Eni spiega cosa cambia per l’Italia dopo il mega-giacimento egiziano
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L'ad Descalzi ha spiegato al Senato come sviluppare il nuovo giacimento in tempi molto rapidi, già nel 2017
di Redazione | 10 Settembre 2015 ore 10:50 Foglio
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Roma. L’entusiasmo egiziano legato alla scoperta del giacimento Zohr non vuole spegnersi. Di recente, il ministro delle Finanze, Hany Kadry Dimian, di fronte a una folta platea di investitori presenti al Cairo, ha parlato di una spinta formidabile alle riforme economiche, grazie allo sfruttamento delle sue risorse nei prossimi anni. La volontà dell’Egitto è, dunque, quella di correre. Come ha ricordato ancora ieri da Roma, l’ad di Eni, Claudio Descalzi – durante un’audizione al Senato – l’Egitto vuole riuscire a sviluppare il giacimento in tempi molto rapidi, già nel 2017.
Le caratteristiche geofisiche di Zohr, come ha spiegato Descalzi ai parlamentari, rendono le cose in discesa, ma si tratta comunque di tempi stretti e impegnativi. Ambizioso il target finale fissato dal governo egiziano: a regime il gas pompato da Zohr dovrebbe rappresentare tra il 65 e il 70 per cento della produzione totale del paese. Sul versante esplorativo da Palazzo Mattei ci si muove ancora con i piedi di piombo, le stime (conservative) parlano di 850 miliardi di metri cubi di gas (metano), ma la novità è che i tecnici di Eni hanno trovato un altro giacimento sottostante a quello principale che contiene altre risorse, probabilmente olio o condensati. Lo scopo di una seconda campagna esplorativa sarà quello di verificarne con esattezza entità e possibilità di estrazione.
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Sta di fatto che, per ora, il capo azienda del Cane a sei zampe ha fissato il costo complessivo per lo sviluppo di Zohr a 10 miliardi di euro (gli egiziani parlano di 7 miliardi), per un obiettivo di produzione a massimo sfruttamento di 70/80 milioni di metri cubi al giorno, che fanno 30/35 miliardi l’anno. Il piano sarà presentato nei dettagli agli azionisti a dicembre, in occasione del prossimo cda.
A livello infrastrutturale, pedine fondamentali – anche per non far lievitare i costi – sono la piattaforma offshore di El Temsah, già molto vicina al pozzo, l’impianto di trattamento gas onshore di Al Gamil e quello di rigassificazione del gas naturale liquefatto di Damietta. Come ha scritto di recente anche il settimanale Economist, la scoperta di Eni potrebbe riattivare altri rigassificatori sparsi per l’Egitto e ora dormienti, come quello di Idku controllato da British Gas. C’è e ci sarà lavoro anche per Saipem, come ha confermato lo stesso Descalzi, oltre alla nave Saipem 10.000 già sul posto da mesi sono, infatti, previste altre commesse.
Il mosaico geopolitico è però complicato. L’amministratore delegato della società energetica italiana auspica la creazione di un vero e proprio hub del gas nel Mediterraneo che unisca le risorse di Egitto, Cipro e Israele. Due i temi principali sui quali muoversi, dicono da Eni. La prima riguarda la capacità di Israele e di Cipro di liberare definitivamente le risorse (e avviare la produzione) dei giacimenti simili a quello egiziano di Tamar e Leviatano – sul versante israeliano – e di Afrodite sul versante cipriota. Tamar e Leviatano sono esplorazioni che vanno avanti da tempo e l’avvio della produzione è stato via via ritardato nel tempo, mentre Afrodite è ancora a uno stadio iniziale e il governo cipriota ancora deve trovare una società energetica che si accolli la gran parte dei costi per lo sviluppo. Il secondo tema è quello delle reti e delle interconnessioni. L’Egitto deve decidere se connettersi direttamente con Cipro (progetto tra l’altro già allo studio del ministero dell'energia del Cairo sulla base di alcune analisi del German Marshall Fund) e da li utilizzare gli impianti di rigassificazione e le navi Lng che partono da Cipro per andare verso l’Europa (Italia e Spagna in primis), oppure farlo attraverso Israele. Questa opzione si potrebbe ottenere modificando in “reverse flow” il tubo già esistente tra Israele ed Egitto, così prevedendo la possibilità per l’Egitto di muovere il gas verso Israele e viceversa.
L’opzione di un gasdotto che, utilizzando Cipro come piattaforma, colleghi le risorse di Egitto e Israele all’Europa via Turchia o Grecia (magari via Tap) viene al momento considerata troppo costosa e difficilmente applicabile a livello geopolitico (i legami russo-turchi pesano). Per l’Italia, al contrario, Eni si aspetta un ruolo strategico di porta principale del gas europeo, a patto però – questa la stoccatina di Descalzi diretta a Bruxelles – che vi sia la volontà politica di puntare su gas e rinnovabili a livello comunitario, mantenendo gli impegni di decarbonizzazione, e che si facciano investimenti per esportare verso il resto dell’Unione europea il gas che arriverà in Italia
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COMMENTI
1- bruno gregolin • 4 ore fa
ogni tanto la ruota della fortuna gira anche a favore del nostro paese. Sono un ex dipendente del gruppo ENI, conosco bene le capacità tecnico manageriali degli uomini che guidano questa grande Società e non avrei dubbi sul buon risultato del programmi presentati tesi allo sfruttamento del giacimento scoperto. Resta solo una incognità: Saranno in grado i nostri politici di accompagnare il Gruppo ENI con interventi appropriati, verso il raggiungimento di un ottimale sfruttamento, economico e politico, di questa notevole risorsa?
2- Giovanni Attinà • 5 ore fa
Sinceramente non ho capito gli effetti positivi per l'Italia, a parte l'Eni come impresa che dà lavoro. Naturalmente questi manager pubblici portano acqua al loro mulino.
3- Massimo Buonocore • 5 ore fa
Fra tutte le cose raccontate dall' articolo ne manca una: il gas egiziano ci costerà meno di quello che paghiamo ora? Quali vantaggi economici ne trarrà l' Italia?
A me che l' Egitto diventi più ricco non mi interessa più di tanto, che si facciano delle cordate di paesi produttori mediterranei nemmeno. Vorrei solo sapere: a noi cosa ne viene in tasca?
4-luca sorrentino Massimo Buonocore • 2 ore fa
Se aumenta l'offerta cade il prezzo sul mercato. A preoccuparsi dovrebbe essere il Qatar, la scoperta pone mutamenti politici, la crescita dell'Egitto e il regime militare ci rendono piú tranquilli, ma l'atomica iraniana e le minacce dell'Isis pongono sugli opposti versanti sere problemi. Per quanto riguarda l'Eni ricordiamoci della fine di Mattei