Quando il Pci mentiva sui soldi a l'Unità e tangenti
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Finanziamenti «deprecabili». Oro dai sovietici. L'Unità con 75 miliardi di debiti. Un libro riporta i verbali delle direzioni del partito di Berlinguer e Napolitano.
di Alessandro Da Rold | 10 Marzo 2016, Lettera43
C'è un libro da poco uscito che svela i retroscena del Partito comunista italiano (Pci) tra gli Anni 60 e 80.
E che sbugiarda quella ''diversità comunista'' rispetto agli altri partiti sbandierata in Italia e incentrata sulla famosa ''questione morale''.
Partendo dal confronto interno tra Enrico Berlinguer e Giorgio Napolitano, ma arrivando soprattutto ai fondi neri dell'Unione sovietica, alla gestione fin troppo allegra dei conti del partito e alle folli spese per il quotidiano l'Unità, il saggio contribuisce a ricostruire l'eredità storica dei padri fondatori di quello che oggi è diventato il Partito democratico di Matteo Renzi.
VERBALI DELL'ISTITUTO GRAMSCI. Il titolo è Botteghe Oscure. Il Pci di Berlinguer & Napolitano (edizioni Ares).
Lo ha scritto Ugo Finetti, ex Partito socialista, già vice presidente di Regione Lombardia, storico, autore negli anni di diversi manuali sul Pci.
È una ricostruzione precisa che permette di comprendere la storia d'Italia di quel tempo, con fonti dirette, cioè i verbali messi a disposizione dall'Istituo Gramsci negli ultimi anni.
IL RICONOSCIMENTO DI NAPOLITANO. Non è un caso che l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano abbia ricevuto il libro e risposto a Finetti, ringranziandolo per aver ricostruito «con grande attenzione il confronto interno al Partito comunista tra gli Anni 60 e la scomparsa di Berlinguer».
Un riconoscimento storico importante quello del 'Migliorista', che conferma una volta di più quanto riportato nel libro, manuale che analizza fin dal principio la dialettica interna sulla questione morale che Berlinguer poi fissò in un'intervista a Eugenio Scalfari il 28 luglio del 1981.
RE GIORGIO FU ESTROMESSO. Quell'episodio segnò uno spartiacque nel Pci, innescando prese di distanza di alcuni 'compagni' dal segretario.
Ma soprattutto portò all'estromissione di Napolitano dalla segreteria dopo un articolo scritto dal futuro presidente della Repubblica su l'Unità il 21 agosto, in occasione dell'anniversario della morte di Palmiro Togliatti: Re Giorgio poi finì a fare il capogruppo alla Camera.
SCREZIO TRA ADRIANO SOFRI E TOGLIATTI. Nei partiti a quei tempi si discuteva fino a notte fonda, tra sigarette e dialoghi accesi.
Ma c'è molto altro nel libro di Finetti. Si parla di come il Pci, anche tramite Oreste Scalzone di Autonomia operaia, abbia intercettato il voto del movimento studentesco alla fine degli Anni 60.
C'è pure un aneddoto su uno screzio tra Togliatti e un giovanissimo Adriano Sofri alla Normale di Pisa, anno 1964.
Con 'Il Migliore' che parlava della posizione «legalitaria» del Pci alla fine della Seconda guerra mondiale e venne interrotto dal 22enne che diventò poi leader di Lotta continua.
«Prova tu a fare la rivoluzione», gli disse Togliatti. «Ci provo, ci provo», rispose Sofri.
DAL COMPROMESSO STORICO AL CASO MORO. Nel saggio si parla di compromesso storico e del caso Moro.
In particolare viene analizzato un dubbio mai del tutto chiarito su quanto il partito fosse autonomo oppure eterodiretto da Mosca.
Certo, come scrive Lodovico Festa su il Giornale, «Finetti non è un osservatore neutro, essendo stato uno dei più rilevanti dirigente del Psi di Bettino Craxi, impegnato nel contrastare l'antisocialismo diffuso nel Pci».
Ma nel libro a parlare sono soprattutto i compagni, durante i comitati centrali e direzioni dove spesso alcuni, per non affrontare tematiche spinose, si assentavano e scomparivano.
Favorevoli al finanziamento pubblico e all'oro di Mosca
Il pezzo forte è senza dubbio l'appendice dove vengono documentati i fondi occulti del Pci, le tangenti, la cosiddetta «amministrazione straordinaria», con versamenti sovietici e di aziende italiane.
Anche qui l'analisi è profonda: si parte dalla presa di posizione favorevole nel 1970 di Armando Cossutta, all'epoca responsabile amministrativo del Pci, «alla proposta di intervento pubblico finanziario nei confronti dei partiti» che poi fu ratificata dal parlamento nel 1974.
Viene poi documentato il timore che la situazione disastrata dei conti fosse una conseguenza nata dai dissidi con i sovietici, non più disponibili a finanziare i comunisti italiani come una volta.
GLI INTROITI IN NERO ERANO IL 67,7%. Ma c'è molto di più, come si evince dalle direzioni nel partito nel 1973, quando nella relazione di Guido Cappelloni (braccio destro di Cossutta) venne evidenziato come il dato più preoccupante era «quello dell'amministrazione straordinaria che riguarda gli introiti in nero, cioè senza specificare la provenienza».
Una percentuale «altissima», spiegò Cappelloni: «Il 67,7%».
BERLINGUER: «DIRE LA VERITÀ? NO». E sempre in riferimento alla questione morale ci sono le prese di posizioni di Berlinguer, come quella del 1975, quando a Parma scoppiò lo scandalo delle tangenti che avevano coinvolto esponenti comunisti.
Durante una segreteria nazionale convocata d'urgenza, Berlinguer disse: «Occorre ammettere che ci distinguiamo dagli altri non perché non siamo ricorsi a finanziamenti deprecabili, ma perché nel ricorrervi il disinteresse personale dei nostri compagni è stato assoluto».
Oppure ancora, un episodio durante la direzione del 28 settembre del 1979.
Di fronte alle preoccupazioni di Natta sulla situazione delle casse, con un buco di quasi 17 miliardi, l'ex segretario sembrò scosso.
«Dire la verità al Partito? Non possiamo mettere tutte le cifre in piazza».
L'UNITÀ SULL'ORLO DEL FALLIMENTO. E infine c'è la situazione de l'Unità, il quoltidiano fondato da Antonio Gramsci. Drammatico è il racconto della direzione del 10 luglio 1984.
Le perdite erano pari a 75 miliardi. E l'allora direttore Emanuele Macaluso spiegava: «La situazione debitoria vera non si è mai detta pubblicamente perché ciò avrebbe portato a richieste di fallimento».
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