltrone?
R. Esatto. Tanto che Gianni De Michelis è uscito sbattendo la porta e se ne è andato. Così abbiamo perso la Cattolica.
D. La convince il progetto di fusione tra Veneto Banca e Popolare di Vicenza? Zaia si è detto disposto a far entrare la finanziaria regionale.
R. I politici fanno in fretta a fare affermazioni. Poi quando gli vai a toccare il portafoglio, spesso non hanno i mezzi. Ha il dovere Zaia di dire quello che ha detto e io condivido. Ma stiamo attenti perché due debolezze messe insieme non fanno una forza, in questo momento Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza sono forti perché poggiano su un territorio forte che cresce.
D. La popolare di Vicenza ha avuto la garanzia da Unicredit che l'aumento di capitale verrà coperto.
R. Ma a quanto?
D. Lei a quanto pensa?
R. Vuole che le dica la mia previsione: 20-25% come massimo, se c'è l'inoptato. Cioè è quello il tema: quale è il vero valore di queste banche? Dobbiamo avere la consapevolezza che è successo uno tsunami. E sarebbe bello andare a trovare i colpevoli.
D. Ma?
R. Ma la verità è che è la bolla e è scoppiata. E noi non possiamo farci niente, se non fare quadrato, piazza pulita di certe persone, aspettare e riprenderci, ripartire dall'economia che va. Quello che bisognerebbe fare è trovare un meccanismo di tutela del piccolo risparmiatore, della pensionata che ha messo lì i soldi per la dote della figlia e ora li ha persi.
D. A cosa pensa?
R. Penso a un fondo di garanzia messo in piedi attraverso gli azionisti. Dobbiamo superare il concetto della banca popolare, ma dobbiamo recuperarne l'anima cooperativa.
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