Unioni civili, l’amore vince su tutto, anche sulla giustizia
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La legge Cirinnà è già di per sé un atto di discriminazione. La gender culture afferma che tutto è nelle nostre mani creative e che dobbiamo essere educati e formati allo scopo di costruire da soli la nostra identità, anche sessuale. Ma non è così
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di Giuliano Ferrara | 26 Febbraio 2016 ore 14:46 Foglio
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Amore e discriminazione sono parole importanti, non si dovrebbe usarle a casaccio. La legge sulle unioni civili, dovrebbero saperlo anche Luigi Manconi e Michela Marzano quando motivano il loro dissenso per la mancanza dell’adozione coparentale, è già di per sé un atto di discriminazione. Infatti afferma che persone dello stesso sesso, nonostante il diritto all’amore che vincit omnia sbandierato dal premier con la sua fantastica leggerezza, non possono sposarsi “come tutti gli altri”, cioè i promessi sposi di sesso diverso. La legge in sé ratifica una differenza, discrimina, eppure attribuisce nuovi importanti diritti giuridici economici sociali alla persona, alle persone.
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L’amore omosessuale non è maggiore né minore di quello fra uomo e donna, e non c’è legge dello stato che possa definirlo così in termini etici, ma è differente, parte da premesse e implica conseguenze diverse, e questa legge ne certifica il carattere di formazione sociale specifica, dunque altra rispetto alla famiglia tradizionale fondata sul matrimonio aperto alla procreazione di coppia. Si può essere d’accordo o no, si può optare per la scelta più radicale degli irlandesi dei portoghesi degli americani degli argentini degli inglesi dei francesi, certo, ma nella legge Cirinnà c’è una logica, e chi l’ha discussa e accudita, per scegliere poi di votarla o no in base alla questione delle adozioni (compresi Manconi e Marzano, dunque), ha contribuito, senza eccezioni, a una normativa che in quanto tale sceglie, seleziona, discerne, discrimina. Discriminare può essere il ghetto, un luogo di selezione, segregazione e negazione di diritti in base alla razza o all’identità religiosa o a qualunque altro criterio di esclusione, il massimo della discriminazione negativa; ma può essere viceversa un atto di giustizia, significa attribuire a ciascuno il suo.
Non sempre negare diritti eguali equivale a discriminare nel senso negativo ed esclusivo della parola. Per essere nato in Italia, ho diritti diversi da quelli di un bengalese immigrato; quando fosse approvato lo jus soli, il bengalese nato a Roma o a Bergamo avrebbe diritti eguali ai miei ma fatalmente diversi da quelli di un suo connazionale nato in Bengala e immigrato a Roma o a Bergamo; quando fosse stabilito un diritto universale di cittadinanza, cesserebbe ogni discriminazione da questo punto di vista e il mondo ne risulterebbe un ammasso confuso di individualità o gruppi senza luogo, origine e storia. Ma resterebbero altre discriminazioni legate all’identità, anche sessuale, in molti campi: si può istituire un campionato di calcio femminile, ma i calciatori del campionato maggiore (o minore) che partecipano agli europei e alla coppa del mondo sono maschi per tradizione e identità fisico-sessuale. Altre dicriminazioni di fatto si producono in tutti i campi della vita sociale, sono legate alla storia, alla geografia, al merito, al reddito, alle differenti identità derivate dalle libertà di culto, dalle culture, e si può agire per correggere nel senso del diritto eguale le diseguaglianze con la progressività delle imposte, con la laicità dello spazio pubblico e perfino con la discriminazione positiva in favore delle minoranze (affirmative action), ma un mondo di diritti eguali ha un limite nelle differenze di fatto, e tra queste anche quelle naturali, insuperabili.
La gender culture afferma che tutto è nelle nostre mani creative e che dobbiamo essere educati e formati allo scopo di costruire da soli la nostra identità, anche sessuale. Ma non è così. E’ vero che non ci creiamo più da soli con un atto d’amore unitivo e procreativo dentro la coppia. Possiamo crearci per via tecnica e surrogatoria in molti altri modi. Ma questo, compreso il tema delle adozioni coparentali in una coppia omosessuale, implica nuovi problemi che non si rimuovono con l’estensione di diritti eguali per funzioni e identità diverse. Dove è passato il matrimonio omosessuale è caduta ogni distinzione discriminante: hai diritto al partner che desideri e ad avere con lui o con lei figli che ti procuri come desideri attraverso la medicalizzazione e la commercializzazione delle gravidanze e delle inseminazioni. Capisco, senza condividere, che si possa ritenere tutto questo il normale corso, e magnificamente progressivo, del concetto di famiglia allargata. Capisco che nel conflitto reale tra distinzione discriminante e diritti eguali per tutti ci sia materia per discutere. Ma allora si propone un referendum sulle nozze universali a prescindere dal sesso dei contraenti, e perché no anche del loro numero (i diritti tutti e solo alla coppia sarebbe in quel senso sofistico una nuova discriminazione); se invece si lavora a una legge piena di dettagli importanti su una formazione sociale specifica, che è la legge accudita anche da Manconi e Marzano, allora non ci si può lamentare di soluzioni pragmatiche, politiche, legate ai numeri parlamentari. E aperte a una giurisprudenza che infallibilmente darà delle adozioni, in relazione a una certa nozione dei diritti della coppia nuova e dei bambini, una interpretazione non discriminante, e forse ingiusta. Amor vincit omnia, specie se interpretato in modo sentimentale, anche la giustizia.
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COMMENTI
Giorgio Salzano • 23 minuti fa
Ferrara, a tambur battente, ha buttato giù due articoli uno dopo l'altro, sul doloroso argomento del quasi matrimonio omosessuale denominato "unione civile". Difficile aggiungere alcunché. Il primo è più politico, sulla vittoria del pragmatismo, apparentemente senza molte idee, di Faccia-da-bambino. Non commento sul suo insulso alleato di governo. La strada è stata aperta ai giudici per correggere le ambiguità governative ed il residuo di discriminazione legislativa. E ciò rende la cosa "dolorosa". Ahimè, negli Stati Uniti fu d'America è morto il grande difensore della costituzione, Antonin Scalia, che, quando ci fu la famigerata sentenza contro la discriminazione delle nozze gay, disse: "Ma chi ci crediamo di essere?" A chi propugna una "costituzione viva", resa viva cioè dalla sua interpretazione alla luce dell'attualità socio-culturale, Scalia rispondeva dichiarandosi a favore di una "costituzione morta", da leggere cioè per ciò che diceva nella sua lettera, e non in un suo presunto spirito. Altrimenti, che sarebbe stata scritta a fare? La sua attualizzazione giurisprudenziale rappresenta la fine della costituzione. Dolorosa è la fine del diritto. Ricordo il film Vincitori e Vinti di Otto Preminger: il giudice americano al processo di Norimberga Sprencer Tracy si chiedeva come mai il grande giurista tedesco sotto processo Burt Lancaster si fosse compromesso con il nazismo. Lancaster rifiuta di difendersi, finché, vedendo come anche gli accusatori forzassero la legge per la loro causa, prende la parola, dicendo approssimativamente che il compromesso con il nazismo era stato l'ultimo passo di una lettura della legge fatta tenendo presenti le più alte istanze del popolo tedesco. Ieri il volkgeist, oggi la democrazia: i diritti uguali per tutti, che aboliscono le differenze che per natura ci sono. E non importa se questa abolizione sia fatta per via giudiziaria o legislativa: le premesse dissolutive del diritto erano poste nel momento in cui si affermò con lo stato moderno un potere legislativo assoluto, superiorem non ricognoscens. A poco serve contro di questo la tanto conclamata divisione dei poteri: il diritto si dissolve nella volontà di chi ha il potere di enunciarlo. E insieme al diritto viene meno qualunque idea di democrazia che non riduca ad accertamento elettorale di maggioranze e opposizioni. Solo resta, come temeva de Tocqueville, la dittatura della maggioranza. Ed è doloroso.
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maurizio guerrini • 34 minuti fa
Credo che tutto questo affannarsi della gender culture, più che discriminare od omogeneizzare, sia tesa a dare una veste di normalità a ciò che è e resta dolorosamente diverso tentando di sopprimere quel dolore che rende le persone omosessuali dotate di una sensibilità maggiore di noi gente normal...e (Checco Zalone ci condiziona sempre con il suo modo geniale di trattare l'argomento).
Il patetico tentativo di autodeterminazione sessuale ricorda la favola della volpe e l'uva e svilisce, riducendola a macchietta, la grande umanità che da tale dolore deriva.
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Massimo Buonocore • un'ora fa
Caro Ferrara, in Italia le cose non si sono mai fatte tutte insieme e di colpo. Qui si deve fare tutto passo dopo passo per non turbare i turbabili. Al matrimonio gay ci si arriverà e pure alle adozioni dei figli dei compagni. Basta aspettare il momento in cui la cosa sarà politicamente redditizia e la gente o indifferente o occupata in altri problemi.
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carlo schieppati • 2 ore fa
Esattamente sette anni fa, ad un convegno a Riva del Garda, ho ascoltato Mons. Angelo Scola parlare del libro di Aldo Schiavone "Storia e destino", dove si enunciavano i termini della sfida che avevamo di fronte. "L'uomo" - diceva il professore - "non è altro che il suo proprio progetto". La cosa mi aveva molto impressionato. Scola aveva capito i termini della questione. O io "sono fatto" (anche nel senso volgare dell'espressione) oppure sono condannato a "farmi", a "produrmi" da me. Con esiti grotteschi.
p.s.: Scola non è diventato Papa....