La burocrazia italiana non ce la fa a gestire più spesa pubblica

Il dibattito è pura teoria. Basterebbe verificare il tempo che impiega Invitalia a finanziare una start-up

 di Edoardo Narduzzi Italia Oggi 15.3.2016

Lo confesso: dello strampalato dibattito che da mesi accompagna le richieste di rilanciare la crescita del pil aumentando la spesa pubblica, cosiddetta maggiore flessibilità sui parametri del deficit statale rispetto ai trattati europei, ciò che mi lascia più basito è la totale assenza di ogni valutazione sulla capacità e sulla qualità della pubblica amministrazione italiana di saper gestire pro sviluppo l'eventuale maggiore spesa pubblica.

Il dibattito è pura teoria. Basterebbe verificare il tempo che impiega Invitalia a finanziare una start-up; gli anni che servono al Ministero dello sviluppo economico per liquidare un progetto di ricerca; la situazione da tangenti «a pioggia» fatta emergere dalle inchieste della magistratura in Anas (non riguarda la nuova gestione Armani che appare seria); la situazione da terzomondo della linea C della metro di Roma, l'unica che a un decennio dalla prima pietra non conosce alcuna stazione di scambio; la variante di Valico inaugurata da Renzi ma iniziata con il primo governo Prodi; il Mose di Venezia; il nuovo terminal dell'aeroporto di Fiumicino che a Dubai avrebbero realizzato in un quinto del tempo. Inutile girarci intorno: l'Italia non dispone di una burocrazia in grado di operare con i tempi e la qualità media dell'Eurozona e capace di attuare politiche pro cicliche in favore della crescita.

Il Ministero dello sviluppo economico ha impiegato oltre due anni per dare attuazione, per altro male, al credito di imposta sulle assunzioni di personale tecnico-scientifico altamente qualificato per attività di ricerca, nel frattempo le imprese che hanno investito pensando di interagire con una amministrazione europea hanno pagato dazio. Pensare o sperare che la pubblica amministrazione italiana possa ben gestire la maggiore spesa pubblica a lei affidata per stimolare la crescita significa non voler fare i conti con la realtà. Si può anche decidere di fare più deficit pubblico ma non ci si può illudere che tale manovra abbia un qualche effetto sul pil. Più semplicemente si tradurrà, tra qualche anno, in una pressione fiscale ancora più elevata. Per far crescere il pil va ridotta la dimensione della macchina pubblica e diminuito il numero delle funzioni a lei affidate. Con questa pubblica amministrazione di scarsissima qualità operativa è molto meglio ridurre le imposte, anche finanziando in deficit la manovra, che non aumentare il livello della spesa pubblica intermediata dalla burocrazia. Questo lo sanno bene a Bruxelles e ancora meglio alla Bce di Francoforte ed è la ragione principale per la quale non sono disponibili a cedere alle sirene della buona e giusta flessibilità per la finanza pubblica che vogliono far gestire più spesa pubblica ad una pubblica amministrazione colabrodo.

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