Se la Boldrini avesse raggiunto Di Battista e lo avesse riempito di schiaffi
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L’altro giorno vedo un clip. C’è la presidente della Camera, Laura Boldrini, l’onorevole Alessandro Di Battista dal suo seggio la insulta pesantemente, con accuse sanguinose, colpe per i morti nelle sciagure dell’immigrazione selvaggia, un attacco personale e politico che non aveva niente dell’umano
di Giuliano Ferrara | 19 Aprile 2015 ore 06:15
L’altro giorno vedo un clip. C’è la presidente della Camera, Laura Boldrini, l’onorevole Alessandro Di Battista dal suo seggio la insulta pesantemente, con accuse sanguinose, colpe per i morti nelle sciagure dell’immigrazione selvaggia, un attacco personale e politico che non aveva niente dell’umano. La presidente balbetta delle obiezioni, la situazione si fa urlante e confusa, il tono è quello della rissa, ma ciò che importa è l’immagine di debolezza, di mancanza di orgoglio e di anarchia emozionale che connota l’aula della Camera, con una soccombente che ispirava compassione e un predatore oratorio il cui tono, che suscitava ribrezzo, fa la musica, perché gli argomenti non contano, sono speciosi, il teatro è un puro teatro della crudeltà anticasta. Non amo politicamente la figura della Boldrini, ma ho sperato che chiedesse permesso ai suoi collaboratori della presidenza, si alzasse, attraversasse l’emiciclo, raggiungesse l’onorevole Di Battista e gli desse due schiaffi sulla faccia. Il gesto avrebbe fatto epoca.
Altro clip, altra piccola storia, ma di quelle che si ripetono più volte al giorno ormai da qualche anno. L’attore Alessandro Gassman bistratta Giorgia Meloni. Alla fine le dice: io la pago, la posso criticare quanto e come voglio. “Ah, questo sì”, risponde intimidita la leader della piccola formazione di destra. Gassman viene da una famiglia della borghesia liberale colta, sarebbe stato decente se avesse dovuto ascoltare brevi parole di serietà e decenza politica, che probabilmente avrebbe capito: “Lei ha il diritto di criticarmi, ma stia al suo posto, non faccia di me il suo zerbino, non sono una sua impiegata. Lei paga le tasse, e le pago anch’io: lo stato si attrezza per dare un peso rappresentativo al voto dei cittadini, il suo e il mio, e a me capita di essere parte di un’assemblea elettiva che fa le leggi e dispone della politica di governo attraverso l’attività quotidiana, il voto di fiducia. Mi sono candidata e sono stata votata per questo. Si chiama democrazia, una cosa per cui la cittadinanza non è effimera e a disposizione del primo demagogo che passa, e lei può essere un avversario anche durissimo della mia parte e delle mie idee ma non deve calpestare la mia funzione, e avvilirla”.
Queste cose non avvengono. Stampa e tv non registrano opinioni o gesti simili. Le immagini in movimento resocontano e amplificano il plebiscito di ogni giorno: una banda di profittatori ha usurpato il potere sovrano del popolo e lo opprime con il suo lassismo e i suoi privilegi. E’ una caricatura della lotta del terzo stato francese contro le guarentigie dell’aristocrazia ancien régime, nel Settecento. La mancata reazione dei parlamentari, non già alla critica, che è il sale della democrazia, non già alla satira o allo sberleffo, ma all’aggressione personale, alla vilificazione di gruppo e ad hominem, alla fine produce un effetto di cui chiunque può accorgersi vivendo in Italia: da noi, e solo da noi, le istituzioni sono la gomma da masticare della mascella incazzata del popolo, e i toni distruttivi sono alla portata di chiunque, non vengono incalzati, sfidati, sanzionati da comportamenti legittimamente orgogliosi e sensati. Chi pecora si fa, il lupo, anche il lupetto stracco dell’ideologia anticasta, se lo mangia.
Ci sono mille motivi per protestare contro comportamenti patologici del ceto politico, mille motivi per criticare e correggere e pretendere di essere ascoltati. Ma senza una reazione adeguata, senza un tono e un’intenzione di verità, che non vuol dire pedagogia democratica formalistica e banale, la schiuma alla fine ci sommerge tutti. Nella vecchia Repubblica, quando le istituzioni erano bloccate dalla guerra fredda e dallo scontro delle ideologie del dopoguerra, se ne dicevano di tutti i colori, ovviamente, la politica è conflitto. Westminster ospita lazzi, discorsi durissimi, umorismi e sarcasmi acuminati. Ma nelle Repubbliche ci deve essere un riconoscimento di valori reciproco tra le parti in causa, e tra istituzioni e opinione pubblica. Il rispetto che la Boldrini e la Meloni avrebbero dovuto pretendere, anche con gesti di ribellione, è un aspetto del rispetto che è dovuto al cittadino, non un’autodifesa castale.