Al sud i soldi pubblici sono il problema e non la soluzione
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E’ davvero a corto d’idee un governo che pensa di risolvere la crisi del Mezzogiorno ricorrendo ai vizi che l’hanno causata
di Nicola Rossi | 06 Agosto 2015 ore 20:11 Foglio
Di solito – più o meno a tutte le latitudini – ci si candida a governare perché si ha un’idea di dove si vuole che una comunità vada. E si viene eletti perché almeno la maggioranza relativa degli elettori pensa che quell’idea sia meno cattiva delle altre. Da noi – in Italia, intendo – no. Noi siamo – come dire? – diversi. E non ci spaventa la possibilità che si inverta l’ordine dei fattori e che una classe dirigente governi senza avere un’idea di dove mai dovremmo andare. Come se si potesse prima conquistare il potere e poi domandarsi perché mai lo si è fatto. Altrove, nel mondo, la considererebbero una scelta molto rischiosa ma evidentemente noi il rischio lo amiamo.
Che le cose stiano in questi termini è ormai un po’ più che un sospetto. Gli esempi cominciano ad essere fin troppi. Quel che colpisce è che sembra non si voglia perdere occasione per confermare questa impressione. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, è dato dal Mezzogiorno. Sulla condizione delle regioni meridionali, il presidente del Consiglio non ha saputo far altro se non ricordare “i contratti di sviluppo e Invitalia per forme di finanziamento di imprese innovative” e chiedere che vengano sbloccati “i progetti incagliati, da Ilva a Bagnoli, dalla Sicilia a Reggio Calabria”. E il ministro dello Sviluppo economico, per non essere da meno, non ha saputo far altro se non evocare il piano Marshall: “un piano da almeno 70, 80 miliardi di euro sulle nuove infrastrutture. Una cifra poderosa, il fulcro di un modello di rilancio”. E’ lecito presumere che la direzione del principale partito di governo si eserciterà a breve nella stessa direzione.
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Con tutto il rispetto per le persone citate, bisogna essere fermi agli anni 80 per pensare che il problema del Mezzogiorno sia un problema di risorse (e anche allora i dubbi non mancavano). Bisogna aver passato gli ultimi vent’anni su Marte per pensare che la soluzione stia nei contratti di sviluppo o nel supporto pubblico ad attività economiche spesso fuori mercato. Più precisamente, bisogna essere terribilmente a corto di idee per pensare che si possa invertire un trend facendo esattamente le stesse cose che lo hanno determinato. E’ un peccato – va detto – perché il silenzio del governo sul Mezzogiorno sembrava nascondere una idea ed un approccio radicalmente nuovi a quello che era e rimane una delle questioni chiave del paese. Appariva rifrescante la scelta di tacere piuttosto che di rifugiarsi nelle frasi fatte e nell’idea del Mezzogiorno eterna “risorsa” del paese. Non era così: si taceva semplicemente perché non si sapeva che dire. E infatti, quando è diventato impossibile tacere è diventato inevitabile ricorrere alle banalità.
Il peso dell’operatore pubblico nell’economia meridionale è largamente superiore a quello osservato nell’economia centro-settentrionale ed è andato crescendo nell’ultimo quindicennio. Per fare solo un esempio, i beni e servizi messi a disposizione del settore privato dall’operatore pubblico nel Mezzogiorno valevano nel 2000 poco meno del 30 per cento del prodotto dell’area (contro il 15 per cento circa del Centro-Nord). Oggi si attestano intorno al 34 per cento (contro il 17 per cento del Centro-Nord). Ciò nonostante (o forse esattamente per questo motivo) il Mezzogiorno non regge il confronto in tutti – ma proprio in tutti – gli indicatori di efficacia ed efficienza dell’operatore pubblico.
L’istruzione, la giustizia civile, la sanità, la sicurezza e l’ordine pubblico, la qualità dei servizi ambientali, i trasporti pubblici locali, il servizio idrico, la gestione dei rifiuti, i servizi di cura: in tutti i campi in cui servirebbe un operatore pubblico efficiente (se non altro come regolatore), nel Mezzogiorno manca pur non mancando le risorse. Rapida traduzione per chi vuole correre a fare un bagno: in un’economia ed in una società già strutturalmente deboli, quelli che si moltiplicano senza sosta sono soprattutto (o solo) i canali di intermediazione politica e burocratica e con essi il volume di risorse quotidianamente sottratto alle scelte dei singoli e ad una allocazione efficiente. C’è bisogno di aggiungere molto altro? Ci vuole così tanto per capire che le risorse pubbliche nel Mezzogiorno non sono la soluzione ma sono spesso e volentieri parte integrante del problema? E’ così difficile intuire che dopo le parole del presidente del Consiglio e del ministro dello Sviluppo economico i protagonisti – in negativo – di quest’ultimo ventennio nel Mezzogiorno hanno brindato ai prossimi vent’anni? E’ mai possibile che una classe dirigente apparentemente così nuova e fresca sia in realtà già decrepita? Fra i consiglieri economici del presidente del Consiglio non manca chi del Mezzogiorno si è occupato con lucidità e acutezza. Visto che siamo di fronte ad un evidente debito formativo, è ipotizzabile un corso di recupero last minute? Si può organizzare qualche ripetizione mirata? Settembre è vicino!
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