Sigonella, quando Craxi depistò le intercettazioni Usa
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Il braccio di ferro con Washington. La fuga da Palazzo Chigi. E quelle comunicazioni da una cabina telefonica. Così il premier italiano la spuntò sugli americani.
Il presidente americano Ronald Reagan con il presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi.
di Alessandro Da Rold | 02 Marzo 2016 Lettera43
Una manciata di gettoni e una cabina telefonica della Sip.
In questi tempi di polemiche per le intercettazioni della Nsa, tra i sospetti per la caduta di Silvio Berlusconi nel 2011, quelli su Giuliano Amato durante la strage di Ustica e i timori di essere ancora intercettato dell'attuale premier Matteo Renzi, vale la pena ricordare la storia della crisi di Sigonella nell'ottobre del 1985, quando l'ex presidente del Consiglio Bettino Craxi e i nostri servizi segreti dovettero affrontare una delle crisi diplomatiche più pesanti con gli Stati Uniti.
CACCIA ALL'AEREO EGIZIANO. Storie di spionaggio e controspionaggio, che si incrociano quando - dopo il sequestro dell'Achille Lauro da parte di un gruppo di terroristi palestinesi terminato con l'uccisione di Leon Klinghoffer (cittadino ebreo americano, ndr) - un volo Boeing 737 proveniente dal Cairo fu costretto da quattro F14 americani ad atterrare nella base aeroportuale siciliana, vicino a Siracusa.
È la notte tra giovedì 10 e venerdì 11 ottobre. A bordo di quell'aereo egiziano ci sono i sequestratori della nave da crociera insieme con Abu Abbas (rappresentante dell'Olp di Yasser Arafat, ndr), braccati dagli Stati Uniti su territorio italiano.
LA NOTTE DELLE LUNGHE TELEFONATE. Gli americani vogliono i terroristi, Craxi non cede. Sulla pista di atterraggio si creano tre cerchi intorno all'aereo, con i cababinieri italiani circondati dai Navy Seal a loro volta circondati da altri carabinieri.
Quella notte passerà alla storia come quella 'delle lunghe telefonate', tra Craxi e Michael Ledeen, all'epoca consulente della Cia e frequentatore dell'Hotel Raphael in Italia; tra lo stesso Craxi e il numero uno del Sismi Fulvio Martini; tra quest'ultimo e il colonnello Ercolano Annichiarico, di stanza a Sigonella.
Nel mezzo, il lavoro del consigliere diplomatico di Craxi, Antonio Badini, le telefonate con l'ambasciatore americano Maxwell Rabb, quelle con Arafat, con il presidente americano Ronald Reagan e il generale dei Navy Seal Carl Steiner.
Le comunicazioni? Non partirono tutte da Palazzo Chigi
Gli attori sono diversi e per affrontare quella situazione ci volle, oltre a una grande capacità diplomatica, una particolare furbizia da parte degli italiani, per non anticipare le mosse all'intelligence statunitense e israeliana.
E le comunicazioni dell'Italia non partirono tutte da Palazzo Chigi o da canali criptati dei nostri servizi segreti.
È un giallo alla John Le Carrè, con caccia statunitensi che si alzano in volo senza permesso, intercettazioni e diplomazia, un'intricata vicenda che si concluderà solo sabato 12 ottobre con un buco di alcune ore in cui Craxi scomparve dai radar per poi ricomparire alle 13.35 e dare ordine di far partire l'areo egiziano con destinazione Belgrado.
GLI USA CONTROLLAVANO I SATELLITI. Ma quella della crisi di Sigonella è soprattutto una storia che ricorda come già più di 30 anni fa gli americani, forti del controllo dei satelliti, potessero conoscere ogni mossa dei paesi alleati.
E di come gli italiani, con un certo ingegno, riuscirono invece a spuntarla con tecnologie meno sofisticate, tra cui appunto l'uso di una semplice cabina del telefono per comunicazioni strategiche.
Di quel periodo sono rimaste poche testimonanze storiche in vita.
Ma ci sono due libri che riportano a galla questa pagina importante della storia italiana, di quando Craxi «era convinto che una politica estera più autorevole avrebbe concorso a forgiare un mondo che fosse più congeniale agli interessi del Paese».
«ERAVAMO INTERCETTATI DAL MOSSAD». Uno è la Pagina saltata della storia scritto da Gennaro Acquaviva e lo stesso Badini (qui il link per leggerlo), il primo ex consigliere politico del leader del Psi.
L'altro è quello di Martini, storico direttore del Sismi dal 1984 al 1991, Nome in Codice Ulisse, un libro di memorie pubblicato nel 1999 e rintracciabile ormai solo nelle biblioteche comunali.
«A quell'epoca eravamo intercettati dagli americani ma soprattutto dagli israeliani, il Mossad era il loro cane da guardia. Michael Ledeen era un agente doppio», ricorda Acquaviva a Lettera43. «Quella delle cabine telefoniche è un storia che nasce perché Craxi sparì a metà mattinata di sabato 12 e ricomparve solo nel primo pomeriggio: in quelle ore si sosteneva andasse in giro per Roma a cercare cabine telefoniche con cui comunicare per non farsi intercettare».
Gettoni e cabine telefoniche per depistare americani e israeliani.
Ma non fu solo il presidente del Consiglio a usare tecnologie meno avanzate per comunicare con i protagonisti che in quel momento stavano gestendo la crisi di Sigonella.
Lo stesso Martini, nel suo libro, spiega di aver usato la Sip, sfruttando gettoni e cabine telefoniche per depistare le intercettazioni di americani e israeliani.
Racconta Martini, ricordando la notte tra giovedì e venerdì: «Il mio antagonista americano, il generale Steiner, era un privilegiato; aveva le notizie in tempo reale, parlava con gli Stati Uniti via satellite su strane apparecchiature che codificavano e decodificavano in tempo reale le sue parole. I miei sistemi di comunicazione, invece, erano più ruspanti: in buona parte si appoggiavano alla rete telefonica della Sip. Finì tutto all'alba. Noi italiani eravamo stanchi ma anche un po' euforici. Confesso che in un certo senso ci sentivamo come se avessimo vinto una battaglia».
LA 'FUGA' DI CRAXI. La vicenda continuò anche l'indomani, con la partenza del Boeing egiziano per Ciampino. Poi - tra le solite centinaia di telefonate - la vicenda si concluse il sabato, con la misteriosa scomparsa di Craxi per alcune ore e la ripartenza dell'aereo cercato dai Navy Seal.
Scrivono Acquaviva e Badini rispetto a quella mattinata: «Fu in quel momento che chi lavorava nella sede del governo dovette constatare che il presidente del Consiglio non era più nel suo ufficio ed era improvvisamente scomparso. Craxi, infatti, era uscito in macchina dal palazzo alle 11.30, senza preavvertire nessuno e senza comunicare la sua destinazione; dovemmo poi tutti rilevare che il presidente rimaneva muto e 'ignoto' per le successive due ore a qualsiasi chiamata telefonica, anche a quelle che gli venivano trasmesse dal centralino del governo sulla linea riservata della sua macchina».
LA PARTENZA DEL BOEING. Solo più tardi, alle 13.35, «fu lui stesso che telefonò direttamente a Gennaro Acquaviva per comunicargli seccamente di aver parlato con i segretari dei partiti che componevano la maggioranza di governo informandoli dell’avvenuta conclusione della vicenda e della sua decisione conseguente: di aver cioè autorizzato, da quel momento, la partenza dall’Italia dell’aereo egiziano con le persone che trasportava».
Sigonella è ancora adesso una crisi diplomatica che viene citata da chi sostiene che Craxi sia stato messo fuori gioco dagli americani sotto Tangentopoli nel 1992.
Ma questa è un'altra storia. Nel 1985 c'erano ancora le cabine telefoniche e i gettoni per fregare gli Stati Uniti.
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