Lettere al Direttore Il Foglio 28.5.2015

Nozze gay sì o no? Vogliamo il referendum per scannarci un po’

1-Al direttore - Eh, magari un referendum sulle nozze omosessuali. La finiremmo tutti, contrari e non, a descriverci

secondo categorie partitiche o a simpatie volubili dell’uno o dell’altro leader. Contiamoci e cerchiamo di capire, nel segreto dell’urna, cosa vogliamo e cosa non vogliamo essere. Lasciamo stare la Costituzione che grazie a 137 articoli (o giù di lì) sono una palude inestricabile di desideri di parte. Se il popolo è sovrano si lasci esercitare la sovranità anche per andare contro la Costituzione, come nel caso dei matrimoni omosessuali. Sarebbe però aprire il vaso di Pandora e non credo che i fascistoidi (lo uso come termine generico) amanti della Carta permetterebbero un simile scempio democratico. Voterei comunque no ai matrimoni omosessuali e penso ai sì come maggioranza. Almeno ognuno si esprimerà senza tenere conto dei “doveri” di alleanze, per loro natura effimere, cui sono costretti i leader di tutti i partiti. Su certi temi, molto divisivi, una maggioranza o una corporazione non può decidere per tutti. Fosse aperto il vaso di Pandora, il sistema fascistoide rischierebbe troppo. Vogliono gli italiani restare nella Ue? Certe aree del paese desiderano o no uscire dall’Italia? Le persone desiderano veramente i clandestini? Sì, no. Troppo pericoloso per chi gestisce il potere attraverso 137 articoli costituzionali. Non siamo come la perfida Albione.

Franco Bolsi

La nostra linea è: referendum tutta la vita, parliamone, scanniamoci, confrontiamoci, dibattiamone, argomentiamo, mandiamo a quel paese i cialtroni che dicono che essere contro i matrimoni gay significa essere omofobi, mettiamo insieme tutte le idee e poi ognuno voterà come crede.

2-Al direttore - Caro Cerasa, perché dire che il matrimonio è un diritto? Non è invece una istituzione? In quanto istituzione, è vero che noi possiamo modificarla, aprirla a tutti o restringerla alla coppia etero. Resta il fatto che il matrimonio, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, in quanto istituzione atta alla tutela della filiazione non prevedeva affatto l’unione basata sull’amore. Se l’amore c’era, tanto meglio ma non era nemmeno richiesto. Ancora adesso è così in molte regioni del mondo. Vogliamo essere i primi a basare una istituzione su un sentimento? Proviamo, e tanti auguri. Fra l’altro, il matrimonio è l’unica forma di incontro tra i due sessi a essere sancita dallo stato. Vogliamo chiamare matrimonio l’unione fra due omosessuali? Allora dovremo trovare un altro nome per quel tipo di unione unica che è quella fra un uomo e una donna, che è l’unica da cui nasce la vita. Non starò qua a parlare del sopruso che è l’utero in affitto, dove si riduce la donna a contenitore di feto e dove scientemente si priva il nascituro della madre. Andrò in prigione con Ferrara.

Fabrizia Lucato

Su questo non si transige. Ci sono due tipi di matrimonio. Quello in cui si possono avere figli (con un papà e una mamma) e quello in cui i figli non ci devono essere (due papà e due mamme). Sul resto le confermo quello che ho scritto ieri. Io penso che un sistema liberale funziona se i diritti concessi ai cittadini non vanno a ledere la libertà altrui e i diritti di un altro cittadino. In virtù di questa considerazione le chiedo: a un uomo e una donna che vogliono sposarsi e fare molti figli che danno verrebbe fatto da due persone dello stesso sesso che si amano e si vogliono sposare? Conosco bene l’obiezione: se si apre al matrimonio gay, poi l’adozione è dietro l’angolo. Non condivido, ma parliamone, confrontiamoci, e questo è il posto giusto per farlo. Sapendo però che questo giornale farà una campagna precisa: non a favore delle nozze gay, ma a favore di un referendum che possa permettere a persone civili di confrontarsi sul tema. E grazie.

3-Al direttore - La discussione sul così detto matrimonio gay coinvolge questioni politico-giuridiche per lo più sottaciute e che anche Ferrara nella sua replica ha solo parzialmente esplicitato. Lei riporta un’affermazione di Cameron che ritiene condivisibile, dell’essere favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso proprio perché conservatore. Ma questa è solo la dimostrazione che in fondo conservatori e progressisti condividono la stessa concezione dello stato, quella teorizzata nel Diciassettesimo secolo da Thomas Hobbes, per la quale solo lo stato con le sue leggi introduce ordine nelle relazioni di società. Ma non è così – e forse non è così che lo stesso Hobbes va interpretato, quanto piuttosto nel senso che solo lo stato ha il potere di far sì che i patti vengano osservati. E’ qua tutta la questione: riconoscere che i patti costitutivi di società precedono l’esistenza dello stato, per cui vale l’antica massima latina che ubi societas ibi ius. Che il matrimonio non ha niente a che fare con l’amore, come noi pensiamo da eredi del romanticismo, è stato già osservato. Non si comprende però che cosa sia, senza la sapienza comparativa di un Claude Lévi-Strauss, che vi ha saputo vedere il patto previo all’esistenza della società rappresentato dal tabù dell’incesto, per il quale uomo e donna lasciano la famiglia di origine per costituirne una nuova, e così perpetuare la società stessa. Come disse una volta Marcello Pera a Ritanna Armeni a “Otto e mezzo”, non c’è ragione per cui accettato il matrimonio gay non lo debba essere anche quello tra consanguinei, lasciando cadere quell’obsoleto tabù (dopo tutto, se un fratello e una sorella si amano, perché non dovrebbero poter realizzare il loro sogno d’amore, o anche un padre e una figlia, o se per questo, benché più difficile, una madre e un figlio). Non esageriamo, ricordo che rispondeva la Armeni. No, non esageriamo. Non c’è famiglia se non da famiglie, diceva Lévi-Strauss, e questo significa che affinché vi sia famiglia vi devono essere relazioni parentali ben definite, che, identificandoci in relazione alla famiglia d’origine, ci permettono di uscirne fuori anche per formare eventualmente una nuova famiglia. Ma oggi (dopo l’eliminazione della differenza tra figli legittimi e figli illegittimi) non è più la famiglia a definire legalmente l’identità, ma solo lo stato con l’iscrizione all’anagrafe, per la quale le relazioni parentali sono indifferenti. Può essere indifferente quindi, non solo che colui con il quale si chiede di sposarsi sia di un altro o dello stesso sesso, ma anche che sia un parente prossimo o no. Così, con atti di legislazione pietosa che paiono volti a garantire a tutti uguali diritti, e con essi la libertà di ciascuno di vivere a suo modo, lo stato si afferma in effetti come il sovrano assoluto, signore della nostra vita. Come, sulla base delle analisi comparative di Lévi-Strauss si possa arrivare a giustificare la “famiglia tradizionale” come noi l’abbiamo conosciuta, fondata sul matrimonio monogamico e indissolubile, è un altro discorso, che non posso fare qui.

Giorgio Salzano

4-Al direttore - Anch’io desidero un referendum. Voterei no ai matrimoni gay. Anche se ritengo che i diritti debbano essere eguali per tutti. Ma, con il matrimonio, subito dopo ci sarebbe il problema dei figli. E io ritengo che la natura debba seguire il suo corso: solo uomo e donna possono generare un figlio. Il resto è alchimia.

Maria Pia Banchelli

5-Al direttore - Proponendo di riflettere, parlare, argomentare intorno all’idea del referendum sulle nozze gay, lei, caro Cerasa, ha colto il punto argomentativo di tutta la questione: “Può uno stato liberale intromettersi in modo invasivo nella vita di un cittadino?”, chiede lei. Ma proprio il rigore dell’argomentazione può spingersi a riconoscere l’errore dialettico della sua domanda, dove non si chiarisce che cosa faccia di uno stato uno stato liberale (passaggio che non possiamo dare per scontato, non essendo verità evidente). La Costituzione nostra forse ci aiuta: uno stato che “riconosce e garantisce” i diritti del cittadino. Accettabile definizione, direi, che segue l’idea del pensiero liberale classico: un’idea di stato, quello liberale appunto, opposta all’idea di stato etico, il quale non “riconosce” i diritti, bensì pretende di porli in essere. Ergo: lo stato non sarà liberale quando non riconoscerà diritti che ci sono; e nemmeno quando creerà diritti che non ci sono. Ecco il vero punto argomentativo da cui partire.

Rossano Salini

6-Al direttore - Leggo, con ovvio interesse, il dibattito che si è aperto tra lei, sostenitore di un referendum sul matrimonio tra coppie omosessuali (testualmente, lei scrive: “Esistono veramente delle ragioni solide per poter dire che è cosa buona e giusta che un paese continui a vietare i matrimoni tra persone dello stesso sesso?”), e Giuliano Ferrara, che si “appella” semplicemente a “natura e cultura” per il suo strenuo “no”. Da laico, darei ragione a Ferrara più che a lei, rifacendomi a quanto Ferrara scrisse in un infuocato intervento, sempre sul Foglio, poco prima del voto referendario irlandese, nel quale sostenne che sarebbe meglio introdurre, invece di una parodia di matrimonio, una buona legge che riconosca i diritti individuali e della persona di due individui dello stesso sesso che vogliano regolarizzare la loro convivenza. Con una aggiunta certo non indifferente. A mio avviso (e di molti amici radicali) occorrerebbe individuare e formulare una legge generale (erga omnes) della convivenza, generalmente intesa, nell’ambito della quale collocare, per dire, il matrimonio “eterosessuale”. Dunque, non un matrimonio di secondo grado per gli omosessuali, ma una legge generale sulle convivenze, con al suo interno specifiche diverse secondo le diverse scelte. Spero di essere stato chiaro.

Angiolo Bandinelli

7-Al direttore - Quando Ignazio Visco, nelle sue recenti Considerazioni finali, rileva che bisogna trovare una sintesi, nella Commissione Ue, tra l’anima tecnica custode delle regole comuni e l’embrione di un governo politicamente responsabile oppure quando richiama la necessità di distinguere tra politiche volte ad attivare i meccanismi di mercato e gli aiuti di stato che distorcono la concorrenza (con riferimento – anche se non esclusivo – all’istituzione di una bad bank per la cessione delle sofferenze bancarie, di cui ha scritto Stefano Cingolani) solleva un problema di grande rilievo che esige interventi e iniziative del governo. E’ sperabile che ciò, con i diversi tipi di impegno, sia fatto con determinazione e che non si scambi un atteggiamento soft in questi versanti con l’aspettativa dell’ottenimento di trattamenti favorevoli sul piano del Patto di stabilità e del Fiscal compact: sarebbe una prova di miopia, soprattutto perché non ci si può incamminare verso possibili avanzamenti dell’integrazione, come si accingono a prevedere,con un documento, le quattro istituzioni principali europee incaricate, senza avere affrontato questo problema, che tocca le fondamenta dell’Unione. Si persevererebbe nel ritenere che poi l’“intendenza seguirà”: il gravissimo errore commesso all’epoca della istituzione della moneta unica confermato dal fatto che l’auspicato seguito (della unitarietà della politica economica e di finanza pubblica) non vi è stato né poteva esserci.

Angelo De Mattia

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