Tra moralismo e intercettazioni, non sappiamo più che cosa vogliamo dai politici
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A prescindere dalla questione Guidi, su cui capiremo se c’è qualcosa d’altro, la verità è che questo mestiere di politico non sappiamo più maneggiarlo
di Giovanni Maddalena | 02 Aprile 2016 ore 08:00
Stavolta, Renzi è sfortunato. Il suo governo inciampa nella vicenda Guidi. Al di là delle battaglie sul ministro e sul governo, il solito triangolo giornali-magistrati-politici basato su intercettazioni fa nascere qualche domanda, oltre che sulla disciplina delle intercettazioni – soprattutto se applicate a un ministro della Repubblica – sulla figura del politico.
A giudicare dai commenti, la telefonata della ministra Guidi era scandalosa e le dimissioni il minimo del buon gusto. Dopo poche ore, la ministra passa subito nel lato oscuro della classe politica mentre il suo compagno è già condannato dai media come losco faccendiere.
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Non c’è nulla, eppure il nulla è sufficiente a far dimettere un ministro. A prescindere dalla questione Guidi, su cui capiremo se c’è qualcosa d’altro, la verità è che questo mestiere di politico non sappiamo più maneggiarlo.
Che cosa dovrebbero fare? Se sono algidi e distaccati, diciamo che non sono vicini alla gente e che sono una casta. Se si mischiano con la gente, sono presenti sul territorio, ascoltano le persone nei loro bisogni (persino il compagno!), diciamo che sono potenzialmente corrotti. Se hanno un’impresa, hanno conflitti d’interesse. Se non ce l’hanno e hanno sempre fatto politica, allora sono dei parassiti mentre bisognerebbe prendere solo persone che hanno un lavoro e non devono dipendere dalla politica. Se fanno compromessi, sono corrotti e attaccati alla poltrona. Se non fanno compromessi, sono integralisti e potenzialmente totalitari. Se viaggiano molto, spendono i nostri soldi in viaggi di piacere. Se viaggiano poco, si godono i nostri soldi senza far niente. Se fanno i bandi pubblici, ecco non la si finisce più con la burocrazia e non si decide mai. Se decidono qualcosa in via diretta, ecco non c’è mai trasparenza.
Insomma, che cosa dovrebbe fare un politico? Nella prima Repubblica era chiaro: il politico era l’espressione di una realtà territoriale o sociale che si adoperava a rappresentare, cercando allo stesso tempo di promuovere il bene di tutti. Concretamente, il politico cercava di sentire tutti i “suoi” e poi andava a trattare con gli altri. Per farlo bene, non poteva che essere un lavoro. Ben pagato, per non essere eccessivamente ricattabile.
Adesso non sappiamo più come vogliamo questi politici. Tangentopoli ci ha mostrato come il sistema si fosse pervertito ma da allora non abbiamo trovato un’immagine di politico che ci vada bene. Così passiamo dalle ondate di garantismo a quelle di legalismo, portati da un moralismo che attacca spesso solo quelli della parte politica per cui non tifiamo. Sul ruolo dei politici e sullo statuto di questa attività forse andrebbe fatta una riflessione più profonda di quella a cui siamo soliti, e magari occorrerebbe cambiare anche le regole e le leggi che li riguardano. Intanto, solo per dare un’ipotesi pragmatista: non potremmo giudicarli dai risultati? La legge che la ministra Guidi ha promosso è una buona legge o no? E chi lo deve giudicare, se non la normale battaglia politica, dalle Camere alle elezioni? In generale, il suo operato è stato quello di una buona ministra o no? Questo mi preme, mentre non mi importa affatto che lo faccia per qualche interesse, che non può che avere, come tutti gli esseri umani. In fondo, come dimostrava la vicenda Danton-Robespierre, il politico senza interessi è il più pericoloso. Per questo, prima ancora delle intercettazioni inutili, dovremmo spegnere l’inutile moralismo che alberga in ciascuno di noi.
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