Toghe renziane. Un’indagine

Da Firenze al governo. Chi sono i pm con cui il premier se la intende

di Leopoldo Mattei | 27 Marzo 2015 ore 17:41 Foglio

A Matteo Renzi le toghe non sono mai piaciute: quelle dei baroni universitari le ha colpite a raffica nella battaglia per il merito, mentre quelle delle procure continua a bersagliarle un giorno sì e l’altro anche (vedi sforbiciate alle ferie e responsabilità civile dei magistrati, approvata dopo trent’anni). Nel secondo caso, però bisogna fare un distinguo: le toghe rosse, quelle di Magistratura democratica nel cui mirino è finito a più riprese Silvio Berlusconi, piacciono ancora meno al premier. Il motivo? “Berlusconi va sconfitto politicamente, è assurdo aspettare di vincere confidando nelle procure”. Meglio dialogare, dietro le quinte a cena o tramite fidati mediatori, con i pm di Magistratura Indipendente (area centrodestra) o, ancora meglio, con quelli di Unicost, moderati e centristi, partendo da quelli fiorentini e toscani. Un po’ di nomi? Il magistrato forzista  Cosimo Maria Ferri, già leader di M.I e in ottimi rapporti con Renzi, è rimasto saldamente sulla poltrona di sottosegretario alla giustizia, dove sedeva già ai tempi di #Enricostaisereno. Ferri fece infuriare Renzi una sola volta, quando venne pescato a mandare sms con i nomi da votare per il Csm: traballò, ma alla fine rimase seduto.

Di Unicost è anche il sottosegretario all’interno Domenico Manzione, che in un’intervista a Report confessò candidamente di essere stato nominato nel governo Letta “su indicazione di Renzi, a cui sono legato da rapporti di amicizia e di stima”. Manzione (Domenico) e la sorella Antonella, già comandante dei vigili a Palazzo Vecchio e oggi a capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, sono due personaggi importanti per leggere la ripida ascesa dell’ex sindaco. Entrambi sono infatti da sempre in ottimi rapporti con Giuseppe Quattrocchi, anch’esso esponente di spicco di Unicost.

Facciamo però un salto indietro. A metà 2008, dopo la lunga gestione di Ubaldo Nannucci (corrente sinistrorsa), a dirigere la procura fiorentina arriva, da Lucca, il dottor Quattrocchi. Cinque mesi dopo scoppia il terremoto giudiziario sulla maxi operazione immobiliare di Castello: Renzi è ancora presidente della provincia, ma già candidato alle primarie a sindaco del Pd. Una missione impossibile per il futuro rottamatore. Il suo principale avversario, lo sceriffo Graziano Cioni, viene travolto dallo scandalo con l’accusa di corruzione. Renzi finisce nelle intercettazioni e viene a lungo interrogato da Quattrocchi, al quale riesce evidentemente a chiarire tutto, mentre indagini e intercettazioni fanno piazza pulita della vecchia classe politica diessina. E poco importa se, cinque anni dopo, Cioni verrà assolto dalla pesantissima accusa. Nei mesi scorsi, in pensione dopo 45 anni di onorata carriera, Quattrocchi è stato nominato consigliere per la sicurezza e anti degrado dal sindaco Dario Nardella, successore di Renzi, che a suo tempo aveva nominato Pier Luigi Vigna, prima che se ne andasse sbattendo la porta: “Matteo usi la poltrona di sindaco come trampolino di lancio”. Quella di Quattrocchi, archiviata l’era Renzi, non era una nomina scontata. Eppure è arrivata, e più d’uno a Firenze ha storto il naso bollandola come “inopportuna”. Nel frattempo, al Palagiustizia di Novoli, è arrivato da Palmi un altro procuratore capo: Giuseppe Creazzo, anche lui esponente di rilievo di Unicost. Due pm che un anno fa avevano aperto un fascicolo senza ipotesi di reato sulla casa del centro di Firenze dove Renzi aveva trasferito la residenza (l’affitto lo aveva pagato per mesi il miglior amico del premier, Marco Carrai). Era il 20 marzo 2014. Di quel fasciolo, un anno dopo, non si sa molto.

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