Referendum, Fumarola boccia la crociata al Jobs Act: “Crescono occupati e contratti stabili, priorità a salari e sicurezza sul lavoro”

La segretaria della Cisl chiama a raccolta le forze riformiste: “Non guardiamo al passato Servono contrattazione e buona flessibilità. La legge sulla partecipazione è una svolta”

Luca Sablone 6 Giugno 2025 alle 04:35 ilriformista.it lettura5’

Mentre una certa sinistra sogna improbabili salti nel passato, Daniela Fumarola traccia la rotta per rispondere alle esigenze del nuovo mercato del lavoro. La crociata contro il Jobs Act è una dannosa battaglia di retroguardia. Perciò la segretaria generale della Cisl lancia un patto tra forze riformiste per aumentare i salari e combattere la piaga delle morti bianche. Senza slogan a effetto o scorciatoie.

Il mercato del lavoro è cambiato e richiede tutele nuove. Qual è la ricetta della Cisl?

«Oggi non siamo di fronte a una crisi di occupazione, ma di qualità del lavoro. I dati parlano chiaro: crescono gli occupati stabili e a tempo indeterminato, in tutte le aree del Paese. Ma non basta lavorare: bisogna lavorare meglio, elevare il valore aggiunto espresso dall’occupazione, incrementare i salari redistribuendo la produttività. Servono più sicurezza, più formazione, nuove tutele universali, partecipazione. Per questo serve un nuovo Statuto della Persona nel mercato del lavoro. Un impianto moderno che accompagni le transizioni, tuteli i percorsi discontinui, colleghi reddito, apprendimento, orientamento garantendo ogni individuo a prescindere dal tipo e dalla natura del lavoro che svolge o che intende cercare. I centri per l’impiego devono diventare snodi reali di connessione tra lavoratori, imprese, enti formativi, bilaterali. Le grandi trasformazioni – tecnologiche, ambientali, produttive – vanno governate, non subite. La buona flessibilità contrattata, inclusiva, che dà libertà vera, va stimolata per innovare l’organizzazione del lavoro, riconoscere tempi di vita compatibili con il lavoro, coniugare crescita e benessere lavorativo».

Niente ritorni al passato, quindi. Né Jobs Act né Fornero…

«Rimanere con lo sguardo inchiodato al passato mentre il mondo avanza a tutta velocità è assai pericoloso. Servono strumenti nuovi, non impossibili viaggi nel tempo. Il Jobs Act ha avuto aspetti positivi, con lacune non indifferenti, molte delle quali però corrette dalla giurisprudenza. Oggi serve uno sguardo che tenga dentro chi è rimasto fuori: giovani e donne in particolare. Serve più formazione, diritto soggettivo all’apprendimento, una rete di politiche attive degna di questo nome, avvicinamento delle relazioni industriali all’azienda, al territorio, alla persona. Meno leggi indifferenziate, più contrattazione di prossimità. Con i contratti possiamo sperimentare nuovi orari ridotti, smart working e lavoro agile ben regolato, conciliazione familiare, incremento delle retribuzioni e dei risultati, distribuzione degli utili e partecipazione alle scelte strategiche, integrazione e inclusione per chi arriva da altri Paesi».

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I dati sull’occupazione sono incoraggianti. Perché allora tanto allarmismo?

«Perché il populismo ha bisogno della paura. C’è chi, per interesse politico o ideologico, alimenta narrazioni catastrofiste, ignorando i numeri reali. Noi invece partiamo dai fatti. E la Cisl ha una lunga storia: ha detto la verità anche quando era scomoda, ha fatto scelte impopolari ma giuste. Come con Tarantelli, quando ci battemmo per fermare l’inflazione. Come nella concertazione degli anni Novanta. Fare sindacato, per noi, non significa gridare: significa emancipare, costruire, dare fiducia, responsabilizzare. È questa la nostra linea: riformista, autonoma, responsabile».

Però i salari restano bassi. La sinistra propone di fissare un minimo per legge. Facile, no?

«Il problema salariale è reale e urgente. Ma non si risolve con la scorciatoia di un salario minimo legale. Sarebbe un boomerang. Molte imprese uscirebbero dalla contrattazione collettiva per attestarsi su quel minimo, livellando in basso le retribuzioni medie, che sono quelle sulla graticola. La vera risposta sta nel generare crescita e redistribuirla rafforzando la contrattazione articolata, aziendale e territoriale, rinnovando i contratti scaduti, a partire dal superare i veti nel pubblico impiego, e poi abbassando le tasse sul ceto medio. Bisogna sostenere l’incremento di produttività, detassare i premi, promuovere l’innovazione e le aggregazioni. Serve un grande patto tra soggetti responsabili su questi temi. Non promesse a effetto, ma soluzioni serie, basate su un approccio scientifico, convintamente “impopuliste”».

La sicurezza resta una ferita aperta. A che punto è il Patto della responsabilità?

«La sicurezza non è una voce di bilancio: è la misura della civiltà di un Paese. Abbiamo apprezzato l’apertura della presidente Meloni dell’8 maggio, ora dobbiamo andare avanti con il confronto triangolare. Vedremo il 26 cosa ci dirà il leader di Confindustria Orsini. Noi pensiamo che la sicurezza debba essere la prima pietra del Patto. Proponiamo un’ora di formazione mensile obbligatoria, per tutti: lavoratori e datori, più controlli e ispezioni, IA nelle banche dati da incrociare, estensione della patente a punti, più prevenzione e partecipazione per rafforzare i controlli sulle procedure. Serve un grande cantiere partecipato su qualità del lavoro, legalità, salute, verso una nuova alleanza sociale».

Partecipazione: sarà la volta buona?

«È già una svolta. Con l’approvazione della legge di iniziativa popolare sulla partecipazione – frutto di una battaglia della Cisl – il nostro Paese ha finalmente dato attuazione all’articolo 46 della Costituzione ed è pronto a voltare pagina sulla democrazia economica nelle aziende. Non è solo una norma: è una visione. Più partecipazione significa più produttività, più salari, più sicurezza, più democrazia nei luoghi di lavoro. Ora dobbiamo tradurre questa conquista in contratti, in prassi, in cultura. La partecipazione è il cuore del nuovo modello economico e sociale che vogliamo: condiviso, corresponsabile, dal volto umano».

Landini attacca il governo ed evoca il rischio per la democrazia. Parla da sindacalista o da aspirante leader di partito?

«Non commento le intenzioni degli altri segretari. Però una battuta la voglio fare. Se davvero la pensa così, non dovrebbe affidare alla politica nessuna legge sulla rappresentanza. Per quanto ci riguarda, quella partita è chiusa in partenza: non possono essere le maggioranze di turno a scegliere livelli salariali, buone e cattive rappresentanze sociali, orari e organizzazione del lavoro. Sono materie che devono restare dentro il perimetro delle relazioni industriali. Apprezziamo molto che questo governo, come il governo Draghi peraltro, abbia difeso questa impostazione. Un riconoscimento importante alla democrazia economica di questo Paese».

La Cisl dialoga con il governo e ottiene risultati. Bene, però vi accusano di essere appiattiti sull’esecutivo…

«È una caricatura. Dialogare non significa appiattirsi. Significa esercitare una responsabilità, proporre soluzioni, ottenere risultati. E non lasciare, in ultima istanza, che le decisioni siano prese in stanze chiuse. Non c’è nulla di più sindacale. Grazie al confronto abbiamo ottenuto il taglio del cuneo, la riduzione delle aliquote Irpef, misure di decontribuzione, la patente a punti per i cantieri edili, 20 miliardi per i rinnovi pubblici, e la lista potrebbe continuare. Traguardi che non vogliamo lasciare intestare ai partiti. Ora serve fare un passo in più: collegare investimenti e riforme a un accordo che punti a più alti salari e produttività, innovazione e formazione, buona flessibilità e nuove tutele, qualità del lavoro, relazioni contrattuali. Un patto tra forze riformiste. Con chi ci sta».

Se potesse scegliere una sola misura da inserire nella prossima manovra, quale sarebbe?

«Fermare la strage quotidiana sui luoghi di lavoro. Nessun compromesso è accettabile su questo. Formazione obbligatoria, controlli efficaci, responsabilità condivisa. La sicurezza deve diventare cultura diffusa, patrimonio comune, non voce di spesa. È una battaglia civile prima che sindacale. E deve essere priorità nazionale. Noi ci siamo, con determinazione e senza retorica».

Luca Sablone

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