Una temibile tolleranza: pacifismo e squadrismo in tandem
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Gentile e Pescosolido sul “doppio vulnus democratico” del caso Panebianco. Perché una società in cui si verificano episodi come quello capitato in questi giorni al professore, al quale un gruppo di giovani ha impedito di parlare in un’aula universitaria dandogli del “guerrafondaio”, è doppiamente bacata
Angelo Panebianco contestato a lezione
di Marco Valerio Lo Prete | 25 Febbraio 2016 ore 09:50 Foglio
Roma. Una società in cui si verificano episodi come quello capitato in questi giorni al professore Angelo Panebianco, al quale un gruppo di giovani ha impedito di parlare in un’aula universitaria dandogli del “guerrafondaio”, è doppiamente bacata. Perché consente il perdurare di un’idea distorta di democrazia, e perché rivela una spiccata fragilità del discorso pubblico in materia di guerra e difesa dal terrorismo. Ne è convinto Guido Pescosolido, allievo dello storico Rosario Romeo e oggi direttore del dipartimento di Storia all’Università Sapienza di Roma. In una conversazione con il Foglio, dopo aver espresso “piena solidarietà” a Panebianco, Pescosolido inizia commentando l’episodio: “E’ l’ultimo di una vicenda lunga decenni. L’effetto psicologico sui singoli professori colpiti quasi impallidisce di fronte alla gravità del fatto di tollerare gruppi minoritari che si arrogano il potere di concedere o togliere il diritto di parola ad altri individui. Ieri accusati di essere fascisti o reazionari, oggi invece di essere guerrafondai. Il fatto che ad agire siano delle minoranze è un’aggravante”.
ARTICOLI CORRELATI Le menzogne di chi nega la guerra Panebianco e i pacifisti violenti Perché l’assalto gutturale a Panebianco è solo un esempio delle radiose giornate dell’hate speech che ci minacciano Pescosolido, che dal 2001 al 2009 è stato preside della facoltà di Lettere alla Sapienza, lui stesso vittima di contestazioni violente nel 2008 che lo costrinsero a riparare nel suo ufficio, preferisce ricordare ora il caso emblematico del maestro Romeo, noto fra le altre cose per una monumentale biografia di Cavour: “Romeo iniziò a essere oggetto di violenze nel 1968. Era considerato una bestia nera perché si era opposto alle occupazioni studentesche, al voto politico, alla concertazione sul contenuto degli insegnamenti con il sedicente movimento studentesco. Fino a quando un giorno, nel 1977, durante un esame, gli fu puntata una pistola alla faccia. Era scarica, ma questo lo si scoprì solo dopo”. Si ripete spesso che i protagonisti delle molteplici aggressioni a Panebianco costituiscano una minoranza della popolazione studentesca: “E io concordo. Una minoranza spesso rafforzata da movimenti esterni all’università. Tuttavia costituisce un’aggravante il fatto che, nelle nostre università, dove tra l’altro si svolge un servizio pubblico, sia tollerato alla luce del sole e da anni un comportamento simile ai danni della maggioranza”. Dopodiché Pescosolido chiosa il secondo vulnus della democrazia italiana che emerge, a suo modo di vedere, da quanto accaduto: “Condivido totalmente l’analisi di Panebianco nei suoi ultimi editoriali intitolati ‘La guerra in casa che non capiamo’ e ‘Noi in Libia saremo mai pronti?’. Nessuno vorrebbe la guerra, è perfino ovvio, ma in Italia si è ormai diffuso un pacifismo-a-ogni-costo. In una situazione di pericolo effettivo per il territorio e la comunità nazionale, situazione più vicina a noi di quanti molti realizzino, ci appelleremmo ancora al pacifismo? Inutile nasconderci che non solo i centri sociali hanno difficoltà a rispondere a una domanda simile – conclude Pescosolido – In questa materia, la debolezza dell’opinione pubblica è diffusa e trasversale, pure nelle nostre élite”.
Giovanni Gentile, fondatore della casa editrice Le Lettere e nipote omonimo del filosofo ucciso nel 1944 da alcuni partigiani aderenti ai Gruppi armati proletari (Gap), definisce l’episodio “increscioso” e anche lui, parlando al Foglio, ricorda “esperienze analoghe a quella subita da Panebianco, avvenute all’Università di Firenze per bloccare delle semplici lezioni sul contributo scientifico di Gentile”. “E’ un vulnus alla democrazia, questo tipo di contestazione, perché avviene nei luoghi teoricamente deputati al confronto e all’apprendimento”. Ciò detto, Gentile non elude il ruolo dell’establishment più in generale: “Si prenda il caso del dibattito sulla riforma del lavoro. La politica eccita gli animi, li cavalca, dopodiché le cose sfuggono di mano e assistiamo, ancora in anni recenti, a omicidi di accademici come Marco Biagi e Massimo D’Antona. O si prenda l’argomento della politica estera. Panebianco ha scritto cose del tutto ragionevoli sulla Libia e l’Italia. Qualcuno potrà legittimamente discutere le sue tesi – conclude Gentile – ma il punto più grave è che anche qui, a livello accademico e politico, si è preferito finora negare la realtà. Quella dei centri sociali, certo. Ma soprattutto quella delle nubi che si addensano al di fuori dei nostri confini. Si può parlare ancora di una politica estera italiana o europea?”. A Panebianco, intanto, si è impedito di rispondere.
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