orsi & tori. Class Cnbc assieme a Cnbc International, l'unica tv che ha illustrato al mondo minuto per minuto
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cosa stava succedendo a Bruxelles, il focus è inevitabilmente scivolato sui riflessi degli accadimenti greci nei confronti dell'Italia.
di Paolo Panerai Italia Oggi 18.7.2015
Nella notte più lunga della Grecia, fra domenica 12 e lunedì 13, nella lunga maratona televisiva di Class Cnbc assieme a Cnbc International, l'unica tv che ha illustrato al mondo minuto per minuto cosa stava succedendo a Bruxelles, il focus è inevitabilmente scivolato sui riflessi degli accadimenti greci nei confronti dell'Italia. A non pochi è parso che la durezza della Germania, fino al tentativo di esproprio della sovranità con la richiesta di collocare il fondo di garanzia da 50 miliardi composto da beni dello Stato al di fuori dei confini ellenici, in Lussemburgo, sia un ammonimento molto forte anche nei confronti dell'Italia. Da mesi il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, si impegna a dire che l'Italia non subirà nessun contagio. Ancora più categorico è stato ed è il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Queste rassicurazioni sono convincenti o hanno il sapore di un'excusatio non petita? Per molti aspetti si deve propendere per la seconda ipotesi, anche se è fuor di dubbio che l'Italia non è la Grecia. Non è la Grecia, ma nelle ultime settimane sono stati ripetuti i richiami prima del Fondo monetario internazionale, poi in persona del presidente della Bce Mario Draghi sulla necessità per l'Italia di ridurre il debito, arrivato (ultimo dato) a 2.226 miliardi di euro. Se non bastasse, come segnala il professor Paolo Savona, dall'Ocse, cioè dagli ex colleghi del ministro Padoan, è stato diramato un dato del rapporto debito/pil italiano nettamente peggiorativo rispetto a quanto noto finora: in pratica secondo l'Ocse la percentuale debito/pil nel 2014 sarebbe passata a ben il 156%, dal 142,95% del 2013, mentre la percentuale ritenuta ufficiale parla del 133%. Ragionando come fa Savona nella lettera a Padoan per chiedere spiegazioni su come fanno i calcoli all'Ocse, emergerebbe una mancanza di 210 miliardi di pil o un debito enormemente superiore. E Savona, anche rispettando la massima andreottiana, secondo cui a pensare male si fa peccato ma quasi sempre s'indovina, si domanda se questa non sia la prima mossa per mettere nel mirino il caso Italia appena sarà concluso l'iter in atto per la Grecia, e quindi offrire alla speculazione un assist formidabile.
Viene quindi spontaneamente da domandarsi: fra quanto tempo il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, artefice dell'attacco alla Grecia, arriverà a chiedere un fondo simile all'Italia?
Se fossero buoni i dati dell'Ocse (e Savona chiede a Padoan, vista la sua conoscenza dell'Ocse, di chiedere il metodo di calcolo utilizzato) il debito italiano non sarebbe lontanissimo, in percentuale rispetto al pil, al 180% della Grecia. Bisogna essere ciechi per non capire che è in atto, subito dopo la Grecia, una sorta di azione convergente dei tre più importanti organismi internazionali (Fmi, Bce e da ultimo l'Ocse) per far capire al governo italiano che il debito potrebbe diventare presto insostenibile, senza considerare la ricchezza finanziaria delle famiglie che è stimata pari al 184% del pil. Siccome le famiglie e le imprese hanno già dato, come dicono a Genova, diventa inevitabile a breve una richiesta netta, ancora più netta di quella già formulata da Fmi e Draghi, di tagliare il debito pubblico.
Di questa esigenza un anno fa, nel breve soggiorno per ferie in Toscana, il presidente Renzi era convinto, anzi convintissimo. Poi ha dovuto subire (anche se lui è convinto di non subire mai) le teorie dell'econometrista Padoan, secondo cui il rapporto debito/pil migliora solo con le riforme, facendo crescere lo sviluppo. Non vi è dubbio che se cresce lo sviluppo e se si taglia la spesa pubblica improduttiva, il rapporto migliora enormemente. Ma queste sono teorie: da anni la spesa pubblica continua a crescere mentre il pil, a causa della più grave crisi della storia, invece di crescere è calato.
Non più tardi di un mese e mezzo fa, intervistato dal floor di Wall Street da Silvia Berzoni, il simpatico ministro Padoan ha spiegato che nel 2015 c'è un ritorno alla crescita, sia pure solo dello 0,7%, e una risalita dell'inflazione e soprattutto che sia la crescita che l'inflazione saranno più alte l'anno prossimo, per cui nel 2016 il rapporto debito/pil comincerà a calare. Insomma, la solita teoria delle assumption dei ministri condizionati dalla loro cultura economica e dalle strutture del ministero, direzione generale del Tesoro e Ragioneria generale dello Stato in primo luogo.
Anche il ministro dell'Economia del governo Monti, l'ex banchiere d'affari Vittorio Grilli, in una intervista al direttore del Corriere della Sera che resterà storica, per rispondere a chi (e il numero è esponenzialmente crescente) sostiene, come i giornali e i canali Tv di Class editori, che è necessario un taglio netto vendendo patrimonio dello Stato, affermò con grande serenità: il problema di tagliare il debito non esiste, il debito è sostenibile; assumiamo che l'anno prossimo crescano l'inflazione e il pil, il rapporto calerà. E diede anche dei numeri, che è meglio non ripetere per mostrare quanto poco affidabili e puramente teoriche siano le previsioni degli economisti che ragionano solo sui numeri e non sulla realtà immanente. Ma c'è di più.
Durante la maratona della settimana scorsa Class Cnbc ha potuto intervistare da Londra, dove ora è visiting professor alla London School of Economics, l'ex capo degli economisti del ministero, il cortese e preparato Lorenzo Codogno.
Con tono gentile e non polemico, Codogno ha ripetuto la tesi per cui il debito si mette a posto solo con le riforme che generano crescita e riducono la spesa pubblica. Gli ha risposto in diretta l'ex direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale, ex direttore generale della Banca d'Italia, ex ministro del Tesoro, ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri, Lamberto Dini: «Quanto lei afferma, professore, è scritto sui libri con cui si insegna nelle università; la realtà è un'altra rispetto a obiettivi come lei pone e come è stata posta da tutti gli ultimi ministri dell'Economia: di fatto la spesa è solo salita e non scesa, e oggi l'Italia con il debito che ha paga un costo enorme sia in termini di interessi che di rischio attacco speculativo; se non ci fosse in atto il Qe di Mario Draghi, dove pensa che sarebbe lo spread?».
Con cortesia, ma con vigore, Codogno ha finalmente svelato il modo in cui ragionano al ministero dell'Economia (e non solo), rispetto all'ipotesi di un taglio netto del debito vendendo patrimonio, obiettavo, per il quale esistono numerose e tutte interessanti ricette oltre a quella proposta da L'Italia c'è, l'associazione nata intorno a questo giornale e agli altri media di Class editori. «Mi è ben nota la vostra proposta», ha spiegato Codogno. «Al ministero l'abbiamo esaminata ma abbiamo concluso che non cambierebbe niente». Ah, sorprendente professore, ma com'è possibile che non cambierebbe niente, gli ho replicato. «Semplice», ha risposto con candore Cotogno, «il debito diminuirebbe ma diminuirebbe anche il patrimonio che i creditori vedono a garanzia del debito stesso».
Incredibile: al ministero dell'Economia domina il convincimento che avere 400 miliardi di debito in meno e altrettanto patrimonio in meno non cambierebbe niente. E gli interessi che non si pagherebbero più su quei 400 miliardi per chi lavora in Via XX Settembre a Roma non sono niente? Mal contati, anche con gli interessi attuali (ma presto saliranno e non poco, sulla scia americana e su quella della crescita dell'economia in Europa) su 400 miliardi di debito l'Italia paga ogni anno almeno una quindicina di miliardi di euro. Non sarebbero queste risorse destinabili allo sviluppo attraverso il taglio delle tasse per aziende e famiglie? E poi, come ha replicato anche Dini, non si tiene conto in Via XX Settembre che è il debito enorme a impedire all'Italia di essere autorizzata, come la Francia, a poter sforare nella perdita annuale del bilancio dello Stato, il che consentirebbe di liberare altre risorse per lo sviluppo?
Come si vede, chi guida l'economia del Paese non fa come qualsiasi imprenditore che ha un forte debito, nettamente superiore al fatturato, e tassi di interesse soffocanti da pagare: se ha patrimonio da vendere lo fa il più rapidamente possibile. Per fare un solo esempio, se la Pirelli, nella crisi post Continental, non avesse potuto vendere il grattacielo di Giò Ponti e i terreni della Bicocca, oggi non sarebbe produttiva com'è. Sembra quasi che in Via XX Settembre vivano nelle nuvole di un mondo ideale che non esiste.
Ctegoria Italia