Massimo D'Alema si è steso sul lettino e ha proiettato i suoi errori su Renzi
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reduce da un anno, diciamo, di drammatico oscuramento politico e di grosse difficoltà
di Pierluigi Magnaschi Italia Oggi 4.9.2015
Massimo D'Alema, reduce da un anno, diciamo, di drammatico oscuramento politico e di grosse difficoltà ambientali (non dimentichiamo che venne persino fatto fuggire da lavoratori della Cgil durante una manifestazione sindacale) è ormai l'ombra di se stesso. Per usare un'espressione dei suoi tempi d'oro, ha perso quasi completamente la sua capacità propulsiva. Accettando l'intervista che Aldo Cazzullo gli ha fatto per il Corriere della Sera, D'Alema, più che porsi davanti a un microfono, si è sdraiato sul lettino della psicanalista e ha lanciato degli strali acuminati verso colui che lui ritiene essere l'usurpatore (Matteo Renzi) e che, per l'occasione, è stato da lui descritto come se fosse un D'Alema senza baffi.
Di Renzi infatti D'Alema critica, in particolare, «i toni sprezzanti». Cioè lo accusa di una specialità nella quale D'Alema ha sempre eccelso, durante tutta la sua carriera politica. Richiamato alla realtà dall'intervistatore, D'Alema, preso in contropiede, si è subito piegato sulle ginocchia e ha riconosciuto il suo difetto: «È vero», ha ammesso, «che ho sbagliato usando anch'io modi sprezzanti, lo riconosco». Ma, subito dopo aver ripreso il fiato, ha aggiunto, con uno dei suoi artifici dialettici che un tempo strappavano l'applauso, che ora non fanno più presa: «Posso essere stato spigoloso» ma, lo certifica lui stesso, «non sono cattivo, né vendicativo» facendo così capire che queste due caratteristiche sono proprie ed esclusive del suo avversario politico, il famigerato presidente del consiglio che D'Alema vede come uno che, addirittura, utilizza «i metodi dello stalinismo» e che si permette di «definire come gufi i trotzkisti da fucilare se il piano quinquennale falliva».
Insomma D'Alema è così imbufalito e disorientato da non accorgersi di essersi messo a parlare di corda in casa dell'impiccato. D'Alema infatti è figlio di un parlamentare comunista che era in primo piano quando Stalin era imperante e quando il Pci guidato da Togliatti gli faceva la riverenza, parlandone su l'Unità come il «padre dei popoli» e il leader politico da seguire come modello. E questo avveniva proprio negli anni in cui Stalin faceva fuori centinaia di migliaia di dissidenti e, con una particolare ferocia, proprio i trozkisti nei cui panni adesso D'Alema vuol presentarsi.
Lo stesso D'Alema, cresciuto in una famiglia che orgogliosamente si dichiarava stalinista, non eccepì nulla, anche se era maggiorenne e non sprovveduto (essendo allora iscritto alla Normale di Pisa) quando i carri armati sovietici entrarono a Budapest e a Praga per schiacciare l'anelito di libertà di quei popoli. Per cui suona grottesco (ma anche patetico) rilevare che il distacco dalla sua politica di alcuni suoi vecchi amici e collaboratori, sia da lui oggi vissuta, non come un dialettica politica (magari anche a lui fastidiosa), ma come un congiura, tra l'altro etero diretta dal boy scout, per l'occasione descritto da D'Alema come se fosse un novello Beria.
La congiura infatti viene descritta da D'Alema in questo modo: «Colpisce la solerzia con cui alcuni (suoi vecchi collaboratori, ndr) si impegnano nelle polemiche contro di me. Anche questo appartiene al metodo staliniano: fare attaccare i reprobi dai vecchi amici, dai familiari». Insomma, il modo in cui pensa e si muove D'Alema è quello di un tempo, il solito, nel quale si è ideologicamente formato e dal quale, come dimostrano queste sue osservazioni, non è mai uscito. È sintomatico, a questo proposito, rilevare come D'Alema parli di «metodi staliniani» e non di metodi «comunisti» quando questi sono i metodi usati da tutti i regimi comunisti (senza alcuna eccezione) ogni volta che questi hanno potuto conquistare il potere in qualsiasi paese (fosse l'Urss, Cuba, la Ddr, la Cina, la Cambogia, la Cina e si potrebbe continuare). Dicendo che questi metodi belluini erano propri solo delle stalinismo, D'Alema può poi, come fa sovente, dichiararsi orgoglioso e non pentito della sua passata militanza nel movimento comunista internazionale. Ecco perché, per rompere con quel passato, oggi ci vogliono i Renzi che sono così invisi ai D'Alema.
En passant poi D'Alema, non contraddetto dall'intervistatore, racconta delle balle sonore. Dice, ad esempio, che lui ha gestito l'esodo dall'Albania. E precisa: «Allora non si videro barconi. Nessuno affogò». D'Alema dimentica evidentemente la strage della nave Katëri Radës nel Canale d'Otranto che, il 28 marzo 1997, venne speronata dalla corvetta «Sibilla» della Marina militare italiana, non in un incidente per soccorrere gli immigrati ma nel tentativo di impedirne l'attracco sulle coste italiane. Nell'occasione si trovarono i corpi di 81 persone e 27 albanesi vennero dati per dispersi per un totale di 108 vittime.
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