Meglio sulla Golf con Merkel che in moto con Varoufakis
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L’Europa e il ritorno del bipolarismo
di Claudio Cerasa | 27 Settembre 2015 ore 12:00
C’è uno spettro che s’aggira per l’Europa e che suscita comprensibilmente molti brividi a tutti quei partiti gioiosamente effimeri che hanno fatto dell’instabilità dei sistemi politici un proprio fondamentale e strategico punto di forza culturale. Lo spettro che s’aggira con insistenza per l’Europa è uno spettro che i campioni della sinistra bla bla bla pensavano di aver sepolto in modo definitivo e che invece ora eccolo qui, che ricompare improvvisamente. Oggi con Corbyn in Inghilterra, con Tsipras in Grecia, con Renzi in Italia, e domani, chissà, forse anche con Rajoy in Spagna e con Coelho in Portogallo. Lo spettro che ci sentiamo in dovere di evocare si chiama bipolarismo, e mai come in questi giorni risulta evidente che il tripartitismo non è altro che un fenomeno transitorio che emerge solo nell’istante in cui uno dei due poli si trova in un momento di difficoltà.
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Non vorremmo contribuire alla depressione politica dei Varoufakis e dei Landini ma i grandi eroi della nuova sinistra europea, Corbyn e Tsipras, sono lì a testimoniare quanto segue.
Il primo, Corbyn, dimostra che una vera e coerente leadership anti sistema, per emergere ed essere considerata credibile, non può accontentarsi di mettere insieme un paio di sigle di estrema sinistra ma deve quanto meno conquistare e scalare uno dei due grandi poli (Corbyn, caro Maurizio Landini, è il segretario dell’equivalente Pd inglese, nessuna coalizione sociale in vista). Il secondo, Tsipras, ha dimostrato che anche in uno scenario politico confuso e martoriato come quello greco, alla fine gli elettori, in presenza di una proposta coerente, tendono a non disperdere il proprio voto e a premiare sempre uno dei due grandi poli: o si vota centrodestra o si vota centrosinistra. Stop.
Il ritorno a un bipolarismo e a un bipartitismo di fatto lo si è osservato da vicino qualche mese fa sempre in Inghilterra in seguito alla vittoria schiacciante di David Cameron e al ridimensionamento umiliante dell’Ukip di Nigel Beppe Grillo Farage. E lo stesso schema di confronto tra i due grandi poli sarà con ogni probabilità il filo conduttore delle prossime elezioni in Portogallo (ottobre) e in Spagna (dicembre). Da questo punto di vista anche l’Italia, se vogliamo, è un caso di scuola esemplare. La presenza di fenomeni come Grillo e Salvini sussiste quasi esclusivamente a causa della mancanza di un’alternativa al Pd e il movimento 5 stelle e il movimento 5 Salvini, dunque, non possono che essere destinati a sgonfiarsi come due palloncini nell’istante in cui vi sarà la possibilità di scegliere un credibile anti Renzi. Il sistema elettorale previsto dall’Italicum, soprattutto per il doppio turno e il premio alla lista, enfatizzerà ovviamente questo fenomeno e contribuirà a creare una competizione vera tra due grandi poli – e come ci insegna la storia del doppio turno francese il ballottaggio non solo uccide i piccoli partiti (qualcuno ricorda chi sono Bayrou e Mélenchon?) ma in caso di scontro tra partito di sistema e partito anti sistema offre al partito più moderato e meno scravattato la possibilità di raccogliere a destra e a sinistra il maggior numero di voti.
Lo spettro del bipolarismo – vero antidoto contro le pulsioni scissioniste dei Varoufakis d’Italia – sarà visibile con forza nel nostro paese alle prossime elezioni amministrative. La Lega, come sempre, dopo aver urlato al mondo di essere alternativa a Forza Italia, sarà costretta ad allearsi ancora con il partito del Cav (e magari anche con Alfano). E dall’altra parte i Podemos d’Italia – daje – difficilmente saranno nelle condizioni di indossare la fascia kamikaze utilizzata in Liguria alle ultime elezioni regionali e con ogni probabilità dovranno fare quello che in questi giorni promettono fortissimamente di non voler fare: allearsi con il tiranno Renzi – oplà – per evitare di perdere alcune città governate da alcuni sindaci partoriti cinque anni fa da un altro fenomeno passeggero ed effimero come la rivoluzione arancione. Pensate a Milano. Pensate a Cagliari. Pensate a Genova. Oggi, a guardar bene, la rivoluzione arancione resiste solo laddove chi è arrivato al governo è stato in grado, sul modello Tsipras, di fare i conti con il principio di realtà e di tradire così un utopistico spirito rivoluzionario (i conti sono conti e quando ci sono i conti da tenere sott’occhio meglio farsi un giro in Golf con la Merkel che andare in giro in moto con Varoufakis).
I sondaggi di questi tempi non devono dunque ingannare e devono essere letti con attenzione all’interno di un contesto in cui il tripolarismo esiste solo quando il sistema funziona male e in cui, è bene ricordarlo, quando si va alle elezioni la vera corsa è sempre tra i due grandi poli, centrodestra e centrosinistra. Basta guardare il risultato delle ultime amministrative, durante le quali abbiamo tutti notato che in nessun comune capoluogo il movimento 5 stelle (#vinciamopoi) era riuscito ad arrivare al ballottaggio. “Le forze anti sistema – ha detto la scorsa settimana con saggezza Giuliano Amato a questo giornale – esistono quando le forze tradizionali non riescono a rappresentare in modo efficace il paese. Il giorno in cui vi sarà una forza di centrodestra capace di contendere elettori al Pd sono convinto che l’anti politica sarà riassorbita. Le forze anti sistema sono come dei virus che o vincono o stimolano il vecchio sistema a dotarsi di anticorpi. Esiste solo una variante possibile in base alla quale le forze anti sistema potrebbero tentare di essere delle realtà credibili e non più incredibili: mettersi la cravatta”. Dove si dimostra che, a proposito di scissione, alla fine sono sempre i migliori quelli che non se ne vanno e decidono di restare saggiamente con i piedi saldi in uno dei due poli.
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