Lettere al Direttore Il Foglio 15.5.2015
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Chi va dietro la lavagna. Chi permette alla Consulta di fare politica
1-Al direttore - Pensionati in subbuglio, insegnanti furibondi, pubblici dipendenti sul piede di guerra: le prossime elezioni regionali non saranno una passeggiata per Renzi.
Il soccorso “rosso” di operai e lavoratori dipendenti resta un terno al lotto. Difficilmente quello “bianco” di professionisti, artigiani, commercianti e imprenditori (non solo piccoli) si tradurrà nelle percentuali fastose dell’ultimo voto europeo. Renzi comunque vincerà lo stesso. Non tanto perché il tempo della crescita sembra volgere al bello, ma soprattutto grazie all’astensionismo (come è accaduto in Emilia-Romagna) e a una destra in rotta o cannibalizzata da Salvini. Pessimismo grande, il mio? E’ probabile (del resto, “nomen omen”). Tuttavia, se il premier non riuscirà a mettere un po’ di ordine nei programmi e nei gruppi dirigenti del Pd (l’impressione è che in periferia sia ormai succube dei cacicchi locali), il rischio è che il Partito della nazione si tramuti rapidamente in un “partito aspirapolvere”. In altri termini, in un indistinto “Partito della gente”. E, com’è intuitivo, nella gente ci sono sempre sia le persone perbene sia le persone permale.
Michele Magno
Renzi deve ricordarsi che è arrivato a guidare il paese dopo aver preso il Pd. E per questo, prima ancora di preoccuparsi della tenuta del governo, deve stare bene attento a non lasciare che il Pd se lo prenda qualcun altro. E non solo formalmente.
2-Al direttore - Anche se perdoniamo chi chiama la battigia, bagnasciuga, se tolleriamo chi usa impropriamente (in tutti i sensi) la macchina da scrivere o da cucire quando serve per e non da, nessuno s’illuda, come ha dimostrato Renzi: gli asini continuano a stare dietro la lavagna.
Valerio Gironi
3-Al direttore - Da più parti si critica la sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittimi i tagli alle indicizzazioni sulle pensioni superiori a tre volte il minimo. L’accusa è quella di non tener conto della situazione della finanza pubblica sulle cui spalle quella sentenza scarica un peso di oltre 16 miliardi di euro. L’accusa è banale e per giunta falsa. La Corte, infatti, non critica la richiesta di sacrifici tout court quanto piuttosto che tale richiesta venga fatta sempre e solo ai pensionati che, tolta una piccolissima parte, rappresentano la parte più debole del paese. La verità che nessuno denuncia, infatti, è tutta un’altra. E’ la sciatteria legislativa che da alcuni anni a questa parte caratterizza l’attività dei governi e del Parlamento, una sciatteria figlia del dilettantismo politico dei tecnici (vedi, nel caso, il governo Monti) e la fuga di esperienze consolidate dall’alta burocrazia statale e dagli uffici del Parlamento le cui critiche, peraltro, ai provvedimenti governativi sono ritenute poco più che carta straccia. Ricorderete che già qualche anno fa il famoso contributo di solidarietà chiesto a una parte dei pensionati, quella più ricca, fu ritenuto illegittimo sempre per lo stesso motivo, quello, cioè, di fare provvedimenti mirati solo a una parte della società nazionale e non “erga omnes”. Se l’indicizzazione va ridotta per dare fiato agli equilibri di finanza pubblica non può che colpire tutti i redditi ai quali si applica l’indicizzazione, a cominciare naturalmente dal lavoro dipendente. Una norma costituzionale piuttosto elementare perché figlia anche del buon senso e che invece viene puntualmente dimenticata. Ieri avvenne due volte chiedendo sacrifici solo ai pensionati e la Consulta non ha potuto che fare il suo dovere bocciando le norme specifiche. La stessa cosa è avvenuta con gli 80 euro che sono stati dati a chi aveva già un salario discreto dandolo addirittura due volte a una famiglia che aveva entrambi i genitori ricadenti in quella fascia di reddito individuata per avere il beneficio, dimenticando i pensionati al di sotto dei mille euro mensili. In parole semplici sembra che la povertà, in un modo o nell’altro, venga sempre dimenticata. Ma torniamo alla sciatteria legislativa che si caratterizza nei modi più diversi, dall’annuncio con norme di legge di alcuni incontri con le parti sociali al totale disinteresse dell’impatto delle norme legislative sul corpo vivo della società per finire a quelle leggi matriosche per attuare le quali servono diverse decine di decreti attuativi che impiegano anni per vedere la luce. Quest’ultimo aspetto, inusuale nella vita della Prima Repubblica, vanifica le stesse norme che vengono approvate con annunci enfatici. Detto questo, però, resta oggi il nodo del rimborso che in particolare per le pensioni più basse andrebbe dato subito perché quei soldi sarebbero subito spesi mentre per le più alte i rimborsi potrebbero essere o spalmati nel tempo o, recuperando quel criterio di equità e di uguaglianza, potrebbero non essere rimborsati riducendo, nel contempo, i famosi 80 euro alla metà prendendo, come si suol dire due piccioni con una fava. Da un lato si garantirebbe l’equità nello sforzo di mantenere in equilibrio i conti pubblici coinvolgendo i redditi maggiori visto che gli 80 euro sono dati con norma annuale e quindi non rappresentano un diritto consolidato e dall’altro eviterebbero un ulteriore peso sulla finanza pubblica che andrebbe a discapito, come sempre accade, della spesa in conto capitale e quindi degli investimenti pubblici. Un’operazione così congegnata rispetterebbe l’equità della manovra e manterrebbe la prospettiva di una crescita più forte di oggi lasciata solo agli effetti della politica monetaria di Draghi e alla riduzione del prezzo del petrolio. Naturalmente il nostro è un consiglio e tale rimane in attesa di opzioni diverse.
Paolo Cirino Pomicino
4-Al direttore - Per prima cosa congratulazioni per la direzione che nel mio piccolo sto premiando abbonandomi. Premetto che, a differenza di buona parte di voi foglianti, non sono un #RenziEntusiasta, ma che lo considero piuttosto l’unica alternativa. In seguito agli ultimi accadimenti sto facendo una riflessione: al di là della legge elettorale, dei premi di maggioranza (al quale posso anche essere favorevole), delle preferenze (alle quali sono contrario), se anche il giorno delle elezioni si dovesse formare un governo, e se anche questo governo riuscisse a produrre delle leggi che diano realmente seguito al programma presentato alle elezioni (e qui faccio professione di grande ottimismo), cosa vieta alla Consulta del caso di dichiararle incostituzionali? In estrema sintesi mi chiedo se ha realmente senso andare a votare per partiti che piazzeranno chissà chi in Parlamento, a formare governi litigiosi a produrre leggi che sono solo copia sbiadita delle promesse elettorali, le quali possono essere cancellate da un organo che non risponde al mio mandato? Io mi sono risposto, ma voglio sentire che ne pensate voi. Grazie della pazienza e dello spazio concessomi. Un deluso di Destra.
Marco Tesi
Capisco il suo ragionamento, e anche quello di Pomicino, ma mi vorrei concentrare su un punto in particolare di questa storia. La Consulta è un organo vitale per la nostra democrazia, anche se non sempre prende le decisioni giuste, ma dovrebbe essere sempre al di sopra di ogni sospetto. Qualche volta ci riesce. Qualche volta invece no. Noi che teorizziamo la non infallibilità della magistratura (eufemismo) non abbiamo imbarazzo a studiare le sentenze nel merito e a dire quando a nostro avviso la Consulta sbaglia, quando ci prende e quando invece fa politica. Ma se la politica vuole evitare che la supplenza della magistratura sia sempre meno pressante nella vita del paese dovrebbe mettersi la mano sul cuore e ammettere che se la Consulta è sospettabile di aver fatto politica è anche perché la politica dorme sulla Consulta. Ed è quasi mortificante dover ricordare che è da più di dieci mesi che la Corte costituzionale continua a lavorare con 13 giudici invece che i quindici previsti dalla Carta.