Renzi a lezione da Valls
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Le parole toste del premier francese su guerra e islam evidenziano i limiti e le debolezze del segretario del Pd
di Claudio Cerasa | 26 Novembre 2015 ore 06:10 Foglio
Eravamo abituati a osservare il percorso di Matteo Renzi con l’idea che all’interno del contesto politico europeo il presidente del Consiglio e segretario del Pd sarebbe stato destinato a svolgere sempre più un ruolo di guida delle nuove sinistre continentali – e non c’è dubbio che ancora oggi l’ex sindaco di Firenze sia alla guida dell’unico partito progressista che in Europa gode di buona salute. Nel giorno però in cui il premier italiano arriva in Francia all’Eliseo per confrontarsi con il presidente francese François Hollande sulle questioni di politiche estera, difesa, terrorismo, sicurezza nazionale emerge sotto molti punti di vista una distanza abissale tra la sinistra che guida la Francia e la sinistra che guida l’Italia.
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A dieci giorni dalle stragi di Parigi, infatti, il presidente del Consiglio ha usato la sua voce e il suo peso politico per condannare sì la barbarie dei terroristi ma stando sempre attento a, come si dice, “non accrescere la tensione”, a non creare un clima “ostile”, a stare attento a quello che potrebbe essere il risultato, anche in vista del Giubileo, di una “drammatizzazione” del conflitto e a non entrare insomma nel merito di quella che è sempre più difficile non chiamare “guerra” (oggi, tra l’altro, Firenze ospiterà un importante seminario del gruppo speciale Mediterraneo e Medio oriente dell’Assemblea Parlamentare della Nato e nell’occasione verrà votato un documento all’interno del quale sarà certificato che quella che si sta combattendo contro lo Stato islamico non è solo contrasto generico al terrorismo ma è una “guerra”, seppure “asimmetrica”). In questa cornice, Renzi resta l’unico grande leader europeo a giocare ancora con le parole (e ancora una volta c’è una sintonia perfetta con la imbelle signora Merkel) e da questo punto di vista una passeggiata a Parigi potrebbe far bene al nostro presidente del Consiglio per confrontarsi con il suo omologo francese, Manuel Valls, e magari prendere appunti. Non solo per le parole del primo ministro della Francia sulla guerra – “So che alcuni paesi si sono rifiutati di usare questo termine forse per evitare di dare una gioia ai terroristi, ma dobbiamo dire le cose come stanno, e quella che stiamo combattendo è una guerra, seppur non convenzionale” – ma anche per le parole usate da Valls, oggi, e soprattutto alcuni mesi fa dopo Charlie Hebdo, sull’islam. Valls, con un’onestà unica tra le sinistre d’Europa, riconosce non solo che contro lo Stato islamico quella che l’occidente sta combattendo è una “guerra di civiltà” ma a costo di sfidare quel politicamente corretto che in Italia sta uccidendo la libertà d’espressione ha fatto un passo in avanti importante. Prendendo a sberle i professionisti dell’anti islamofobia, riconoscendo che negare che il terrorismo islamico abbia a che fare con la religione è una folle ipocrisia e sostenendo con coraggio che “spesso l’islamofobia è usata come arma dagli apologeti dell’islamismo per mettere a tacere i loro critici”.
La dottrina Piketty, Papa Francesco, il terrorismo
Non pretendiamo che il presidente del Consiglio, tornando da Parigi, faccia quello che non è riuscito a fare neanche Angela Merkel, ovvero impegnarsi per trasformare la coalizione anti Isis in una forza deputata alla distruzione e non al contenimento dello Stato islamico. Ma non sarebbe male se la vicinanza con una Francia colpita al cuore dal fondamentalismo di matrice islamista aiuti il nostro presidente del Consiglio a capire che per combattere il terrorismo non serve solo investire nella sicurezza o occuparsi delle periferie disagiate delle nostre città ma serve capire che purtroppo il fondamentalismo è il prodotto di una visione del mondo, e non di un semplice e circoscrivibile disagio sociale, come sostengono le groupie della banda Piketty e come ha detto ieri Papa Francesco in Kenya (“Violenza e terrorismo nascono da povertà e disperazione”). Siamo tutti francesi, dirà dunque oggi Renzi. Resta solo da capire se la condivisione del Allons enfants de la Patrie sarà qualcosa in più di una stretta di mano, un post su Facebook e qualche miliardo destinato alla sicurezza del nostro paese.