Perché Renzi capirà presto che al suo governo serve un nuovo selfie con Berlusconi
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Senza un patto o un mini patto del Nazareno, che lo si voglia o no, non ha senso né questa legislatura né tantomeno il renzismo
di Claudio Cerasa | 09 Agosto 2015 ore 16:44
Non c’è nulla da fare: prima o poi toccherà farsi un selfie con Berlusconi. Ci si può girare attorno quanto si crede e si può far finta di negare l’evidenza a costo di non accorgersi di avere dei gustosi affettati sugli occhi. Ma alla fine dei conti il risultato è sempre quello: oggi senza un patto o un mini patto del Nazareno, che lo si voglia o no, non ha senso né questa legislatura né tantomeno il renzismo. Al contrario di quello che si crede, però, non si tratta qui solo di una questione di numeri e di equilibri parlamentari ma si tratta di un tema che coinvolge in modo profondo la traiettoria di Renzi e che riguarda l’identità della sua offerta politica.
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Se vogliamo è questo il vero tema politico dell’estate: può davvero il presidente del Consiglio permettersi, con un divorzio forse non più rinviabile con la minoranza del suo partito, di non decidere che direzione prendere e restare a metà tra chi sogna di coinvolgere nel suo progetto pezzi del vecchio centrodestra, strappando cioè idee, progetti e voti ai nemici di una vita, e chi sogna invece di far restare il centrosinistra ancorato alle sue tradizioni, alla sua storia e al suo passato più o meno glorioso che tanti danni addusse al partito degli smacchiatori di giaguari? La risposta a questa domanda è centrale per capire dove potrà arrivare Renzi e quanta distanza ci potrà essere tra enunciazione e rottamazione. Ed è una domanda centrale non da oggi ma dall’inizio di quest’anno, dalla fine di gennaio, e coincide con la scelta fatta da Matteo Renzi di forzare sul presidente della Repubblica per far salire al Quirinale un capo dello Stato non nazarenico (almeno apparentemente) capace di essere dunque, per la gioia di Rosy Bindi, il simbolo prima di tutto della fantomatica “unità del centrosinistra”. Quella scelta, come si è visto, ha complicato (e di molto) il percorso del Pd renziano, ha avvicinato in alcune occasioni il segretario del più grande partito italiano alle braccia della minoranza del Pd e ha costretto lo stesso Renzi a cercare vie di fuga efficaci (ma spesso transitorie) per evitare che il governo Leopolda potesse diventare una copia sbiadita del governo Letta. Mini nazareni costruiti con pezzi dell'opposizione, patti di non belligeranza al Senato e accordi con gli avversari solo su alcune precise partite politiche (la Rai, ma non solo).
Problema: può continuare così, Renzi? Può pensare di seguire lo schema patchwork, con maggioranze disegnate e improvvisate caso per caso, ancora a lungo, o all’infinito? Certo che può farlo e la minoranza del Pd, in fondo, è l’ultima a poter rimproverare Renzi: il presidente del Consiglio sta di fatto facendo quello che non riuscì a fare Bersani, sta governando senza avere una maggioranza fissa, sta cercando di trovare i voti caso per caso su ogni singolo provvedimento e d’altronde non può che essere così, considerando che al Senato, dove i numeri ballano, un pezzo della minoranza Pd si muove come se fosse un partito autonomo, mettendo periodicamente in discussione la fiducia a questo governo. Renzi, dunque, può arrivare anche alla fine della legislatura con questo assetto, con i voti che su alcune partite gli potrebbero essere offerti anche dal nostro Verdini e dai suoi compagni di viaggio.
Ma, se è vero che Renzi ha la necessità di coltivare e costruire una sua base sociale stabile e duratura, è anche vero allora che il presidente del Consiglio ha la necessità assoluta di non nascondersi più dietro un dito e di mettere nero su bianco il suo progetto. Rendendolo visibile a tutti, alla luce del sole, e ammettendo che per fare alcune riforme, e portare a compimento questa legislatura, persino per darle un senso, è necessario riconoscere che ha ragione il governatore Ignazio Visco e che in questa fase politica non esistono riforme di destra e di sinistra ma esistono per lo più riforme di buon senso che è compito di chi governa portare avanti, senza badare troppo al fatto che in passato erano stati i propri avversari ad aver suggerito quelle stesse riforme. Nell’agenda di Renzi esistono molte di quelle riforme di buon senso di cui avrebbe bisogno il paese, e anche la sinistra, ma il problema è che molte di quelle riforme possono essere realizzate solo triangolando con l’opposizione e mettendosi d’accordo con chi ci sta. Dalla riduzione delle tasse alla lotta alla burocrazia passando per la revisione della spesa pubblica e il completamento delle riforme istituzionali e costituzionali: può davvero Renzi riuscire a realizzare i suoi progetti senza scattare un selfie con Berlusconi?
Da un certo punto di vista, in realtà, la grande coalizione esiste già, la si vede nel quotidiano, nelle scelte strategiche, nelle nomine, nello spin, nelle parole, nei momenti in cui si esce dall’aula per non far cadere il governo, nel momento in cui si sceglie di abbassare il numero legale per non far notare che la maggioranza non ha i numeri al Senato. Il patto esiste già nella dinamica degli atti parlamentari e avrebbe senso esplicitarlo e non nasconderlo non solo per rendere inefficace l’opposizione interna, e inchiodarla a quello che spesso somiglia a un odore stantio di ostruzionismo, ma anche per arrivare alle prossime elezioni con il profilo giusto di chi dice: “Il mio compito non è solo rifare il centrosinistra ma è quello di allargarlo, di riscrivere le coordinate, fosse anche il dna, e per fare questo bisogna avere il coraggio di andare fino in fondo e dissotterrare anche in Parlamento uno spirito costituente che si può raggiungere solo collaborando in modo stabile con l’opposizione e che non può che essere l’unico orizzonte strategico di questa legislatura”.
Se vogliamo semplificare, possiamo dire che oggi non ci può essere il vero Renzi se non c’è un patto di governo del Nazareno. E in fondo dovrebbe essere chiaro anche al Pd che per prepararsi a tutte le prossime elezioni e aprire definitivamente il suo recinto non c’è modo migliore di attirare tra le sue braccia nuovi elettori se non accogliere nuovamente al Nazareno i nemici di una vita (e Berlusconi, per varie ragioni, ci starebbe eccome e gli converrebbe eccome, anche per evitare di ritrovarsi improvvisamente condannato a dover affrontare elezioni anticipate). E avere paura a farsi un selfie con Berlusconi significa non capire la lezione che da un decennio ci offre Angela Merkel: si può contemporaneamente far bene al proprio paese e rafforzare il proprio partito anche facendo riforme di buon senso con l’aiuto degli avversari. Senza un accordo stabile che vada in questa direzione, invece, la maggioranza di governo sarà eternamente instabile e anche il renzismo, in un certo senso, non riuscirà a mettere i piedi per terra e rimarrà eternamente incompleto ed eternamente ostaggio di una minoranza fedele e coerente con le proprie idee, ma con la piccola peculiarità che quelle idee eternamente uguali e coerenti con se stesse sono anche eternamente perdenti.
La grande coalizione è dunque una buona idea e l’estate potrà servire a Renzi per capire che per fondare un nuovo centrosinistra alternativo al salvinismo e al grillismo il modo migliore è quello di scegliere una nuova direzione. Che potrebbe essere quella vincente, non solo per il Pd ma alla lunga, chissà, anche per il paese.
Da un certo punto di vista, in realtà, la grande coalizione esiste già, la si vede nel quotidiano, nelle scelte strategiche, nelle nomine, nello spin, nelle parole, nei momenti in cui si esce dall’aula per non far cadere il governo, nel momento in cui si sceglie di abbassare il numero legale per non far notare che la maggioranza non ha i numeri al Senato. Il patto esiste già nella dinamica degli atti parlamentari e avrebbe senso esplicitarlo e non nasconderlo non solo per rendere inefficace l’opposizione interna, e inchiodarla a quello che spesso somiglia a un odore stantio di ostruzionismo, ma anche per arrivare alle prossime elezioni con il profilo giusto di chi dice: “Il mio compito non è solo rifare il centrosinistra ma è quello di allargarlo, di riscrivere le coordinate, fosse anche il dna, e per fare questo bisogna avere il coraggio di andare fino in fondo e dissotterrare anche in Parlamento uno spirito costituente che si può raggiungere solo collaborando in modo stabile con l’opposizione e che non può che essere l’unico orizzonte strategico di questa legislatura”.
Se vogliamo semplificare, possiamo dire che oggi non ci può essere il vero Renzi se non c’è un patto di governo del Nazareno. E in fondo dovrebbe essere chiaro anche al Pd che per prepararsi a tutte le prossime elezioni e aprire definitivamente il suo recinto non c’è modo migliore di attirare tra le sue braccia nuovi elettori se non accogliere nuovamente al Nazareno i nemici di una vita (e Berlusconi, per varie ragioni, ci starebbe eccome e gli converrebbe eccome, anche per evitare di ritrovarsi improvvisamente condannato a dover affrontare elezioni anticipate). E avere paura a farsi un selfie con Berlusconi significa non capire la lezione che da un decennio ci offre Angela Merkel: si può contemporaneamente far bene al proprio paese e rafforzare il proprio partito anche facendo riforme di buon senso con l’aiuto degli avversari. Senza un accordo stabile che vada in questa direzione, invece, la maggioranza di governo sarà eternamente instabile e anche il renzismo, in un certo senso, non riuscirà a mettere i piedi per terra e rimarrà eternamente incompleto ed eternamente ostaggio di una minoranza fedele e coerente con le proprie idee, ma con la piccola peculiarità che quelle idee eternamente uguali e coerenti con se stesse sono anche eternamente perdenti.
La grande coalizione è dunque una buona idea e l’estate potrà servire a Renzi per capire che per fondare un nuovo centrosinistra alternativo al salvinismo e al grillismo il modo migliore è quello di scegliere una nuova direzione. Che potrebbe essere quella vincente, non solo per il Pd ma alla lunga, chissà, anche per il paese.
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