Dal Veneto in poi. La Lega che triangola con il Cav.

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per ridimensionare Salvini. Come far abbassare la cresta? Berlusconi tra i due Matteo. Turbolenze, malizie e veti. La doppia partita delle alleanze

di Redazione | 17 Marzo 2015 ore 06:18 Foglio

Roma. E alla Camera lo sussurrano persino i deputati della Lega, qualcuno un po’ ci spera, ché in Parlamento, nella destra disfatta delle alleanze impossibili, tra veti, malizie e minacce nell’ombra, nella ridotta, c’è una voglia matta e disperatissima d’assistere all’umiliazione dell’altro Matteo, cioè di Salvini: “Non succede, ma se succede…”. Lo vogliono ridimensionato, ricondotto a più miti consigli. E così c’è Silvio Berlusconi che con Salvini ci si vuole alleare, o almeno così pare, in Veneto. Ma in Forza Italia, adesso che Flavio Tosi ha detto che si candida pure lui, si sollevano tante voci e ammalianti, il partito è tutto un sotterraneo rullar di tamburelli: “Dovremmo trovare un nostro candidato in Veneto, e contarci. Perché dobbiamo subire gli ultimatum di Salvini, perché ci deve fare lui l’analisi del sangue a noi?”, dice Daniela Santanchè. E Cinzia Bonfrisco, senatrice veneta: “Non siamo e non dobbiamo essere gregari di Salvini”.

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Così anche nella Lega, nei gruppi parlamentari, tra i veneti (sono almeno in tre i deputati che lasceranno il gruppo parlamentare) e persino tra alcuni lombardi amici di Roberto Calderoli, avanzano cupe fantasie. Con le sue felpe, le sue apparizioni televisive, il suo rumoreggiare tra croci celtiche, saluti romani e forconi, Salvini ha recuperato la Lega alla vita politica, ha evitato il default elettorale al partito scivolato al 4 per cento dopo gli affaire del Trota e di Belsito, è vero, e questo miracolo glielo riconoscono tutti. Ma l’afflato da urlatore lepenista preoccupa la vecchia guardia padana, cinica e realista, che mugugna nell’ombra: il dito medio serve a guadagnare voti, sì, come le sparate a effetto, ma le alleanze servono a governare. E forse Salvini in realtà non vuole governare, vuole prendere il potere nella Lega e farne una cosa tutta diversa, temono i vecchi leghisti. Dunque, pensano loro, non sarebbe poi un guaio se Salvini si facesse “un bagno di realismo” perdendo in Veneto per effetto della sua “protervia gruppettara”.

E d’altra parte, mesi fa, è di questo che parlarono, a cena, ad Arcore, Berlusconi e Roberto Maroni, nelle pieghe d’una conversazione sul rimpasto del governo regionale lombardo. Berlusconi e Maroni erano – sono – entrambi avvolti dallo stesso sentimento di repulsiva attrazione per Salvini, “demagogo di cui dobbiamo tenere conto”. E adesso l’eventualità d’una vittoria del Pd in Veneto non è più così improbabile, dopo la candidatura di Tosi, spintonato da Salvini fuori dal partito. Un’ipotesi ancora meno improbabile se il Cavaliere – ma questo non succede – alla fine dovesse decidere, come gli suggeriscono alcuni tra i suoi cortigiani, di non sostenere Luca Zaia, il candidato di Salvini, se insomma Berlusconi decidesse di sparigliare, proponendo un suo candidato di bandiera alle regionali: “Finora la Lega ha fatto il suo, e io Salvini lo rispetto. Ma noi non abbiamo fatto il nostro”, dice Santanchè, allusiva. E Altero Matteoli: “Appoggeremo Zaia solo se si raggiungerà con Salvini un accordo a livello nazionale”. L’alleanza si farà, lo dicono tutti i frequentatori più assidui di Arcore, “è Salvini che deve smetterla di fare il pendolo”, spiega Alessandro Cattaneo. Anche se la tentazione di fargli abbassare la cresta “a quello lì” è molto forte, e non solo in Forza Italia.

 

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