Lettere al Direttore Il Foglio 16.5.2015

Appunti sulla mutazione genetica del Pd. Chi sono i presentabili?

1-Al direttore - Condivido la sua analisi sul cambiamento profondo che Renzi ha impresso al Pd.

Quanto alla periodizzazione (come direbbero gli storici) della mutazione genetica ho però qualche perplessità. A mio avviso la mutazione genetica del progetto originario (ambizione di parlare oltre le costituency tradizionali della sinistra per intercettare i nuovi ceti produttivi, creativi, innovatori e creare nella società italiana il sostegno a un grande progetto di modernizzare del paese) è avvenuta in realtà con Bersani. Renzi ha ripreso, aggiornato e dato leadership al progetto originario in nome del quale si erano unite culture politiche diverse. Non per mantenere in vita un passato che non esisteva più ma per costruire il futuro. Per questo sono uscita dal Pd dopo l’avvento di Bersani e per lo stesso motivo però sono rientrata con la segreteria Renzi. Una precisazione che mi sembrava opportuna.

Linda Lanzillotta

 

2-Al direttore - Utile e onesto l’editoriale del Foglio titolato “W la mutazione genetica del Pd”. Utile perché fa puntuale e nominativa memoria dei 45 membri del Comitato promotore del Pd e segnala la eloquente circostanza che un cospicuo numero di essi lo ha lasciato. Onesto nel riconoscere che appunto di mutazione genetica si tratta. Un punto di vista simpatetico, quello del Foglio, che tuttavia ha il merito di chiamare le cose con il loro nome, di non minimizzare o dissimulare il problema e, di riflesso, le ragioni di chi dissente da tale torsione identitaria. In breve, ci si può dividere nel giudizio di valore, ma intanto si converge nel descrivere i fatti. Dal mio angolo di visuale, di prodiano-ulivista non pentito, è apprezzabile che si riconosca la differenza-discontinuità tra Ulivo di Prodi e Pd di Renzi. In sintesi, l’Ulivo prodiano era soggetto politico di centrosinistra nitidamente alternativo al centrodestra nel quadro di un bipolarismo da stabilizzare. Come ha notato lo stesso Prodi, al netto della disputa un po’ sofistica e talvolta esorcistica sul senso dell’espressione, al tempo dell’Ulivo mai e poi mai ci si sarebbe sognati di evocare il Partito della nazione. Che semmai richiama l’assetto del sistema politico del primo tempo della Repubblica. Lo storico Agostino Giovagnoli ha titolato un suo libro dedicato alla Dc “il partito italiano”. Ovvio che Dc e Pd siano tra loro non paragonabili. Ma il raffronto ci può stare e ci sta relativamente a posizionamento e funzione di essi. Domando: davvero il Foglio, che, sul versante del centrodestra, ha sposato e accompagnato positivamente l’evoluzione in senso bipolare del sistema politico, non avverte l’insidia che si possa regredire alla casella n. 1? Che si possa produrre di nuovo una democrazia priva di competizione sul governo e di fisiologica alternanza? Che l’Italicum, con il suo premio alla lista e non alla coalizione, complice lo sfarinamento del centrodestra, possa a sua volta produrre il monopartitismo o l’alternativa (ballottaggio) tra Pd e partiti che non possono o non vogliono competere per il governo (Grillo e Salvini)? Bene la dinamica centripeta, l’accorciamento delle distanze sul terreno programmatico, ma mi riesce difficile condividere l’entusiasmo per l’estensione del perimetro delle riforme e delle ricette obbligate e comuni. Conoscendo e apprezzando, pur dal fronte opposto, la battaglia condotta da Giuliano Ferrara per propiziare bipolarismo e alternanza, mi chiedo come il Foglio non avverta il problema di una contraddizione tra la sua sensibilità per il primato della politica unita alla sua concezione competitiva e persino agonica della democrazia e la deriva verso il pensiero e la soluzione unica? Si può anche provare compiacimento per le vittorie di Renzi sulla minoranza interna al Pd, ma come non osservare che la competizione-conflitto dissoltosi fuori, per assenza di effettivi e plausibili competitor, inesorabilmente si produca dentro il Pd? Il che non giova alla stabilizzazione del sistema politico. Perché non c’è solo il valore della stabilità dei governi, ma anche quello del sistema politico. E stabilità dovrebbe essere sinonimo di competizione e alternanza non di immobilismo al modo della Prima Repubblica.

Franco Monaco, deputato Pd

Capisco il suo punto di vista. Ma qui non è questione di Renzi o non Renzi. E’ questione molto più semplice. Una buona legge elettorale è, prima di tutto, una legge elettorale che permette a chi vince le elezioni di avere i poteri per poter governare. Se poi un partito parte avvantaggiato perché è più forte degli altri il problema è dei partiti che non riescono a contrastare una posizione dominante non chi beneficia del suo essere più forte. Le opposizioni non si costruiscono con le leggi elettorali ma si costruiscono con un programma serio, cazzuto, alternativo. Chi vince vince. Chi perde perde. E a volte una sconfitta vera può essere il modo migliore per preparare una vittoria futura.

 

3-Al direttore - A quale livello di sciatteria e confusione si è giunti se la Commissione Ue, nelle raccomandazioni al nostro governo, sollecita l’istituzione di una “bad bank” o una soluzione similare per i crediti bancari in sofferenza, ma la stessa Commissione ostacola, contemporaneamente, il relativo progetto italiano con argomentazioni pretestuose e se sempre la Commissione chiede di intervenire sul ruolo delle fondazioni adombrando che quella recente è solo una non cogente autoriforma, ma dimenticando che essa fa parte di un Protocollo sottoscritto dal vigilante Tesoro ed è in corso di recepimento negli statuti dei singoli enti (i quali, tutti, hanno aderito al Protocollo)? Possiamo continuare a prendere sul serio le pronunce di quest’organo? O non è piuttosto doveroso che non solo per questo circoscritto caso (che pure stimola l’“ab uno disce omnes”), ma per tanti altri episodi che riguardano le banche, l’applicazione del Patto di stabilità, la vicenda greca, la materia degli aiuti di stato che sta diventando il chiodo fisso della burocrazia brussellese, si sollevi l’esigenza di rivedere norme e comportamenti, senza ritenersi soddisfatti della mini-flessibilità conseguita che non può essere certo esaustiva?

Angelo De Mattia

4-Al direttore - Che palle sto dibattito sugli impresentabili. Io vorrei capire chi sono i presentabili…

Frank Cimini

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