L'Onu è al servizio dei grandi
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E gli interessi italiani non sono sicuramente tutelati
( Masseria siciliana foto) di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it Italia Oggi 19.3.2016
Benché le Nazioni Unite abbiano dato il loro imprimatur a un governo di unità nazionale libico, i parlamenti di Tobruk e di Tripoli non lo hanno riconosciuto e gli hanno negato la fiducia. Il tragico gioco dell'oca che si sta giocando sul tableau libico da quando il presidente francese Sarkozy, con l'appoggio di Obama, iniziò la guerra a Mu'ammar Gheddafi, rimane sempre ancorato alle prime caselle e, sistematicamente, se fa qualche passo in avanti è subito costretto a fare marcia indietro.
Nel frattempo, chi c'è, c'è: Francia, Regno Unito, Stati Uniti ed Egitto sono presenti con le loro forze speciali e appoggiano tribù fidelizzate con quattrini e armi e le sostengono nelle loro operazioni militari. Nella scelta di tattica e strategia, gli uomini dell'Occidente hanno un peso determinante, in modo da far sì che la carne da cannone anti-Isis sia locale e operi secondo le loro direttive. Quindi, una situazione fluida, dalla quale emergono alcuni dati sostanziali non più revocabili in dubbio.
Il primo riguarda le Nazioni Unite. In modo smaccato hanno dimostrato di essere ciò che sono: una istituzione cartolare, incapace di operare con un millimetro di autonomia rispetto alle grandi potenze che la controllano, Stati Uniti, Russia e Cina. Non c'era alcun interesse nelle grandi potenze a dare consistenza a un ruolo Onu nello scacchiere. L'obiettivo reale è gestire l'attuale caos per conseguire vari obbiettivi. Ne ricordiamo alcuni, alla rinfusa. Definizione di zone d'influenza politica ed economico. Spartizione delle risorse petrolifere. Estromissione dell'Italia e dell'Eni. Statuto federale o divisione del territorio in tre Stati. Logoramento dell'Isis per mezzo dello scontro con le tribù filo-occidentali.
Se questo è, in sintesi, lo stato dell'arte, dobbiamo porci un'unica domanda: e noi, Italia, dove siamo? Siamo fuori, anche se, nella loro infinita bontà gli Stati Uniti continueranno a patrocinare la nostra presenza, almeno finché sarà patrocinabile, cioè sino a quando, all'occhio del mondo, la nostra incapacità di decidere e agire coerentemente sarà stata talmente evidente da sconsigliare qualsiasi difesa di una presunta causa italiana. La storia nasce da lontano: da un presidente del consiglio (Silvio Berlusconi) distratto dalle attività amatorie di Palazzo Grazioli e, perciò, incapace di cogliere i segnali di tempesta che stavano addensandosi sul capo dell'alleato Gheddafi. Che, intendiamoci, non era alleato di Berlusconi ma della Nazione Italia.
La debolezza politica e mentale (nel senso della capacità di elaborare idee politiche e di metterle in pratica) del premier ha fatto sì che non riuscisse a esprimere nessun atto politico significativo contro l'operazione Libia avviata da Stati Uniti e Francia. Intendiamoci: il fatto compiuto dell'attacco non si sarebbe potuto verificare con un primo ministro partecipe dell'establishment euro-atlantico, attento all'evolversi del quadro politico, autorevole a casa e all'estero. E il deficit di autorevolezza di Berlusconi ha naturalmente coinvolto il suo ministro degli esteri Frattini, più gran comis che politico a tutto tondo. Gli eventi domestici di luglio-novembre 2011, con l'incredibile pronunciamiento di Draghi (e Trichet) avrebbero confermato che del governo legittimo italiano si sarebbe potuto fare impunemente strame per intrinseca, irrecuperabile debolezza. L'accaduto non può essere liquidato con un'alzatina di spalle perché riguarda Berlusconi. La verità è che ha riguardato il primo ministro italiano ieri e può riguardare il primo ministro italiano oggi e domani. E già, in qualche misura, è avvenuto, proprio in Libia, poiché le operazioni militari occidentali sono in corso da mesi e noi stiamo a guardare con lo stupido alibi, di cui ci riempiamo la bocca, della decisione Onu e della chiamata di un governo legittimo.
Non è detto che la decisione di Renzi di non intervenire sia una cattiva decisione. Per tante ragioni, la prima delle quali riguarda la mancanza della forza finanziaria necessaria per sostenere una missione, dei cui costi iniziali possiamo essere consapevoli, ma i cui costi definitivi e finali sono un'incognita di diversi miliardi. La seconda è l'eccessiva tensione che le missioni internazionali (inutili, salvo che per i soldi di missione che vengono distribuiti al personale militare) eccessivamente numerose, nelle quali siamo impegnati provocano logorio di uomini e di mezzi. Recuperare almeno 5 mila uomini da schierare sul terreno (se fossero 5mila ce ne vorrebbero almeno 15 mila per garantire le turnazioni) è un'impresa ardua. Se poi pensiamo alle macchine da guerra di cui disponiamo, per esempio, le due portaerei (Garibaldi e Cavour) e al costo orario delle navi e degli aerei eventualmente impiegabili troviamo orribile conferma che questo è il Paese che fu di Franceschiello, i cui ammiragli ordinavano agli equipaggi di fare ammuina (far chiasso) per far testimoniare ai nemici la loro esistenza. Nell'Italia prudente di Renzi, non ha trovato posto nemmeno il dispiegamento di una squadra navale con una delle due portaerei, al solo scopo di mostrare la bandiera che, nel linguaggio diplomatico significa mostrarsi presenti e disposti a difendere le proprie ragioni.
Rispetto al passato, c'è da dire che il ministero della difesa italiano, per merito della Nato e dei collegi militari americani, ha formato una classe dirigente di militari all'altezza dei compiti per preparazione e per capacità di comando, soprattutto nella Marina Militare. Ma questo non basta, naturalmente. Non basta per trasformare l'elefante burocratico di Palazzo Baracchini, gravato di un eccesso di alti ufficiali, in uno snello comando adatto ai nostri tempi. E la povera ministra Roberta Pinotti non poteva (né voleva) incidere sulla piramide troppo allargata alienandosi le simpatie degli alti papaveri delle varie forze armate. A questo punto, è meglio aspettare ancora, dando incarico agli uomini di Marco Minniti di lavorare discretamente sul territorio mettendoci in condizione di approfittare degli errori altrui. I nostri cosiddetti alleati faranno errori e ne faranno tanti tanto che non è detto che non riescano a trasformare una forza incerta e contestata come l'attuale Isis in Libia, in una forza unificante e combattiva capace di umiliare le potenze occidentali.
Per carità di patria, gettiamo nel cestino informatico le bellicose, ripetute dichiarazioni di Gentiloni e della Pinotti, chiaramente fuori dalla linea politica del primo ministro che, realista com'è, ha misurato i passi sulle proprie debolezze, più che sulle proprie non testate forze.
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