La rottamazione dello ius soli
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In attesa di uno storytelling su sicurezza, immigrazione e integrazione
di Alessandro Giuli | 02 Giugno 2015 ore 20:33 Foglio
Che idee ha Matteo Renzi in materia di sicurezza? Come pensa di condurre virtuosamente il processo d’integrazione culturale degli immigrati dall’est europeo, e non mi riferisco alla questione dei Rom, se è vero che la ripresa economica tornerà ad attrarre una riserva di manodopera non più scoraggiata dalla crisi? E come immagina, il premier, al netto degli eurovincoli esterni, di gestire i flussi di clandestini e richiedenti asilo nelle condizioni di emergenza economica e terroristica del quadrante subsahariano? Sul Corriere della Sera di martedì, in un articolo come sempre informato, Maria Teresa Meli ha posto in estrema sintesi il problema: una volta riconosciuto che su tali questioni, con “idee semplicistiche e brutali” ma pure efficaci, il centrodestra a trazione leghista ha realizzato la sua prestazione alle regionali, Renzi deve decidere: “Che fare”. La giornalista del Corriere azzarda: “Il premier, che, come è noto, non ama i tempi morti, comincerà a occuparsene già oggi, perché sa che alle storie cupe ed emergenziali di Salvini bisogna rispondere con uno storytelling convincente”.
Lo storytelling, in realtà, il presidente del Consiglio l’aveva già mostrato prima della mezza impasse elettorale: un certo legalitarismo di facciata, con scarsa attenzione “narrativa” verso i modelli possibili di convivenza multiculturale e religiosa nelle banlieue italiane (forse ritenuti, a torto o a ragione, come una grana municipale); un eurocriticismo impettito, compassionevole ma lagnosetto al contempo, sulle quote di profughi da ripartire in sede continentale; un più convinto e americanomorfo attaccamento alla prospettiva di sostituire lo ius sanguinis con lo ius soli, in nome di una vera o presunta necessità di allineamento (1) alle politiche internazionali, (2) alle dottrine dell’accoglienza prevalenti nella sinistra catto-democratica che hanno portato all’abolizione della legge Bossi-Fini, (3) alla infausta realtà demografica dei nativi italiani in regime di ius sanguinis.
Oggi appare meno scontato che un’impostazione del genere, non si capisce quanto frutto di una scelta consapevole e non piuttosto del caso, sia ancora sostenibile. Renzi sa che nella controversia europea sui migranti provenienti dal Nord Africa non potrà ancora a lungo utilizzare il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, come uno scudo ammaccato e Federica Mogherini, Lady Pesc, come quinta colonna dell’interesse nazionale negletto. Prima o poi il premier sarà chiamato a elaborare una visione strategica complessiva, e su questa visione si giocherà altre fette di consenso. E’ innegabile che Matteo Salvini ha fatto della tentazione xenofoba il punto qualificante della propria affermazione personale e politica, sebbene adesso, a vendemmia ultimata, cerchi di enfatizzare le ragioni economiche dello scontento popolare (il serbatoio dell’irrazionale ha una capienza più limitata). All’apparente dismisura ideologica salviniana, poco potabile anche per Berlusconi nella sua forma rumorosa e plebea, ma non nella sostanza comunque remunerativa, è possibile opporsi in due modi. Si può adottare la linea dell’umanitarismo indiscriminato, perché così vogliono i diritti dell’uomo (dottrina Laura Boldrini) o perché così impongono i processi socio-economico-demografici (dottrina Luigi Manconi), e su tale linea modellare il profilo di un sogno americano (America dell’Ottocento, però: oggi negli Stati Uniti le convivenze non vanno troppo bene) e una delegittimazione sistematica di chi impugna Schengen come un manganello. E’ un paradigma minoritario e un po’ retrò, ma ha comunque una sua dignità storica e può essere infiocchettato da una ben studiata facondia comunicativa. L’alternativa è non attendere che l’impoverimento e l’insicurezza sociale percepiti incontrino una nuova, credibile proposta di centrodestra, magari accompagnata dal rigore di una formazione culturale securitaria. Penso a un’inclinazione alla spagnola o all’inglese, se vogliamo guardare oltre il limes, lì dove lo ius soli non è previsto o lo è in forma indiretta e molto condizionata; oppure alla Vincenzo De Luca, se vogliamo identificare un modello di sicurezza locale post ideologica (e spargere sale sulle bruciature recenti del Pd). Con Boldrini o con Cameron? Si può sbagliare in entrambi i modi, ma è meglio che restarsene silenti e indecisi a metà del guado.