Parole d’ordine. La noiosa omologazione del linguaggio in campagna elettorale. In “Slogan e campagne elettorali”,
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Pedrini spiega che la maggior parte dei candidati comunica frasi a effetto vecchie e ripetute, con scelte lessicali raramente originali
4.6.2025 Pier Paolo Pedrini linkiesta.it lettura2’
Pier Paolo Pedrini Tratto da “Slogan e campagne elettorali. Parole e luoghi comuni dei politici svizzeri e italiani” (Carocci), di Pier Paolo Pedrini, pp. 232, 28€.
Nella comunicazione politica i messaggi dei partiti e dei loro candidati sono riconducibili a quanto si deve dire in determinate circostanze, a una sorta di parole d’ordine e frasi a effetto che erano già conosciute dalla propaganda della guerra prima e dalla pubblicità poi, e che vengono espresse con l’aiuto di stratagemmi retorici teorizzati dai classici, Aristotele in primis.
In molti casi viene palesata una scarsa cultura comunicativa, per cui le scelte linguistiche per i manifesti della campagna elettorale avvengono spesso senza la consapevolezza di quanto effettivamente esprimono né del loro potenziale interpretativo.
Forse agiscono per convenienza o per approssimazione, forse senza il giustificato riguardo o forse si muovono per istinto, senza preoccuparsi dell’effetto che le parole hanno sul cervello di chi le ascolta o legge e sull’azione di modellare la politica. In ogni caso il linguaggio risulta scontato, poco soppesato, in qualche caso semplicemente copiato da altri, privato del riconoscimento di un ruolo significativo per la comunicazione della propria identità.
Insomma, salvo poche eccezioni, rispecchia una noiosa omologazione che non provoca nessun positivo stupore nell’elettore perché tutto squisitamente prevedibile dai risultati degli studi sull’intelligenza linguistica e altre discipline.
Di solito la leggerezza con la quale viene trattata la comunicazione è riconosciuta solo al termine delle elezioni, quando lo sconfitto ammette la bontà dei temi e delle parole della campagna del vincitore.
[…]
Siccome la comunicazione politica è di interesse pubblico, il mio scopo è pure quello di fornire una chiave di lettura che faccia capire ai cittadini che i messaggi sono tutt’altro che improvvisati e forse nemmeno sinceri, ma che rispecchiano piuttosto una convenzione, una continua riformulazione del vecchio, un rimescolamento del déjà vu, al fine di leggerli e interpretarli con minor ingenuità e maggiore comprensione.
Per alcuni «rimescolamento» è una parola molto generosa perché hanno paradossalmente provocato uno spaesamento, soprattutto quando due candidati appartenenti a partiti concorrenti hanno formulato con le stesse parole il loro slogan, che è risultato identico.
Il famoso aforisma di Antoine-Laurent Lavoisier «nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma» presenta una grande eccezione nel campo politico, dove varrebbe la pena adattarlo con un più moderno e politicamente corretto «tutto si ricicla».
Andrebbe bene anche ripensare a Umberto Eco quando diceva che una tesi di laurea «è come il maiale, non se ne butta via niente». Una conclusione adattabile agli slogan politici.
L’uso delle stesse tecniche e parole da parte di quasi tutti i partiti produce un effetto marmellata che è preoccupante per la definizione dell’identità, sia del candidato che del partito.
Chi lo dice? Chi lo pensa? Tutti, con poche distinzioni.
Se nel commercio si dice che i prodotti si assomigliano sempre più e che la differente percezione della loro identità e immagine è costruita dalla comunicazione, anche in politica sta succedendo lo stesso fenomeno. Ma se nel commercio si parla di «corrosione del marchio», con conseguente danno d’immagine, in politica l’effetto è uguale, ma pochi se ne preoccupano, o fanno finta di niente.
Pierre Martineau (1964) concluse che «nel mercato non competono prodotti, ma messaggi» e lo stesso vale per la politica perché oggi governare significa in gran parte comunicare, e non si può sottovalutare nessun suo aspetto e nessuna sua sfumatura, per cui anche nel marketing politico per suscitare interesse bisogna sottolineare la straordinarietà del proprio progetto o personalità, evidenziandone l’unicità.
Ma l’impresa è ardua.