La rottamazione non esiste più
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Le differenze con le europee e la campagna per le regionali che segna una svolta nel percorso di Renzi
di Claudio Cerasa | 26 Maggio 2015 ore 06:18 Foglio
Le facce, prima di tutto. Comunque andranno a finire le prossime regionali c’è un tema importante che già da oggi si può inquadrare per fotografare il profilo con cui il Pd si presenta al voto di domenica prossima e che riguarda un punto cruciale sia del carattere del presidente del Consiglio sia dell’identità del Pd tendenza Leopolda. Lo diciamo in modo brutale: la rottamazione oggi non esiste più. La questione è semplice. Se Matteo Renzi oggi non fosse il presidente del Consiglio e segretario del Pd non potrebbe non notare che tra le europee del 2014 e le regionali del 2015 ci sono sì alcuni punti in comune (Italicum votato prima delle regionali, un avversario che stenta a decollare) ma ci sono soprattutto diversi elementi in contraddizione tra loro. Le facce, prima di tutto. Il 41 per cento del 2014 maturò anche perché la rottamazione, pure nella sua versione giacobina, fu rappresentata in modo plastico dalle ragazze semisconosciute che riuscirono a riflettere l’elemento di novità contenuto nella figura renziana, e simbolo di quella vittoria fu non a caso la foto che venne scattata la sera del 25 maggio 2014, quando a Largo del Nazareno si riunì la nuova classe dirigente del Pd e tutti, guardando quella foto, si chiesero: e questo chi è?, e quell’altro chi è?
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Un anno dopo, il grande limite del renzismo è che il Pd vincerà ancora ma in molti casi lo farà più per demeriti altrui che per meriti propri. E passo dopo passo, a forza di scambiare la piattaforma del proprio partito con una ricca e rigogliosa chat su WhatsApp, la verità è che il Pd in campo oggi non ha praticamente nulla del renzismo di un anno fa. E non lo diciamo noi, lo dicono le storie dei candidati messi in campo dal Pd. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e trovare oggi un candidato governatore che possa avere un profilo – Liguria a parte, forse, e Veneto a parte, forse – capace di sintetizzare quello che era la rottamazione è impresa impossibile. Il discorso vale per Rossi, candidato in Toscana, e Marini, candidata in Umbria, che un minuto dopo le elezioni, se verranno eletti, torneranno a essere quello che sono: due tosti e forti anti renziani di ferro. Il discorso vale per Emiliano, candidato in Puglia, che un minuto dopo le elezioni, se verrà eletto, farà ricordare a Renzi che, appena un paio di anni fa, da sindaco di Bari, fu lui il candidato alla presidenza dell’Anci che Renzi, quando riuscì a imporre Delrio, non voleva in quanto rappresentante di un vecchio modo di fare politica. Il discorso vale anche per le Marche, dove il bersaniano Ceriscioli sta a Renzi più o meno come Mancini sta alla coppa Uefa. E il discorso, infine, vale anche per De Luca, magnifico sceriffo campano, che Renzi, considerandolo troppo legato al vecchio mondo cozzoliniano, ha però provato fino all’ultimo a far scendere dal carro.
Se Renzi fosse sindaco di Firenze siamo sicuri che organizzerebbe una Leopolda per denunciare il conservatorismo del segretario del Pd e sarebbe un errore, per un leader che sa che non si cambia il paese se prima non si cambia il proprio partito, sottovalutare questi elementi nella vita del Pd. Fino a che non ci saranno avversari Renzi continuerà a vincere. Ma il giorno in cui un avversario comparirà, il Pd potrebbe inghiottire Renzi con estrema velocità. Una brutta vittoria, si sa, è sempre meglio di una bella sconfitta. Ma il dato di queste elezioni, ragione per cui il premier sta provando a nazionalizzare il più possibile le regionali, è che nel Pd l’energia della rottamazione si è esaurita, non esiste più. E prima o poi anche a Renzi toccherà pensarci su.
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