Se i pm trattano Renzi come Berlusconi ci sarà un motivo: questo
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Chiunque governi e tenga alla propria autonomia politica di governo ha un problema primario, in Italia: deve mettere a posto, nel senso di consegnarle alla storia e neutralizzarle attraverso l’affermazione di nuove leggi e nuovi costumi, le pretese politiche e ideologiche della magistratura penale
di Giuliano Ferrara | 25 Ottobre 2015 ore 06:00 Foglio
L’attitudine difensiva, “non ci possono trattare come se fossimo Berlusconi”, non serve, è controproducente, esibisce debolezza e fragile comprensione della posta in gioco. Chiunque governi e tenga alla propria autonomia politica di governo ha un problema primario, in Italia: deve mettere a posto, nel senso di consegnarle alla storia e neutralizzarle attraverso l’affermazione di nuove leggi e nuovi costumi, le pretese politiche e ideologiche della magistratura penale. La corruzione e il crimine vanno perseguiti, con le indagini, il giusto processo, le sentenze, e va benissimo anche la vigilanza dell’agenzia anticorruzione, va benissimo la bonifica dell’economia pubblicamente partecipata, dell’amministrazione eccetera. Ma la pretesa di potere corporativo dei magistrati combattenti va annientata, è una storia ormai pluridecennale, storia di evidenza palmare, testimoniata anche dall’interno della magistratura, è una storia che ha danneggiato l’economia, la convivenza civile, l’idea e la prassi della giustizia, il sistema dei media impegolato nei bassifondi del mondo manettaro. Si può fare tutto questo, che è poi la restaurazione dello stato di diritto e della divisione dei poteri liberali ogni giorno violati, salvaguardando l’indipendenza della giurisdizione da ogni altro potere, prescritta nella Costituzione? Penso di sì, ma solo a patto di eliminare la pretesa di onnipotenza corporativa politicizzata che timidamente chiamiamo “supplenza” del ceto togato alle mancanze della politica.
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Per convincere, oltre che per vincere, al fenomeno Renzi mancano almeno due cose: la strutturazione di un movimento di società che vada oltre i gruppi di consulenza della Leopolda e ciò che resta (non è poco) del Pd, e la riforma della giustizia, profonda, radicale. Prima di Renzi non solo Craxi e Berlusconi, anche D’Alema e Prodi sono stati insidiati nella reputazione e nella capacità di governo dall’intrusivo attivismo giudiziario, dal partito dei magistrati: tutti ricordano che la Bicamerale per le riforme istituzionali fu fatta secca dall’intervista-manifesto al Corriere di un pm dell’ex pool di mani pulite con l’accusa di essere la manifestazione deviata di un fenomeno massonico come la P2, e che il governo Prodi2 fu abbattuto da un’inchiesta confusa della procura di Santa Maria Capua Vetere che portò all’incriminazione e agli arresti di molti membri della famiglia politica del ministro della Giustizia Mastella nel fragore mediatico delle grandi occasioni.
Se Roma è caduta sotto il maglio della stupidità e della foga politico-inquisitoria di Mafia Capitale, se finirà nel calderone inutile delle vittorie demagogiche grilline, è perché il capo dei pm romani presentò il suo repulisti, prima che scattassero gli arresti dei funzionari corrotti e dei corruttori, a un convegno del Partito democratico della città. L’inaudito si è fatto ordinaria gestione dell’azione penale. Se il ministro della Giustizia è costretto a balbettare sulle intercettazioni e sul loro uso da circo mediatico-politico, nonostante qualche sforzo di razionalizzazione, è perché il partito degli smerdatori professionali è tuttora il più forte. Se i magistrati vanno e vengono da distretti in cui si conduce l’azione penale alle cariche pubbliche di sindaci e presidenti di Regione, facendo il bello e il cattivo tempo e sequestrando l’opinione pubblica nella gabbia della famosa “questione morale”, lo si deve alla timidezza, notata da Sabino Cassese, una delle poche voci indipendenti e sagge, nel regolamentare l’assurdo legislativo che consente questo va e vieni in spregio alla divisione dei poteri. La Repubblica degli scontrini è ingovernabile, questa è la verità. Nella società si moltiplicano le greppie socialmente utili e accettate, dal comune di Sanremo a tutto il resto, mentre la lotta alla casta è il paravento ideologico dietro cui si nascondono fior di mascalzoni e di nemici della democrazia liberale e del suo regime, alla caccia del consenso facile e febbrile dell’emotività pubblica. In questo quadro governare rischia non già di essere difficile, come sapeva Mussolini, ma inutile.
Invece di lamentarsi per il fatto di subire un trattamento alla Craxi, alla Berlusconi, alla D’Alema o alla Prodi, il giovane Renzi dovrebbe cercare di non ripetere gli errori di scarsa radicalità e di eccessiva tolleranza che hanno portato tutte le leadership che lo hanno preceduto, dopo gli anni fatali della politicizzazione militante della magistratura, allo sfarinamento dell’autonomia rispettiva di giustizia e politica. Vaste programme, lo so, ma è l’unico in grado di garantire a un paese semilibero una effettiva riforma istituzionale di tipo liberale.