Opposizione senza Speranza
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Pd, Forza Italia, Sel, Lega, Grillo. La guerra degli avversari di Renzi sulla legge elettorale come riflesso del tafazzismo delle opposizioni. L’errore di combattere le posizioni dominanti solo per vie legali. La concorrenza, no?
di Claudio Cerasa | 17 Aprile 2015 ore 06:18 Foglio
Non fidatevi di chi vi dice oh Madonna mia crollerà tutto, aiuto, moriremo tutti, il Pd è sull’orlo di una scissione, la battaglia sulla legge elettorale è il terreno sul quale verrà registrata la morte del centrosinistra, la minoranza del Pd trasformerà presto la sua insofferenza in una detonazione politica, il governo è a un passo dal collasso, Renzi ha una serpe in seno di cui giammai riuscirà a liberarsi. E non fidatevi di chi prova a dimostrare in modo romantico che le dimissioni da capogruppo del Pd di Roberto Speranza sono un passaggio fondamentale della storia della Repubblica. Calma. Quello che è successo in queste ore nella battaglia sull’Italicum – che poi è la battaglia sul cuore culturale del renzismo, sul bipolarismo, anzi il bipartitismo, la vocazione maggioritaria, e se volete anche la battaglia su ciò che rimane di quel che fu il vecchio Nazareno – è sintomatico non tanto di una insanabile divisione all’interno del Pd quanto, piuttosto, di una insanabile situazione che mostra in modo cristallino le ragioni per cui l’opposizione a Renzi è semplicemente senza speranza (s minuscola o s maiuscola, fate voi).
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Il ragionamento vale ovviamente prima di tutto per la scombinata minoranza del Partito democratico, che scegliendo di uscire fuori dall’Aula dei gruppi parlamentari al momento della votazione di una legge proposta dal segretario del Pd, tecnicamente ha deciso di non riconoscere la legittimità di un voto proposto dal presidente del Consiglio e a voler dare un significato ai gesti della politica si è messa tecnicamente con un piede fuori dal partito. Un tempo, un gesto del genere, messo insieme alla dichiarazione di un capo della Cgil che dice di essere pronto a sostenere un nuovo soggetto politico (lo ha detto ieri su questo giornale Susanna Camusso), sarebbe stato un cocktail sufficiente per far esplodere un partito. E invece, come è ovvio che sia, la minoranza del Pd non potrà fare nulla di quello che velatamente minaccia: non può far saltare la legge elettorale perché sennò salterebbe il governo, salterebbe il Pd e salterebbe anche la minoranza del Pd; e non può uscire dal Pd perché, più semplicemente, salterebbero i nervi agli elettori dello stesso Pd, i quali difficilmente capirebbero che un partito che ha preso il 41 per cento alle ultime elezioni, e che si appresta a vincere le prossime regionali, è qui che si spacca perché la minoranza della minoranza interna chiede il listino bloccato al posto dei capilista bloccati e qualche preferenza in più nella legge elettorale. Il tutto, poi, in un contesto surreale in cui gli stessi dirigenti che oggi chiedono più preferenze e che ringhiano pensando al dramma di avere una legge elettorale con il premio alla lista sono gli stessi, ma proprio gli stessi, dirigenti del Pd che anni fa ringhiavano chiedendo di rottamare le preferenze (da Bersani a D’Alema) e che anni fa chiedevano di sbarazzarsi il prima possibile dell’orrendo premio alla coalizione (andatevi a rivedere nel 2007 chi furono i campioni del Pd appena nato che misero la propria firma sotto il referendum presentato da Guzzetta e da Segni per eliminare dalla legge elettorale il premio di coalizione, e tra quei nomi troverete anche quelli di Rosy Bindi ed Enrico Letta). Tecnicamente, dunque, un suicidio parlamentare, che può essere giustificato solo dal fatto che la sinistra del Pd aveva un bisogno matto e disperato di mettere in scena un rituale simbolico utile a dimostrare di non essere ancora del tutto sparita dai radar della politica.
La dimostrazione però che l’opposizione confusa e caotica che viene fatta a questa legge elettorale sia lo specchio perfetto della confusione e dello smarrimento che si vive all’interno delle opposizioni la si può riscontrare anche prendendo in esame le posizioni messe in campo da coloro che due giorni fa hanno allegramente urlato al golpe al golpe per l’imminente approvazione dell’Italicum (se abbiamo contato bene, tra riforme istituzionali, elezioni del presidente della Repubblica, emendamenti sulla legge elettorale, quello denunciato mercoledì pomeriggio dovrebbe essere il quinto o forse il sesto golpe compiuto negli ultimi mesi). Prendete per esempio il caso del Movimento cinque stelle, che urla al golpe al golpe pur avendo di fronte a sé una legge elettorale che, con quel premio alla lista e quel ballottaggio, sembra fatta apposta per dare al Cinque stelle la possibilità di contendere al Pd la guida del paese e la possibilità di fare un giorno quello che evidentemente il movimento spera di non fare mai: governare. Prendete poi il caso di Sel, altro partito che allegramente urla al golpe al golpe (Nichi, ma che stai a di’?) pur avendo di fronte a sé una legge che, tra soglia di sbarramento in entrata molto bassa e possibilità di presentare in tutta Italia le pluricandidature, offre a tutti i piccoli partiti (a) la chance di entrare in Parlamento senza grandi difficoltà e (b) la chance di far candidare i leader dei piccoli partiti praticamente in tutt’Italia. Prendete anche il caso della Lega, che solo con una legge elettorale come l’Italicum potrebbe avere la possibilità di arrivare in futuro al ballottaggio e sfidare Renzi – ma evidentemente anche per la Lega salviniana governare è una variabile che non vale la pena prendere in considerazione (chissà che ne pensa Umberto Bossi). Ecco. Si potrebbe andare avanti per ore ma la posizione che rende meglio di ogni altra l’idea dell’opposizione senza speranza che si ritrova Renzi è quella di Forza Italia. Partito che, dopo aver scritto e votato la stessa legge elettorale che sarebbe oggi l’oggetto di un golpe, per scongiurare l’imminente golpe si appella a un presidente della Repubblica che non ha votato, che ha accusato di essere arrivato al Quirinale a seguito di un altro golpe e che dovrebbe essere ora la persona giusta per frenare il golpe renziano. Deliziosi.
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. E ci sarebbe da ridere se non fosse che lo stile utilizzato per combattere Renzi è lo stesso kamikaze utilizzato in Europa per combattere la posizione dominante di Google: lo stile cioè di tutti coloro che non riuscendo a fare concorrenza a chi ha il monopolio di un settore, per combattere il nemico ricorre a pigre vie legali, rinunciando in partenza a trovare un modo per migliorare la propria offerta. Da un certo punto di vista ha ragione chi dice che l’Italicum, in mancanza di un’opposizione forte, rischia di consegnare il paese a un solo partito, e rischia di creare non un bipartitismo, come dice Renzi, ma più semplicemente un monopartitismo. Il rischio esiste ma la domanda che si dovrebbe porre chi prova a combattere per vie legali la posizione dominante renziana è: la colpa di questa posizione è legata alle forzature fatte da chi si trova in una posizione di vantaggio o alla mancanza di un concorrente che sappia rubare fette di mercato a chi ha raggiunto una posizione dominante? La risposta, forse, non è così difficile da trovare, no?