La parabola discendente di Beppe Grillo e le analogie con il “qualunquista” Giannini

Dare un’incubatrice all’estrema destra nel 1946 non rischiava di stravolgere la demografia politica. In questi tempi fertili, al contrario, è come aprire una clinica degli orrori

di Guido Vitiello 26 Agosto 2018 da il foglio.it

Beppe Grillo, assicurano da mesi informatori, pentiti e dissociati del clan dei Casaleggesi, non conta più nulla. Il vecchio padrino si sbraccia per farsi notare, mendica un riflettore o anche solo un lampione stradale, e sarà per questo che gli capita di dire – sul carcere, sull’omeopatia – cose quasi assennate, nella foga di smarcarsi dai figliocci al governo che continuano a rivendersi tra gli applausi lo sperimentato repertorio delle sue antiche fesserie. Il tramonto di questo Calvero in cerca di un’ultima gag potrebbe spremerci qualche lacrimetta chapliniana, ma basta ricompitare le sue colpe immani nella degenerazione della vita italiana per lasciarlo freddamente al suo destino.

E’ però l’ora di ripescare dal mazzo la prima carta che fu tentata, molti anni fa, per dare un modello al M5s, quella dell’Uomo Qualunque; e di osservare, nella fase calante, le vite parallele di Beppe Grillo e Guglielmo Giannini. Nella fase ascendente, malgrado le tante assonanze – alcune superficiali, altre profonde – l’analogia non mi ha mai persuaso; perché in Giannini c’era un germe di liberalismo ruspante, e il suo “formidabile, granitico, oceanico e totalitario partito PDQCNVPARLSDN, ossia Partito Di Quelli Che Non Vogliono Più Avere Rotte Le Scatole Da Nessuno”, così annunciato già nel maggio 1945, veniva dopo un ventennio di atroci rotture di scatole, dava voce a chi si era sentito trascinato con riluttanza in una “imbecillissima guerra tra dittatori gelosi” e ora aveva la nausea di tutte le retoriche civili – compresa quella antifascista.

Insomma, Giannini comparve in scena al tramonto. Grillo, al contrario, è arrivato all’alba di un nuovo ciclo, prosperando in un clima di fanatica ferocia che forse ha il suo unico corrispettivo storico nel furore antigiolittiano. Anche a Giannini il giocattolo sfuggì di mano. All’ombra dell’UQ cominciarono a metter tenda i nostalgici, e il partito – anch’esso molto lasco nel reclutamento della classe dirigente – fu “scalato”, si direbbe oggi, da un’ala apertamente neofascista. Il fondatore se ne rendeva conto, e anche se il suo disagio era tenuto in sordina dai trionfi, “si ribellava al pensiero che l’UQ potesse essere considerato come una sorta di casa d’affitto, una locanda, una camera mobiliata dove il fascismo sarebbe passato per ripresentarsi alla ribalta” (così scriveva Gino Pallotta in un vivacissimo ritratto del movimento, “Il qualunquismo e l’avventura di Guglielmo Giannini”, pubblicato da Bompiani nel 1972 con prefazione di Alberto Moravia).

Venne il tempo delle secessioni, delle espulsioni, delle lotte fratricide alle spalle del capocomico, e dalla crisi dell’UQ si avvantaggiarono gli ex repubblichini. “Almirante e Michelini, benché non da soli, stavano mandando in pensione il commediografo-giornalista fondatore del qualunquismo”, notava ancora Pallotta: “Il qualunquismo aveva fatto da incubatrice delle correnti neofasciste e ne era stato il cavallo di Troia, benché proprio Giannini, a più riprese, avesse ricusato ogni ritorno al passato”. Rileggendo i coccodrilli scritti alla morte del fondatore, nel 1960, a qualcuno fischieranno senz’altro le orecchie. Ugo Zatterin, sulla Settimana Incom, scriveva: “Infine la forza di Giannini divenne la sua debolezza. Avendo raccolto solo dei malcontenti, non aveva fondato un partito ma un antipartito; l’UQ risultò soltanto un provvisorio piedistallo per alcuni uomini che aspiravano a diventare ‘professionisti della politica’ e che, dopo averlo abbandonato, sono oggi esponenti liberali, democristiani, monarchici o missini. Andò meglio a Giannini quando tornò al pubblico del teatro, tirò fuori vecchie commedie e ne scrisse altre”.

Ancora non sappiamo come andrà a Grillo, ora che gli hanno tolto le chiavi di casa. Ma in faccende come queste il tempo è tutto, e presentarsi all’alba o al tramonto non è la stessa cosa. Dare un’incubatrice all’estrema destra nel 1946, a babbo-duce morto, non rischiava di stravolgere la demografia politica. In questi tempi fertili, al contrario, è come aprire una clinica degli orrori. Ed è appena il caso di ricordare che il settimanale L’Uomo Qualunque aveva un fratellino minore, il quotidiano Il Buonsenso. Mi pare di sentirla spesso, questa parola, dalla bocca dei malintenzionati.

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