Perché Renzi vuole far dimettere Marino, "spontaneamente"
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Che farà il premier? I piani da seguire sono due e in mezzo a questi emerge una notizia importante che riguarda il destino forse inevitabile del sindaco di Roma, prima che le procure commissarino il governo
di Claudio Cerasa | 12 Giugno 2015 ore 06:18 Foglio
Quando la giustizia, e soprattutto le procure, si avvicinano minacciose ai partiti di governo il problema è sempre quello: l’opportunità politica e il perimetro degli schizzi di fango. Ci si può girare attorno quanto si vuole ma quando dalle inchieste cominciano ad affiorare elementi che possono essere facilmente inseriti nel famoso ventilatore dagli avversari di chi governa è inevitabile chiedersi se gli schizzi di fango possano avere una gittata tale da arrivare a macchiare in modo indelebile, rendendolo “impresentabile”, il vestito di chi guida il paese. Matteo Renzi oggi si trova in una situazione non facile, di oggettivo assedio sia per il suo partito sia per il suo governo, e con due fronti importanti che si sono aperti a Roma con l’inchiesta Mafia, Cravattari e Capitale (c’è di mezzo il Pd) e a Trani con l’inchiesta per il crac sulle case di cura Divina Provvidenza dove la procura ha chiesto l’arresto di un senatore (Azzollini) del partito che permette a Renzi di governare (Ncd). Comunque la si voglia mettere le procure rappresentano oggi (ancora, di nuovo) uno degli avversari più temibili per il governo. E per un presidente del Consiglio che ha scelto di adottare un garantismo strabico che prevede la possibilità di valutare il criterio dell’opportunità politica anche solo in presenza di un po’ di fango (ricordate il caso Lupi) è evidente che gli schizzi che sfiorano il governo autorizzano chi si trova a Palazzo Chigi a considerarsi sotto attacco.
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Paradossalmente, però, le notizie che arrivano dalla procura di Trani, seppure siano considerate dagli esponenti del partito di Azzollini delle “manovre tese a colpire le alleanze politiche di Renzi” (leggete l’intervista a Fabrizio Cicchitto a pagina quattro del nostro giornale), non sono quelle che debbono impensierire maggiormente il premier e non hanno lo stesso minaccioso profilo che invece presentano le conseguenze politiche dell’inchiesta della procura di Roma sul Pd renziano (con annessi schizzi di fango sulle cene del Pd pagate con fattura regolare da Salvatore Buzzi, che scandalo signora mia). E le conseguenze non possono che concentrarsi oggi su un nome in particolare: Ignazio Marino. Che farà Renzi con Marino? I piani da seguire sono due e in mezzo a questi emerge una notizia importante che riguarda il destino forse inevitabile del sindaco di Roma. Tra pochi giorni il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, uomo più vicino al governo di quanto non lo fosse il suo predecessore Giuseppe Pecoraro, presenterà a Palazzo Chigi un dossier completo per dare la possibilità al Consiglio dei ministri di valutare l’opzione del commissariamento per mafia del comune di Roma. Renzi non ha intenzione di commissariare per mafia la capitale d’Italia ma allo stesso tempo non ha intenzione di essere costretto un domani – quando dalle carte dell’inchiesta potrebbe arrivare uno schizzo di fango tale da colpire il Pd renziano con maggiore forza rispetto a oggi – a commissariare per mafia il comune, e dunque a subire la scelta e non a promuoverla come potrebbe essere oggi.
Dunque, che fare? Fino a qualche tempo fa non ci potevano essere dubbi e anche dal punto di vista mediatico essere dalla parte di Marino era un modo pigro ma efficace per dire: noi siamo dalla parte della legalità. Quello schema però non esiste più e la decisione di Renzi è presa: il comune non va commissariato ma Marino va dimissionato, va cioè convinto a dimettersi subito dopo l’estate con la stessa “spontaneità” con cui è stato fatto dimettere Lupi, per far sì che Roma sia bonificata prima che le bonifiche dei professionisti dell’antimafia capitale possano arrivare più in alto del Campidoglio. La soluzione individuata da Renzi è identica a quella per esempio adottata a Bologna nel 2010 dopo le dimissioni di Flavio Delbono: un commissario prefettizio non ostile che prende in mano la città guidandola in uno spazio temporale non superiore ai dodici mesi verso nuove elezioni. L’intenzione di Renzi è questa, senza sfumature, ora bisognerà convincere Ignazio la Morale ma il senso dell’operazione è chiaro: commissariare politicamente Roma prima che sia l’inchiesta romana a commissariare mediaticamente Palazzo Chigi.
Il passaggio è delicato e la si può pensare come si vuole ma un dato è certo: ancora una volta in Italia c’è un partito di governo che ha pochi avversari nel paese e in Parlamento e che vede nell’azione del circo mediatico-giudiziario il suo avversario principale e più minaccioso. E per un governo che ha già mostrato una certa difficoltà a reagire agli schizzi di fango non si può mai sapere con esattezza dove cominci e dove finisca il perimetro dell’opportunità politica. Occhio.
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