Paese rovinato dall'indulgenza
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La politica giudiziaria inquinata dal pietismo endemico
di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it ItaliaOggi
C'è un punto di mediazione tra legalità e illegalità? Questa è la domanda fondamentale che dobbiamo porci noi italiani esaminando la situazione della nostra giustizia, delle norme che regolano la prevenzione e la repressione degli atti illeciti e non solo. C'è, infatti, una vasta gamma di atti amministrativi che, tendenzialmente, sfuggono all'antinomia legalità-illegalità, rifugiandosi in una estraneità che, poi, nella realtà legale non esiste.
Per spiegare dobbiamo presentare degli esempi.
Andiamo indietro nel tempo.
La regione Campania (Bassolino) aveva convenuto con le Ferrovie un trattamento di favore (cioè uno sconto importante del prezzo dei biglietti) per i pendolari napoletani della tratta Milano-Napoli. A parte l'up and down dei borseggiatori che, ai nostri giorni, utilizzano a prezzo pieno i treni ad alta velocità riversandosi, indisturbati, nelle città toccate dalla rete, per poi tornare alla base nel pomeriggio, c'è un certo numero di napoletani che lavorano a Milano e che il venerdì sera, presi dalla nostalgia, salgono sul treno, scendono nella città del Golfo per tornare al Nord la domenica sera. Ovviamente, la convenzione regione Campania-Ferrovie prevedeva un contributo a rimborso dei mancati introiti della bigliettazione integrale. Ovviamente, ripeto, la regione non pagò mai una rata di quanto le competeva (non entro nel merito della natura dissipatoria di una simile spesa per un bilancio stressato da un deficit imponente). Quindi, un bel giorno, le Ferrovie decisero di sospendere il beneficio.
Cosa fanno, gli esimi pendolari? Bloccano la linea a Orte e non per un'ora o un giorno: quasi per tre giorni. Migliaia di italiani, di tutte le età, vengono fermati a Orvieto e, oltre ai casi drammatici di bambini e vecchi, si registra anche il decesso di un'anziana viaggiatrice. La Protezione civile si prodiga con i soliti suoi elevatissimi costi. In un Paese normale si sarebbe chiamata la Guardia Nazionale in assetto di guerra perché fosse restituito ai cittadini il loro diritto di libero movimento all'interno del territorio nazionale.
Ma in Italia, quando mai. Un questore si «adopera» per convincere i manifestanti a desistere. E, quando stufi loro stessi, desistono, li fa «identificare», cioè fa prendere le generalità di quelli che si trovavano sotto mano delle forze dell'ordine. Così finisce la vicenda, senza nemmeno una denuncia penale che, tra l'altro, avrebbe facilmente incontrato qualche giudice distratto, capace di far scattare le prescrizione. Qualcosa di simile è avvenuto in Val di Susa, dove gli esimi Notav protestano duramente e considerano «persecuzione» i semplici normali atti dovuti messi in essere dalla procura della Repubblica di Torino (il tribunale, poi, è stato molto clemente).
Nel rapporto legalità-illegalità, l'indulgenza non dovrebbe avere spazi. Nemmeno l'indulgenza istituzionalizzata dalla legge Gozzini, con una serie di «benefici» che permettono ai rei di vivere tranquillamente nelle loro abitazioni anche per i reati più ripugnanti compresi la corruzione e la pedofilia. E qui che è entrato in campo il pietismo del pensiero cattolicheggiante, che ha impregnato di sé gran parte della politica giudiziaria della Democrazia Cristiana e della prima Repubblica, con l'effetto di avere una popolazione diseducata alla severità, considerata abuso anche quando è semplice, matematica applicazione di una legge giusta e doverosa. Vedrete i casi che nasceranno in relazione al nuovo reato di omicidio stradale, non appena i tribunali inizieranno ad applicare la legge che lo ha introdotto nel codice penale.
A questa categoria (l'indulgenza gratuita e controproducente) si iscrive l'atteggiamento dello Stato italiano in materia di immigrazione. Nonostante tutto ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo, i termini delle operazioni in essere a cura della Guardia costiera (la nave Diciotti sempre disarmata, con le mitragliere smontate), dalla Marina Militare, dalle altre forze dell'ordine e dai volontari delle varie organizzazioni ben retribuite (non so gli operatori) rimangono ancorati al solito permanente lassismo, quello cui siamo abituati. S'è addirittura sollevato da parte di qualcuno un caso per l'ipotesi (necessitata) di acquisire forzosamente le impronte digitali di coloro che arrivano nel nostro territorio. Da questo punto di vista, c'è stato un leggero miglioramento nella performance delle autorità, anche se i centri di accoglienza continuano ad avere le uscite e le entrate sempre aperte. In Grecia, le indicazioni dell'Unione Europea sono dirette alla realizzazione di campi di concentramento con divieto di uscita per la massa (un milione) di immigrati e rifugiati presenti in quella nazione.
Purtroppo, verrà e presto il giorno in cui dovremo fare i conti con le nostre inefficienze, le nostre indulgenze, la nostra perdita del senso di separazione invalicabile tra legalità e illegalità. Il medesimo modo di gestire le attività antimafia presenta buchi larghi come voragini e non si capisce come la Confindustria non sia riuscita a porre un taglio, una separazione indiscutibile tra se stessa e quei membri autorevoli (siciliani) dell'organizzazione (e loro «amici») oggetti di indagini dalle varie procure antimafia. Nessuno se ne incarica, tutti constatano la gravissima perdita di credibilità e di affidabilità della rappresentanza di parte dell'imprenditoria italiana. Fra l'altro, Eni, Ferrovie, Enel i grandi operatori pubblici che sono parte sostanziale della Confindustria si adagiano nella situazione e non pretendono azioni coerenti con la dichiarata aspirazione alla legalità. Cantone (se non lo fanno Renzi, Alfano e Guidi) potrebbe valutare la situazione.
Nessun ponte può essere gettato, appunto, tra legalità e illegalità. E coloro che lo tengono aperto (un ponte) sono a tutti gli effetti complici del crimine. Certo, all'atto pratico occorre la ragionevolezza. Ma, in questo caso, la ragionevolezza può solo significare intransigenza.