Come farsi del male in nome del diplomaticamente corretto
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Alfano e Prodi. Il ceffone europeo sull’accoglienza ai migranti e la paura di una force de frappe contro i tagliagole
di Alessandro Giuli | 26 Maggio 2015 ore 13:38 Foglio
Romano Prodi & Angelino Alfano. Ovvero il duplice insuccesso della demagogia insipiente e del diplomaticamente corretto a beneficio dei tagliagole, dei trafficanti di carne umana e dei piccoli egoismi europei. Nel giorno in cui emerge la beffarda verità sulle cattive intenzioni di Bruxelles intorno al dossier migranti, con Spagna e Francia che impongono ai partner continentali un accordo in base al quale nel piano di redistribuzione viene cancellato il termine “quote” e s’impone all’Italia di accudire tutti i novantamila profughi giunti qui (più quelli che giungeranno nel frattempo) prima dell’entrata in vigore del nuovo regime di euroaccoglienza (destinato soltanto a eritrei e siriani), diventa più facile prendere le misure delle puerili illusioni sventolate sin qui da Alfano. Solo pochi giorni fa, il ministro dell’Interno si pavoneggiava sui giornaloni dietro la presunta inamovibilità di un piano che avrebbe dovuto calmierare l’emergenza italiana: “Il piano Junker per distribuire i migranti tra i 28 paesi europei è la strada giusta, quella per cui mi batto da anni”. Il capo del Viminale non temeva smentite – “Indietro non si torna” – e corredava la sua rocciosa certezza con una postilla che è tutto dire: “Se non si risolve il problema dell’instabilità in Libia, è inutile sperare in qualunque soluzione risolutiva”. Il che, sia chiaro, è senz’altro vero. Ma non c’è molto da sperare, se il peso specifico dell’Italia è rappresentato dai nostri collezionisti di sconfitte (usiamo il plurale, perché nel novero entra di diritto la più cauta ma non meno sofferente Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza).
ARTICOLI CORRELATI Al Viminale ogni scherzo vale Che fa l’Italia contro Baghdadi? Un’operazione militare Alla necessità di un intervento in Libia, alle legittime aspettative italiana di una collaborazione internazionale per favorire la nascita d’una force de frappe che ristabilisca ordine e civiltà nel nord dell’Africa, l’ex premier Prodi ha appena dedicato poche e desolanti parole in un’intervista altrimenti ragionevole concessa al Corriere della Sera. Alla domanda se sia auspicabile un intervento contro l’Isis, il Prof. bolognese risponde così: “No, no, no. E’ proprio quello che l’Isis vuole: attirare soldati occidentali nella guerra civile islamica, per farne un bersaglio e rinfocolare la popolazione. Se poi sono soldati italiani, di un’ex potenza coloniale, meglio ancora per l’Isis, e peggio ancora per noi”. Eccolo qua, il degno corredo al ceffone rimediato dall’Italia in Europa: un misto di pavore atavico e autocensura psicologica di cui si sostanzia il disegno diplomaticamente corretto, e quindi perdente per definizione, di un euroburocrate in disarmo.
Da queste parti non siamo certo fautori di un imperialismo europeo dal sapore neocoloniale, ma ci piace il senso della realtà applicato all’interesse nazionale. Ed è esattamente questo il principio che stiamo subendo nel concerto europeo, da parte di nazioni non meno infragilite dalle crisi in corso, ma più capaci e meglio rappresentate.
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