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Renzi, Letta, il generale Adinolfi e altre smargiassate irrilevanti da Repubblica del pettegolezzo
di Salvatore Merlo | 14 Luglio 2015 ore 06:18 Foglio
Adesso immaginiamo che Matteo Renzi, al telefono con l’ormai famoso generale Adinolfi, avesse pronunciato le seguenti parole: “Enrico Letta è troppo in gamba. Mi sta fregando. Sta uscendo dalla crisi e sta rilanciando il paese. Devo sbrigarmi a farlo cadere, sto organizzando una manovra per impedirgli di diventare il Merkel italiano. Quello, se continua così, governa per vent’anni”. Accidenti che scoop per mezzo d’intercettazione telefonica! Chapeau. Ma Renzi, allora segretario del Pd, in quella conversazione con l’alto ufficiale della Guardia di Finanza è in realtà il solito bullo, la solita bocca mobile e pronta all’ammicco e al sarcasmo, è lo stesso dello storico e perculante tuìt #enricostaisereno. Non usa iniziatiche allusioni, indecifrabili perifrasi, contorte reticenze, diabolici machiavellismi, non sorprende, ma dice chiaro e tondo: “Letta è un incapace”. Punto. Che è poi, all’incirca, quello che Renzi, in quei mesi, insensibile a ogni sofisma e cieco a ogni mistero politico com’è, andava ripetendo praticamente a chiunque tranne che al diretto interessato, cioè a Letta, in una contrattualità di rapporti, tra lui e l’ex presidente del Consiglio, in cui la giocosa e proterva crudeltà fluiva come un dono, una benedizione poi esplosa nello stiracchiatissimo tradimento di febbraio 2014, una coltellata da cui Letta non si è più riavuto.
E insomma attraverso le intercettazioni i quotidiani sembrano avere questo potere, di riciclare e mettere in mostra ogni giorno, con una forza di recupero sbalorditiva, merce deteriorata. Il Giornale, per esempio, ha molto strepitato perché, nelle chiacchiere in trattoria con Dario Nardella, il loquace Adinolfi quasi conferma che Giorgio Napolitano ce l’aveva con Silvio Berlusconi. Sai che scoop. Il Cavaliere ha passato sette anni a ripeterlo persino ai muri che – citazione letterale – “quello è il mio nemico”. E in particolare Berlusconi aveva raggiunto un livello quasi ossessivo, tanto da stordire di lamentele i commensali di Arcore quando Napolitano non gli volle firmare la grazia (o meglio una raffica di provvedimenti di clemenza).
E si tratta evidentemente di ammirevoli incastri di cliché e stereotipi, senza una sbavatura nell’imprevisto anche quando Adinolfi allude con uno scambio di battute da circonvallazione esterna a una presunta ricattabilità di Napolitano per poco chiare ragioni che riguardano suo figlio Giulio, argomento in quei mesi di più d’un malizioso articolo di giornale. E insomma Adinolfi, in un pazzotico cortocircuito, leggeva i quotidiani e ripeteva a pappagallo pettegolezzi e malizie orecchiate, per poi finire, un anno dopo, citato e un po’ mascariato su quegli stessi giornali. Nemesi. E che dire poi della straordinaria rivelazione che consiste nel far risalire i rapporti tra Renzi e Berlusconi a prima del Nazareno? Come se non fosse stato Renzi quel sindaco di centrosinistra che, facendo scandalo, a dicembre del 2010 andò in visita ad Arcore sentendosi dire dal Cavaliere: “Tu mi assomigli”.
C’è chi sostiene che sia nella spazzatura delle conversazioni a ruota libera che si nasconde la realtà delle cose, perché è nel codice rilassato di una battuta in trattoria che si occultano gli umori, e insomma è nelle intercettazioni, anche in quelle più sciocche e smargiasse, che si svelano i traffici e si rivelano i misteri. Il caso Adinolfi, per la verità, sembra dimostrare il contrario. E il mistero è un altro: chi ha deciso di togliere gli omissis che proteggevano le conversazioni penalmente irrilevanti tra Adinolfi, Renzi e Nardella? L’unico mistero da svelare è questo.
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