Landini-Camusso, un brutto bacio ma un momento di bella verità. Sulla foto fenomenale con il leader della Fiom e quella della Cgil.
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Ipotesi sull’esserci in corpo e sull’assentarsi in spirito di lei
di Stefano Di Michele | 31 Marzo 2015 ore 14:08 Foglio
Galeotto fu il bacio (mancato) tra Landini e Camusso – uno si porge, l’altra si sottrae. “Brutto bacio”, ha sentenziato Cofferati, pure di faccende sindacali informato. La sinistra ha sempre amato fare sfoggio dei meglio sentimenti – mani e braccia e labbra e bandiere ardenti, nel temerario addentrarsi di odori e peli nel naso, i compagni con i compagni – salvo poi dividersi subito dopo ogni risultato elettorale.
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L’immagine della Camusso rigida come se fosse Olivia finita tra le braccia di Bruto, in attesa del salvifico Braccio di Ferro, mentre Landini s’avanza, è una foto perfetta (già quasi icona) della sinistra italiana.
Dal bacio “torrido” di Honecker e Breznev del ’79, a Muro di Berlino caduto diventato un manifesto pop, alle tante dichiarazioni di pubblico affetto e successiva rottura. Sarà forse per cautela che Togliatti esigeva, di fronte a ogni eccesso di confidenza dei militanti: “Compagno, mi dia pure del lei”. O che Renzi e il Cav. non si siano mai baciati. In pubblico.
Foto fenomenale, quella di Landini che, tra le bandiere rosse, tenta di baciare la Camusso – e lei con l’espressione di Olivia finita tra le braccia di Bruto, in attesa dell’arrivo di Braccio di Ferro. Lui che cala le labbra sulla guancia di lei; lei che pare attraversata dall’identico pensiero di Kim Basinger dopo la gravosa esercitazione di ben “Nove settimane e mezzo”: “Baciare Mickey Rourke è come leccare un posacenere”. Prezioso documento destinato come pochi altri a raccontare la storia della sinistra, quel bacio a singhiozzo – sempre quell’aggrovigliarsi pitonesco, quell’afferrarsi mani e spalle e labbra, quel perenne prendersi la misura a portata di alito e peli nel naso. Magari, alto là sopra il Pincio, la Camusso vedeva forse un gigantesco tuìt nel sole mentre Maurizio le afferrava le spalle e s’avventava sulle gote sue: “#susannastaiserena” – e chissà se la soccorrevano, in quel momento, ricordi di giovanili letture di Salgari, “un rapido rossore le aveva inporporato le gote e i suoi sguardi si erano fissati sui fieri lineamenti del filibustiere” – bello e di gentile aspetto a bordo del fiammante vascello Fiom, verso il quieto galeone Cgil (“Jolanda, la figlia del Corsaro Nero”). Lì, sospesa al penultimo scalino – né piazza né palco – Susanna è rimasta, quasi ferma come il busto di Oberdan sovrastante. Come se Veltroni avesse tentato di posare le sue labbra nelle vicinanze del baffo di D’Alema, se Renzi l’avesse fatto con la pelata di Bersani, se Civati avesse avvicinato la barbetta alla frangetta della Serracchiani. (Per par condicio, come se dall’altra parte Romani si fosse chinato, a mo’ di romanzo Harmony, sull’incarnato di Brunetta, o lo avesse fatto Fitto nei pressi dell’elaborato tricologico di Silvio).
Pure il bacio – e chi se lo aspettava, questo apostrofo rosso tra le parole “ma che cavolo stai combinando”? Se ne stava sospesa tra terra e cielo, sulla scala come Giacobbe, Susanna – l’esserci in corpo e l’assentarsi in spirito – quando l’inconcepibile è avvenuto. Pure il compagno Sergio Cofferati sul Corriere della Sera si duole così del magrissimo esito di tanto (scarso) trasporto: “Quello è stato un gesto brutto, un brutto bacio… Si ha la sensazione che lui stia lì, con la voglia di baciare: mentre lei, ecco, lei si ritrae e…”. Chiamala sensazione. Ecco, a sinistra mancava solo il “brutto bacio” esibito – proprio lì, tra lo sventolìo di bandiere e vite, nel trionfo di masse sfruttate e “apparatcik” sindacali. E che almeno sia “l’ultimo bacio”, cinematograficamente e sindacalmente parlando, questo. Davvero, una foto che dice tutto – più di mille comunicati, cento interviste, trenta sedute nella “piazzapulita” formigliana. Il peso di un bacio mal riuscito, non solo negli anfratti sentimentali del cuore, produce incalcolabili danni. (Che poi, danni producono, e qualche manifesto pop, pure quelli che paiono ben riusciti.
Avete presente il “bacio fraterno”, figurarsi, si capisce: alla sovietica, tra Honecker e Breznev, nel ’79? I due bellimbusti ci mettevano labbra a ventosa e appropriato trasporto, quasi la lingua pareva volersi mettere all’opera per la Causa, che manco Deborah Kerr e Burt Lancaster a bordo spiaggia in “Da qui all’eternità”? Finiti su un murales, sul Muro caduto: “Mio Dio, aiutami a sopravvivere a questo amore mortale”). In pubblico, la sinistra ama tutte le espressioni supreme, calde mani e forti braccia e ardenti bandiere, gli occhi rapiti e il corale afflato – come gli aviatori nei romanzi di Liala – per poi correre a sminuzzarsi, a frullarsi, a dividersi. Mischiarsi di pelle e di odori che, dopo il bagno della sconfitta elettorale, subito prendono strade olfattive diverse. Sempre singolare rischio, l’eccesso di trasporto in politica e su piazza. “Compagno, mi dia pure del lei”, esigeva Togliatti di fronte alla troppa confidenza. Quella smorfia sfuggita alla Camusso (lei, signor Landini!), è stato sì un “brutto bacio”, ma soprattutto un momento di bella verità. Renzi e il Cav., per esempio, mai si sono baciati. In pubblico.