Puglia, le testimonianze delle braccianti italiane sfruttate
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Orari disumani. Paghe da fame. Ricatti da parte delle caporali. Due braccianti pugliesi raccontano a L43 la loro vita, tra campi e magazzini.
di Francesca Buonfiglioli | 06 Agosto 2015 Lettera43
In Puglia almeno 40 mila donne lavorano nell'ortofrutticolo.
Anna (il nome è di fantasia) ha 36 anni e due figlie. Lavora nei campi pugliesi da quando ne aveva 14. E ha un solo desiderio: non fare vedere mai alle sue bambine la campagna. Perché la campagna «è bruttissima».
«LE MIE FIGLIE SI MERITANO UNA VITA DIVERSA». Anna sa che il suo lavoro è la bracciante: dalle fragole di primavera all'uva di ottobre, passa la sua vita nei campi e nei magazzini, dove i prodotti sono stoccati.
«Ho sempre fatto questo, e questa resterà la mia vita», racconta a Lettera43.it. «Ma voglio un futuro diverso per le mie piccole perché non vivano quello che ho vissuto io, e non debbano seguirmi sui campi come mi ha costretto a fare mia madre».
E dire che lei si ritiene fortunata. «Molte mie colleghe sono sfruttate e si lamentano per i caporali», dice convinta.
Anna invece è dipendente di un'azienda, ha un contratto e guadagna 28 euro al giorno. Vero, la sua busta paga è più leggera di quella di un uomo, ma non si lamenta. Se non per il fatto che i suoi datori di lavoro, come spesso accade, dichiarano salari giornalieri più alti - 40, 41 euro - e meno giorni lavorati in modo da non incappare in qualche ispezione.
ISPEZIONATE SOLO IL 4,5% DELLE AZIENDE. Rischio che, in Puglia, è basso. Come ha spiegato Giuseppe Deleonardis, segretario regionale di Flai Cgil, nel 2014 i controlli sono stati 1.818 su 40 mila imprese. Nel 55% dei casi è stata denunciata una qualche inadempienza. E di questi l'80% era per lavoro nero.
«Ci svegliamo alle 2 di notte. La caporale passa con il bus alle 3»
Maria (altro nome di fantasia), invece, è meno «fortunata». Ha 44 anni, di cui più di 30 passati nei campi.
Le ore di lavoro «dipendono dalla giornata», spiega. Così come il luogo di lavoro che spesso viene comunicato la sera prima.
Si sveglia alle 2, 2 e mezza ogni mattina. Deve essere alla fermata del paese alle 3, quando la caporale la passa a prendere col bus. Vicino a lei siedono molte donne, soprattutto rumene. E qualche uomo.
«La scorsa settimana però», aggiunge, «siamo partite un'ora prima, alle 2 perché dovevamo andare a tagliare l'uva alle porte di Foggia».
IL TRASPORTO A CARICO DELLA LAVORATRICE. E con i chilometri, aumenta anche il prezzo del passaggio. Dai 5, 10 euro arrivano fino a 10, 15, detratti naturalmente dalla paga giornaliera di 36 euro circa.
Si lavora sodo, fino a 10 ore al giorno, contro le 6 e mezzo contrattuali. Di straordinari nemmeno l'ombra.
L'azienda per la quale lavora Maria non possiede terre, ma compra e raccoglie i prodotti. «Non sappiamo nemmeno chi ha il terreno», sorride amara.
IL RICATTO QUOTIDIANO. Lamentarsi, o solo chiedere chiarimenti su orari, contratti e buste paga non conviene: «La caporale trova il modo di punirti. Per esempio non ti fa lavorare per due, tre giorni di fila».
La regola in altre parole è non rompere le scatole e cercare di stare simpatica a chi comanda. Solo così, anche quando il lavoro diminuisce, hai garantito il turno. Altrimenti stai a casa. E addio paga.
Si vive quotidianamente sotto ricatto. Per questo «è quasi impossibile che una bracciante italiana denunci una caporale», precisa Maria, «la voce si spargerebbe in giro, e per lei non ci sarebbe più lavoro».
«Sotto i tendoni a 50 gradi senza acqua»
Molte delle donne sfruttate in Puglia sono rumene.
Chinate a raccogliere fragole o ad acinellare l'uva, le donne lavorano dalle 8 alle 10 ore. Perché dopo il campo, o sotto i tendoni dove la temperatura raggiunge facilmente i 50 gradi, ci si sposta nei magazzini dove si imballano i prodotti.
STRONCATE DALLA FATICA. «Se finisce l'acqua», spiega Maria, «nessuno te la dà. Non si beve e basta». In queste condizioni non stupisce che si muoia. Come è accaduto alla bracciante di San Giorgio Ionico, morta a Nardò il 13 luglio scorso, forse stroncata dalla fatica. Anche se le vere cause del decesso non si conosceranno mai, visto che non è stata chiesta l'autopsia (intanto salgono a tre i braccianti morti nel giro di pochi giorni in Puglia: oltre alla 49enne di Nardò e Mohammed, sudanese, un 52enne tunisino è deceduto martedì in un’azienda agricola di Polignano a Mare).
Finite le ore, si riprende il pullman: un'ora e mezzo, due di strada e si torna a casa. «Dove cerco di sbrigare le faccende domestiche, solo l'essenziale», dice ancora Maria, quasi giustificandosi.
LE MORTI DEGLI ANNI 80. Una vita dura, durissima. Che lei ha cominciato a fare a 11 anni. «Allora le condizioni erano anche peggiori, soprattutto per il trasporto. Negli Anni 80 molti braccianti sono morti in incidenti per arrivare sul posto di lavoro». Le cose sono poi migliorate, ma per poco.
«Adesso siamo tornati indietro. Nonostante le donne non siano più ignoranti come un tempo», aggiunge. «Le nostre mamme avevano una cultura limitata. Ora siamo istruite, molte di noi sonoi diplomate».
«ORA TRA NOI MANCA LA SOLIDARIETÀ». Eppure, paradossalmente, in passato si lottava di più. «C'era un maggiore senso del gruppo, più solidarietà. Adesso ognuna pensa a se stessa, a portare a casa la pagnotta. Se puniscono una di noi lasciandola a casa per due o tre giorni, le altre si voltano dall'altra parte».
La crisi, soprattutto al Sud, ha giocato un ruolo importante. Gli impietosi dati diffusi da Svimez parlano chiaro.
OCCUPAZIONE FEMMINILE AI MINIMI. A fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64% nell’Europa a 28 in età 35-64 anni, il Mezzogiorno si ferma al 35,6%. Le percentuali sono più preoccupanti se si considerano le under 34: l'occupazione al Sud si ferma al 20,8% contro una media nazionale del 34% (il Settentrione segna un 42,3%) ed europea del 51%. Per le donne del Sud non ci sono molte alternative. «Siamo costrette ad accettare quello che troviamo, anche a condizioni disumane».
«LO STATO SI È DIMENTICATO DI NOI». «Ci sentiamo abbandonate dallo Stato», mette in chiaro Maria con la voce ferma. «Ogni notte partono centinaia di bus dai paesi della Puglia, e ogni pomeriggio fanno rientro, proprio nell'ora della pennichella, quando tutti - carabinieri e polizia compresi - possono vederci. Ma nessuno alza un dito, nessuno fa qualcosa per fermare questa piaga. Siamo come dei fantasmi».
E si arrabbia anche quando sente il presidente del Consiglio Matteo Renzi accusare i meridionali di piangersi addosso.
«Che venisse a fare il mio lavoro», lo invita, «ma alle stesse condizioni. E anche solo per una settimana».
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