Parla il giapponese che ha scortato Renzi dall’imperatore di Tokyo
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L’ambasciatore Umemoto a tutto campo su ripresa economica, deflazione, Difesa, immigrazione e rapporti con Roma
di Giulia Pompili | 21 Agosto 2015 ore 06:24 Foglio
Roma. La visita del capo del governo Matteo Renzi in Giappone. I problemi in comune tra Roma e Tokyo. La riforma della Difesa giapponese, il discorso di Shinzo Abe per il settantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, l’Abenomics, il ruolo della Cina nello scacchiere mondiale. L’ambasciatore del Giappone in Italia, Kazuyoshi Umemoto, 63 anni, ha assunto il suo incarico nel 2014 dopo quasi due anni a capo della delegazione nipponica alle Nazioni Unite, e concede al Foglio un’intervista a tutto campo. E’ stato Umemoto ad accompagnare Renzi nel suo primo viaggio di stato a Tokyo e Kyoto dal 2 al 4 agosto scorso: “Quello di Renzi in Giappone – dice – è stato un soggiorno molto breve, ma il fatto che sia venuto in visita esclusivamente in Giappone è stato apprezzato a Tokyo. Renzi ha avuto modo di avere alcuni incontri importanti, con l’Imperatore e con il primo ministro Shinzo Abe, e si è anche confrontato con alcuni leader del business giapponese, ai quali ha illustrato le riforme economiche che sta facendo in Italia”. E in effetti per gli imprenditori giapponesi la realtà italiana “non era per nulla scontata, e aver avuto spiegazioni sull’Italia direttamente dal primo ministro è stato molto interessante”, dice Umemoto. “La classe imprenditoriale ha capito le sue riforme e, se verranno portate a termine, sarà più facile fare affari con l’Italia. Inoltre, durante l’incontro al vertice tra i due capi di governo, Renzi e Abe hanno convenuto sul fatto che entro l’anno bisognerà arrivare a un accordo di massima per il trattato di libero scambio tra l’Unione europea e il Giappone”, accordo che lo stesso Renzi aveva definito “un’operazione ‘win-win’, che ha vantaggi tanto per il Giappone quanto per l’Ue”.
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Le scuse definitive di Abe Il prossimo anno Italia e Giappone festeggeranno il 150esimo anniversario dei rapporti diplomatici, e i due paesi avranno molte occasioni di dialogo. Sui temi economici, per esempio. Come l’Italia, anche il Giappone ha il problema di un enorme debito pubblico e dell’invecchiamento della popolazione unito a una bassa natalità. Eppure gli ultimi dati sull’Abenomics, la politica economica di Abe, non sono molto buoni (aprile-giugno 2015, meno 1,6 per cento di pil): “La situazione italiana e quella giapponese hanno delle peculiarità. Con le prime due frecce scoccate dall’Abenomics – l’allentamento monetario e la flessibilità fiscale – abbiamo avuto risultati positivi che stanno preparando il campo per la terza freccia, quella delle riforme strutturali. L’obiettivo dell’Abenomics è soprattutto sul lungo termine. Alcuni indici vanno guardati in prospettiva. Per esempio: l’occupazione già da subito ha avuto un andamento positivo, e anche i profitti delle aziende”. Abe ha un rapporto privilegiato con il governatore della Banca centrale giapponese (BoJ) Haruhiko Kuroda, mentre Renzi deve dialogare con la distante Francoforte: “E’ vero, il Giappone ha una maggiore libertà, la BoJ mantiene la sua indipendenza ma ha una linea comune con il governo: uscire dalla deflazione e far ripartire la crescita”. E in effetti la crescita è un’ossessione per il Giappone, che condiziona anche le politiche sull’immigrazione: “In Giappone sono più rigide rispetto all’Italia, per l’influenza che potrebbero avere sulla vita dei cittadini. I lavoratori non specializzati vengono esaminati prudentemente per la loro ammissione: dall’estero vengono accolte risorse umane qualificate e con specializzazioni, che possano contribuire alla crescita”.
Una delle riforme più dibattute ultimamente in Giappone riguarda la Difesa e l’interpretazione dell’articolo 9 della Costituzione, secondo il quale Tokyo non dovrebbe avere un esercito. Un programma di “pacifismo proattivo” che è stato esposto a Renzi durante la sua visita. Il presidente del Consiglio italiano ha espresso il suo appoggio a Abe “senza però entrare nel merito del percorso della riforma e degli sviluppi decisionali che sono questioni interne”. Umemoto fa un paragone con la Costituzione italiana, che all’articolo 11 ripudia la guerra: “Il principio e la natura delle due Carte è la stessa. Tuttavia l’Italia può partecipare alle missioni della Nato o di peacekeeping, mentre il Giappone è limitato in questo. Adesso il paese fa parte del G-7, è maturo, e vuole contribuire alla pace”. Eppure la riforma della Difesa (così come al questione nucleare) sta portando non pochi grattacapi al Kantei, il palazzo del governo di Tokyo. L’opinione pubblica e il consenso popolare, proprio come a Palazzo Chigi, sono determinanti nelle scelte politiche? “Da anni il Giappone non aveva un partito di governo con una così ampia maggioranza in Parlamento. Molti la considerano un’opportunità per fare grandi riforme, ed è anche per questo che la Dieta, che di solito ad agosto sospende i lavori, andrà avanti a oltranza fino a settembre. Nello stesso tempo, però, il governo sa che è determinante che i cittadini capiscano bene le riforme e che è necessario spiegargliele con premura”.
Uno degli eventi vincenti del soft power giapponese da noi è stato l’Expo di Milano: “Al 12 agosto il Padiglione del Giappone ha raggiunto un milione di visitatori”, dice Umemoto con una punta di orgoglio. Una manifestazione di cultura non soltanto culinaria, apprezzata in Italia e che ha contribuito a portare, nei primi sei mesi del 2015, a un picco di 42 mila turisti italiani in Giappone. Ora bisogna solo eliminare due luoghi comuni: che il paese non sia un luogo comprensibile per chi non conosce la lingua, e che sia un paese costoso da visitare. Ecco, a proposito: lei è soddisfatto di come la stampa italiana rappresenta il Giappone? “Noi facciamo molta comunicazione, attraverso convegni e scambi culturali, per spiegare la posizione di Tokyo in Asia. Tuttavia sono poche le testate che hanno sedi di corrispondenza in Giappone. La maggior parte sono a Pechino, e a volte c’è l’impressione che gli affari giapponesi siano trattati dal punto di vista cinese”.
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Ecco, la Cina. I rapporti tra i due paesi sono deteriorati dal 2010, specie dopo il discorso di Shinzo Abe sul Dopoguerra: “Un grande discorso storico, che è stato scritto per trasmettere al mondo quale Giappone si intende costruire nel futuro, imprimendo nel cuore le lezioni che il paese ha ricevuto dal suo passato. Dal 1972 in poi il Giappone ha continuato a collaborare con la Cina perché persegua politiche di apertura e di riforma in ambito internazionale, aiutandola – anche economicamente, tra gli anni Settanta e Ottanta – e per la sua adesione all’Organizzazione mondiale del commercio. Il motivo è che Tokyo crede che Pechino possa essere un membro costruttivo della comunità internazionale, nel rispetto delle regole. Eppure, parallelamente a una grande crescita economica, continua l’espansione militare. Una potenza economica deve prendersi le sue responsabilità, non può solo beneficiare del sistema ma deve anche sostenerlo”. E qui il diplomatico non può esprimersi, ma il pensiero va subito alla svalutazione dello yuan cinese che preoccupa i mercati internazionali.