Un nuovo partito? L’idea di Berlusconi è giusta. Potrebbe anche essere il vero lascito di un leader

che è stato in grado di tenere uniti i cosiddetti “moderati”, più precisamente un gruppo eterogneo di matrice anti comunista e anti statalista

18/05/2015         Angelo Crespi  Opinioni Il Giornale

L’idea che sta maturando a casa Berlusconi, di fondare un nuovo partito sul modello di quello Repubblicano americano, rappresenta l’unica novità in un panorama politico in via di frantumazione. E potrebbe anche essere il vero lascito di un leader che è stato in grado di tenere uniti i cosiddetti “moderati”, più precisamente un gruppo eterogneo di matrice anti comunista e anti statalista che passava dall’ortodossia cattolica al libertarismo radicale, comprendendo liberali, socialisti, conservatori, separatisti, federalisti, post fascisti…

Il carisma di Berlusconi è stato il collante di un blocco sociale che aveva governato l’Italia fin dal primo Dopoguerra permettendo al nostro Paese una crescita civile e democratica, lontana dalle tentazioni rivoluzionarie comuniste, sebbene concendendo  molto – per quieto vivere – al pensiero sociale rappresentato dalla Chiesa cattolica nelle sue componenti più di sinistra. In pratica, Berlusconi ha incarnato una fetta maggioritaria di elettorato che dopo la caduta del Muro di Berlino ha coerentemente preferito, sostenendo la nascita di Forza Italia, schierarsi con le ragioni liberali.

Ora, dopo oltre venti anni e varie vicissitudini di lotta politica e giudiziaria, il panorama in generale e nel centro destra è molto cambiato, anche a seguito di alcuni fatti determinanti (per esempio, tre governi che si sono succeduti senza aver vinto le elezioni) che daremo per scontati e su cui non insisteremo. Bisogna però sottolineare che la scelta, all’epoca delle ultime lezioni, di Enrico Letta per dirigere una larga coalizione era giusta, soprattutto se considerata a posteriori.

L’ansia di Matteo Renzi di arrivare al potere, sostituendo Letta senza passare delle urne, ha dato una accelerazione che ha definitivamente distrutto il centro destra, ma anche il centro sinistra, nel nome del cambiamento che assomiglia solo a “un cambiare per cambiare”. La coerenza e lo stile di Letta, che si dimette dal Parlamento dopo un lungo silenzio, rendono ancor più da rimpiangere quell’ultimo tentativo di transizione soft.

In ogni caso, in questo scenario si innesta il progetto, pur tardivo, di Berlusconi di radunare di nuovo il centro destra sotto le insegne di un partito unico i cui riferimenti valoriali siano chiari e fondativi, al di là del proprio carisma personale. Molti gli aspetti positivi, non vorremmo dire “dirompenti”, che vanno presi in considerazione.

Innanzitutto, il nuovo partito obbligherà a una definizione culturale, a uno sforzo progettuale politico che attualmente manca anche a sinistra. Renzi di fatto non è chiaro cosa, culturalmente e politicamente, rappresenti: non certo la sinistra o il centro sinistra a cui eravamo abituati, se non altro per avversione di tutti i rappresentati storici, da quelli della sinistra-sinistra ai vendoliani, passando per i sindacati e anche per i nuovi democristiani. Lo stesso vale per Alfano e l’Ncd che non si comprende bene a cosa aspiri, essendo centro destra al governo col centro sinistra ma non più in chiave di grosse koalition. Lo stesso varrà per Raffaele Fitto  – e gli altri transfughi di Forza Italia – che da mesi si è opposto a Berlusconi sembra più per una questione di successione che non per l’esigenza di rappresentare una novità politica.

L’utilizzo poi di una denominazione chiara e rispondente a qualcosa di altrove esistente, poniamo davvero si realizzi il Partito repubblicano, sgombererà la scena da tutti quei loghi e marchi che negli ultimi due decenni sono nati per mistificare il pensiero politico, spesso con esigenze personalistiche (rose, arbusti, asinelli, ammiccamenti più o meno significati all’Italia o alla nazione…).

Il centro destra in Italia può radunare (e non sempre) uomini ed elettori che rappresentano – stretto senso – il mondo conservatore, quello liberale, quello cattolico liberale, eventualmente quello socialista e quello libertario, a secondo che l’accento si sposti sulle questioni economiche o su quelle etiche, fino ad arrivare, allargandosi, alle frange più esterne, da un lato anarchicheggianti dall’altro riformiste. In sostanza, alcuni valori innervano questo spazio: l’idea di Stato come somma di individui e non come entità in sé, l’idea di proprietà privata che sta alla base della società, l’idea di libertà individuale e di impresa privata che va preferita all’impresa pubblica…

Si può disegnare una mappa di tale mondo, rappresentando ogni singola frazione (partito conservatore, partito liberale, partito cattolico liberale, partito libertario, partito repubblicano, partito radicale…), stratificando valori e ricette economiche, riconoscendo padri nobili e libri fondanti, così da trovare il minimo comune multiplo all’insegna di quello che nel pensiero politico si definisce “fusionismo”: una sorta di macro bolla che contiene quei valori dai quali non si può prescindere e che vengono accettati da tutti i partecipanti, pur consapevoli delle diverse sfumature all’interno del perimetro considerato i cui limiti sono conosciuti e condivisi.

La definizione di un perimetro, appunto etimologicamente di un “partito”, permette di riconoscere quelli che stanno dentro e quelli che stanno fuori, permette ad un elettore di ragionare sui propri valori e riconoscere il partito che li difende.

Per esempio, renderebbe più netta la posizione di Renzi che si manifesta come sé dicente liberale, pur all’interno dello spazio della sinistra social democratica, e in seguito a questo equivoco, paradossalmente trova molti sostenitori anche nell’elettorato di centro destra. E chiarirebbe, come dicevamo, la posizione residuale di Alfano e quella di Fitto.

partito-moderato

Di fronte a un partito Repubblicano, o a un partito Conservatore o a un partito Liberal-conservatore, sarebbe complicato appoggiare Renzi solo per garantirsi il posto, oppure tirarsi fuori per motivi  personali dando vita – in termini valoriali – a meri duplicati del marchio primigenio.

C’è poi una questione non secondaria, uno di quegli effetti non voluti, ma che vengono per serendipità. Il nuovo partito potrebbe prescindere da tutti quei politici oggi in campo il cui consenso è prossimo allo zero. Potrebbe prescindere anche da una classa dirigente frustra e logora il cui unico collante rimasto è il furioso odio reciproco tra i partecipanti. Al contempo si libererebbero energie inutilizzate. Si produrrebbero nuove parole, nuovi paradigmi. Anche il vasto numero di astenuti, stanchi del teatrino, avrebbe un luogo in cui riconoscersi.

Categoria Italia

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata