Quel che ci chiede l’Europa sull’immigrazione
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La solidarietà ha un prezzo che si chiama responsabilità, dicono i tedeschi. Numeri e quote vincolanti
di David Carretta | 16 Giugno 2015 ore 20:23 Foglio
Bruxelles. La “solidarietà” dell’Unione europea sull’immigrazione ha un prezzo che si chiama “responsabilità”. E’ questo il messaggio arrivato da Germania e Francia, i due paesi chiave per ottenere l’attivazione del “meccanismo di risposta di emergenza”, con cui la Commissione di Jean-Claude Juncker vorrebbe trasferire 40 mila richiedenti asilo da Italia e Grecia verso altri paesi europei. Non c’è solo l’opposizione della Spagna e dei paesi dell’est alle quote obbligatorie, ampiamente espressa durante il Consiglio affari interni dell’Ue a Lussemburgo. Fare gli “Tsipras dell’immigrazione”, minacciando “piani B” con permessi di soggiorno temporanei per legalizzare la fuga dei migranti verso altri paesi, rischia di essere controproducente e di provocare altre rappresaglie in stile Ventimiglia. Le condizioni per il via libera alla solidarietà europea sono analoghe a quelle poste ad Atene per ottenere nuovi aiuti finanziari. La Germania è “pronta a aiutare in modo massiccio”, ma in cambio chiede “responsabilità”, ha detto il ministro tedesco dell’Interno, Thomas de Maizière. “Se questa responsabilità non è messa in opera, si rischia la fine della libera circolazione in Europa”, ha avvertito De Maizière. Quel che è richiesto all’Italia è di passare dall’emergenza permanente degli sbarchi a una gestione strutturale dei flussi migratori, utilizzando il pugno di ferro con chi non può beneficiare della protezione internazionale. “Responsabilità” significa innanzitutto “rimpatriare i migranti economici che non hanno diritto all’asilo”, ha spiegato il ministro tedesco.
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Angelino Alfano ha parlato di “risultati positivi e in alcuni casi di significative aperture”, ma ha dovuto fare marcia indietro sul “piano B”. “Noi non abbiamo proposto questo permesso” di soggiorno temporaneo, ha detto il ministro dell’Interno, ammettendo che rimpatriare chi non ha diritto all’asilo “è la chiave di volta del sistema”. Ma le espulsioni sistematiche dei migranti economici sono solo uno dei passi che l’Italia è chiamata a compiere. De Maizière ha insistito sulla necessità di abbandonare la pratica di chiudere gli occhi sulla partenza di migranti verso altri paesi, per iniziare a identificare sistematicamente (comprese le impronte digitali) chiunque arrivi irregolarmente sul territorio italiano. Per rispettare le regole di Dublino ed evitare di strapazzare quelle di Schengen, come sta avvenendo nella disputa italo-francese a Ventimiglia, i richiedenti asilo devono restare nel primo paese di arrivo, possibilmente in centri di accoglienza sotto stretto controllo, compresa la “detenzione”. Ma l’approccio strutturale passa anche da nuove norme nazionali, che consentano all’Italia di procedere rapidamente alla valutazione delle richieste di asilo, sulla base di criteri chiari, precisi e più rigidi.
Secondo i dati Eurostat sulle richieste di asilo nel 2014, nell’Ue le domande trattate sono state 490 mila, con 185 mila esiti positivi. Lo status di rifugiato è stato concesso prevalentemente a persone che provengono da zone di conflitto o a perseguitati politici, non a migranti economici. In cima alla classifica ci sono siriani (37,1 per cento), eritrei (7,9) e afghani (7,6). In Italia, la protezione internazionale viene riconosciuta in primo luogo ai cittadini di due democrazie in cui esistono persecuzioni, ma i cui migranti sono prevalentemente economici: i pachistani sono al primo posto (11,7 per cento), i nigeriani al terzo (10,4 per cento). L’Italia è anche più generosa degli altri partner nel valutare le richieste di protezione internazionale: il 59 per cento delle domande è accolto in prima istanza, contro il 44 in Spagna, il 42 in Germania, il 39 nel Regno Unito e soltanto il 22 in Francia.
Il Lussemburgo, che tra due settimane avrà la presidenza di turno dell’Ue, ha promesso di intensificare i negoziati sul “meccanismo di risposta d’emergenza” nella speranza di arrivare a un accordo sulle quote dei richiedenti asilo “entro il 30 luglio”. Se il Consiglio europeo di fine giugno non darà un impulso politico più forte, Italia e Grecia probabilmente dovranno aspettare fino a settembre per veder partire, rispettivamente, 24 mila e 16 mila siriani e eritrei. Ma, senza un approccio strutturale, i partner europei potrebbero continuare a rispondere che la solidarietà “di fatto” c’è già: con le migliaia di migranti che arrivano sul loro territorio attraversando le frontiere italiane.
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