Berlusconi, il segnale sulle primarie e il senso della strategia anestesia: logorare i due Matteo
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Per il Cav. la consultazione dell'elettorato ha un senso solo in seno a un partito, sul modello americano. A mettergli i "brividi" è la parola "coalizione"
di Claudio Cerasa | 25 Agosto 2015 ore 06:13 Foglio
Le regole, certo. I pasticci del Pd, ovvio. Le primarie passate da strumento di distruzione di massa a strumento di autodistruzione di massa, chiaro. C’è tutto questo e molto altro. Ma a voler leggere con attenzione nei pensieri di Berlusconi, dietro all’unica uscita significativa offerta ai cronisti nel corso dell’estate – le primarie no, per carità! – c’è un sentimento che spiega la traiettoria imboccata dal centrodestra di oggi e forse anche da quello del futuro. Le primarie no per carità sono infatti lì a significare più un rigetto del metodo che un rigetto del mezzo. Se per metodo si intende la prassi politica che, oggi, finirebbe per essere enfatizzata dalla scelta delle primarie: il peso dispotico che avrebbero i singoli partiti all’interno di una chiassosa coalizione. Il problema è lineare: non è la parola “primarie” che mette i brividi al Cav., ma è la parola “coalizione”, appunto. E’ l’idea di dover lavorare non tanto alla ricostruzione del centrodestra quanto alla costruzione di un delirante sistema di correnti del centrodestra. Ed è il rischio concreto che, per come si stanno mettendo le cose, quando si arriverà al voto il centrodestra possa essere tenuto insieme dallo stesso fragile mastice che teneva insieme l’armata Brancaleone dell’Unione prodiana.
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Le primarie, dunque, nel ragionamento di Berlusconi, possono aver senso solo se somigliano a primarie di partito, sul modello americano, ed è anche questa la ragione che porta il Cav. a essere meno convinto dei suoi della necessità di cambiare la legge elettorale introducendo il premio di coalizione piuttosto che il premio alla lista: dove lo si trova un sistema elettorale più efficace di questo capace di permettere al cartello del Cav. di essere centrale nel listone futuro? Intanto Berlusconi temporeggia, prende tempo, rinvia i problemi, gioca con le tre carte, lascia la palla nelle mani di Renzi, prova a puntare tutto sul contropiede, e la strategia ha un suo senso perché il Cav. non ha fretta e sa di poter raggiungere il suo obiettivo: far sì che la legislatura duri il più possibile, per riorganizzarsi, fare ordine nel partito, riconquistare i vecchi amici, riportare a casa i vecchi alleati, nella consapevolezza che più passerà il tempo e più ci saranno possibilità che i due Matteo, Renzi e Salvini, perdano smalto e consenso. E anche nella consapevolezza che, in tutte le partite più importanti, il partito di Renzi non potrà prescindere dal partito di Berlusconi (dice niente la Rai?). Per fare questo il Cav. può giocare su due tavoli diversi: la trattativa aperta con il presidente del Consiglio per entrare nella maggioranza (Nazareno di governo) e il tavolo dell’appoggio silente per evitare di far cadere il governo (concedendo per esempio ad alcuni senatori di Forza Italia o l’appoggio ad alcune riforme o l’uscita da Palazzo Madama in caso di difficoltà della maggioranza). Entrambe le strade sono cruciali perché il Cav. sa che il dominus di questa legislatura, l’uomo che può decidere di andare a votare in qualsiasi momento, è più Renzi che non Mattarella – e non è un caso che il Cav. non si fidi di chi gli dice che il presidente della Repubblica, in caso di bizze elettorali di Renzi, “non permetterà acrobazie”.
Berlusconi dunque attende, lascia che sia Renzi a fare la prima mossa, gioca con la strategia dell’anestesia e lo fa forte di una consapevolezza: i numeri, in fondo, dicono che Renzi oggi ha bisogno di Berlusconi più di quanto Berlusconi abbia bisogno di Renzi. La partita è difficile ma se l’economia non dovesse ripartire e la Lega dovesse dimostrare di essere una bolla, con il tempo che passa aumenteranno le possibilità che gli elettori identifichino Renzi e Salvini come due facce di uno stesso immobilismo. E dunque, oggi meglio non scoprire le carte. Aspettare. Anestetizzare. Sapendo che se Renzi non vorrà consegnarsi nelle mani della sua minoranza tante scelte non ha. E alla fine forse gli toccherà davvero tornare a bussare alla porta del Cav.
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