Ci sarà un motivo se gli arcinemici di Renzi sono gli stessi odiatori del Cav.
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Sindacati, industriali, giornaloni, parrucconi, clericali d’assalto e club della finanza speculativa anti europea
di Sergio Soave | 13 Agosto 2015 ore 17:26 Foglio
L’ormai lungo catalogo dei nemici di Matteo Renzi presenta una curiosa somiglianza, che sfiora l’identità, con quello degli ambienti e delle organizzazioni che si distinsero nella battaglia senza quartiere contro il “berlusconismo”. Basta scorrere una lista sommaria per rendersene conto. Si può cominciare dai settori sindacali più tradizionalisti, sia quelli nostalgici di una concertazione paralizzante, sia quelli che combatterono e osteggiano tuttora l’ipotesi di concertazione in nome di un antagonismo irriducibile. Sarebbe miope chi non vedesse, dietro questa coriacea resistenza all’innovazione della Cgil, una sintonia con ambienti confindustriali dediti alla manutenzione di un sistema di relazioni industriali obsoleto e ingessato, quegli stessi che a suo tempo stroncarono il tentativo di innovazione messo in atto da Antonio D’Amato. Anche la grande stampa esercita nei confronti di Renzi la stessa opera di demolizione che fu operata nei confronti di Silvio Berlusconi, in quel caso senza nemmeno gli infingimenti ipocriti ora in voga. La parabola altalenante dell’atteggiamento del Corriere, che dopo le intemerate di Ferruccio de Bortoli si era assestata su un’attenzione critica, ora è nuovamente declinata in toni drammatizzanti, come si può vedere dagli editoriali di Antonio Polito, e fa il paio con gli ondeggiamenti di Repubblica, che però oramai sembrano definitivamente superati dalla demonizzazione preventiva d’una ipotetica riedizione del patto del Nazareno.
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La magistratura associata, in cui è sovrarappresentata l’ala politicizzata e giustizialista della categoria, continua a fare muro contro qualsiasi proposta seria di riordino di un sistema giudiziario che fa acqua da tutte le parti, il che la mette in conflitto con qualsiasi governo che non accetti una subalternità indebita della rappresentanza nazionale eletta a un ordine dominato da interessi corporativi e da ambizioni di strapotere. Anche da alcuni ambienti ecclesiastici, quelli che hanno dimenticato la lezione di equilibrio e di efficacia concreta impartita a suo tempo dal cardinale Camillo Ruini, emergono gli elementi più radicali che traducono (e ogni traduzione è un po’ un travisamento) l’impegno umanitario del pontefice in invettive contro tutto e contro tutti, tra le quali naturalmente spicca l’attacco a freddo contro l’esecutivo.
Da ultimo ma certo non per ultimo va considerato il costante tentativo di delegittimazione messo in atto dalla stampa economica anglosassone. L’agenzia Bloomberg News si è esercitata nella bocciatura preventiva della manovra finanziaria di fine anno, che non sarebbe in grado di rispettare l’impegno alla riduzione delle tasse. L’editor in chief dell’agenzia che ha pubblicato questa analisi jettatoria è John Micklethwait che, come direttore di Economist, era stato autore delle notissime demolizioni della politica non solo economica di Berlusconi, considerato globalmente “unfit” a dare risposte alla crisi italiana. E’ comprensibile e comunque noto che vi siano ambienti finanziari internazionali che vedono come il fumo negli occhi qualsiasi stabilizzazione nell’area dell’euro e che quindi puntano da anni sull’Italia come anello debole che potrebbe far saltare tutta la catena. Dal loro punto di vista, Renzi e Berlusconi, per il tentativo che compiono di dare attendibilità alla presenza italiana in Europa, sono obiettivi polemici quasi automatici. Casomai dovrebbero essere gli esponenti dell’establishment italiano a rendersi conto che quegli attacchi hanno una finalità che non può essere condivisa da chi, seppure da posizioni critiche, punta a una crescita economica e a una funzione europea dell’Italia. Ma a quanto pare i sindacati, i parrucconi e i grandi giornali (e persino paradossalmente il Giornale che ha fatto da megafono alle recenti invettive di Bloomberg), anche se riempiono colonne su colonne di retorica sulla responsabilità nazionale, poi rinunciano a esercitarla nel loro ambito appena appare all’orizzonte l’immagine di un premier sgradito.
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