"Così abbiamo archiviato l’eccellenza a motore" Crisi Stellantis, Ruggeri: “Tavares non era il problema. In Italia sono quattro stabilimenti chiamati ‘cacciavite'
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“Il problema non era Tavares ma le decisioni che era pagato per prendere”, ci dice chi conosce la vicenda Fiat-Stellantis più da vicino. L’analista – che oggi dirige Zafferano.news – prevede fusioni tra giganti europei
Aldo Torchiaro 4.12. 2024 alle 11:42ilriformista.it lettura4’
La crisi dell’automotive scuote l’Europa. E in Italia il governo preannuncia, nella serata di ieri, provvedimenti straordinari in manovra. Riccardo Ruggeri, operaio di linea entrato in fabbrica, alla Fiat Auto, negli anni Cinquanta, è un caso anomalo: ha scalato l’azienda, entrando nel management di vertice e seguendo dalle “stanze dei bottoni” tutte le evoluzioni Fiat. Scoperto da Pierluigi Magnaschi come giornalista, oggi è tra i più lucidi e vivaci analisti degli scenari dell’automotive europei.
Che cosa è successo con l’addio di Tavares?
«Bisogna delineare, al di là di Tavares, la figura del Ceo: nello scenario di oggi, il Ceo è equiparato a un allenatore di calcio. Nel senso che è strapagato rispetto a ciò che fa perché deve assumersi responsabilità straordinarie. E lui è esattamente questo. Un uomo pagato per prendere decisioni che loro gli dicono di prendere. Una di queste, oggi, è la richiesta di dimettersi. Io ho fatto il Ceo in un’altra epoca, in cui si veniva giudicati per i risultati e non per le scelte di management».
E quali sono gli errori per i quali oggi Tavares deve pagare?
«Partiamo dal peccato originario? L’Europa, nella persona di Ursula von der Leyen – con il Consiglio dei 27 che ha avallato la sua scelta, poi con il voto del Parlamento europeo – ha voluto la famosa legge 2035. Tutto parte da lì. Quella decisione, dal punto di vista manageriale scellerata, porterà in brevissimo tempo l’industria europea dell’auto un follower mondiale».
Follower di chi?
«Delle industrie leader. Quelle che guidano il mercato, anziché andare al traino. Siamo diventati subalterni, dipendiamo da altri: gran parte dei materiali oggi li compriamo in Cina, mentre prima l’acciaio lo producevamo».
Exor ha finanziarizzato troppo, spostando l’attenzione dal prodotto auto ai derivati finanziari. È parte del problema?
«La Fiat ha venduto grazie a Marchionne le sue attività a prezzi straordinari. Prezzi che hanno fatto spaventosamente ricca la famiglia Agnelli-Elkann. Molto più ricca di come era l’Avvocato (Gianni Agnelli, ndr.). Non c’è confronto tra la ricchezza di John Elkann e quella di Gianni Agnelli, e questo grazie alle operazioni finanziarie di Marchionne. Tra i residui di questi importanti patrimoni è rimasta Fiat Auto, che poi è diventata Fca, e poi è diventata Stellantis. Fiat è uscita nel momento in cui c’è stata la fusione con Chrysler».
Poi c’è stata la sceneggiata di Marchionne che ogni anno fingeva di rompere con Confindustria…
«E ogni anno faceva un piano strategico che non si faceva mai. Era una sceneggiata che serviva a far capire che Fiat doveva tagliare la corda dall’Italia. E c’era chi faceva finta di non capirlo, oltre a chi non lo capiva davvero. Marchionne, grandissimo deal maker, era un liquidatore. Aveva capito che bisognava liquidare e sapeva come farlo al meglio. L’ultima parte da liquidare era la parte automobilistica. La prima volta con l’operazione Chrysler, in cui a mettere i soldi fu Obama. E non li mette per salvare Fiat ma per salvaguardare il fondo pensione degli azionisti-sindacalisti di Chrysler. Marchionne rimette a posto sia Fiat sia Chrysler e restituisce i soldi a Obama e al fondo pensione dei sindacati».
E a quel punto cosa succede?
«Morto Marchionne, vendono Fca ai francesi di Peugeot, e cambiano nuovamente il nome in Stellantis. E mentre gli stabilimenti francesi non vengono toccati, da quelli italiani viene portato via tutto. Il cuore stesso della Fiat, la progettazione, il marketing e tutto il resto. Sono rimasti in Italia solo quattro stabilimenti che in termini tecnici vengono chiamati “cacciavite”: possono fare solo montaggio. Questa è stata la storia Fiat-Fca-Stellantis negli ultimi venti anni. Oggi a noi di Stellantis dovrebbe interessare molto poco».
Se non fosse per quei quattro stabilimenti. I quattro “cacciavite”…
«Il problema è che nel mondo delle auto elettriche, se si va a Mirafiori, si capisce che non si può riconvertire nulla. L’auto elettrica è semplice da fare, ma richiede macchinari diversi. Non ha bisogno delle catene di montaggio di Mirafiori. E siccome non c’è più la progettazione, gli stabilimenti che ci sono oggi in Italia sono destinati a fare più che altro, welfare. Cioè quei diecimila operai che sono oggi a Mirafiori vanno avanti con la cassa integrazione».
Non esistono più posti di lavoro veri e propri, nell’automotive?
«Quando hai diecimila persone in cassa integrazione da diciassette anni, che posto di lavoro è? Possiamo raccontarci tutte le balle che vogliamo ma è così già da Marchionne: le auto nuove si andavano a produrre in Polonia e in Serbia, dove i vincoli normativi, ecologici e burocratici che abbiamo in Italia, non esistono».
Come va a finire questa partita?
«Nel modo classico, quando le aziende leader diventano aziende follower, cosa succede? Stellantis, quando l’azionista francese – che si chiama Macron – dirà che così non si va avanti, si fermerà tutto. Se dicono che i tagli che hanno fatto non bastano, e che devono fondersi con Renault, di cui è azionista di riferimento il governo francese, Stellantis è finita. Quando avranno fatto anche questo – continuando anche così a rimanere azienda follower – parleranno con Volkswagen. E allora l’ineffabile Ursula von der Leyen dirà, come disse all’epoca Fassino: “Abbiamo l’auto europea”. “Abbiamo un’auto”».
Commenti
Nel tavolo del 17 dicembre il gruppo dovrà garantire la tutela dell'indotto, oltre a presentare un piano industriale che restituisca centralità agli stabilimenti italiani. In arrivo nuovi fondi, ma per il ministro il problema resta “la follia del green deal”
“Stellantis si è detta disponibile ad attivare una discussione con la direzione dell'azienda Trasnova per supportarla in questa fase di transizione”……
Sul caso Stellantis, Urso si scaglia contro il governo Conte formato da Pd e M5s: "Quando Stellantis presentò e chiese l'esercizio della golden power, perché allora fu chiesto dall'azienda e ritenuto doveroso, fu il governo a lavarsene le mani ritenendolo non esercitabile. Ma l'azienda le presentò la richiesta, questa è la verità", ha sostenuto il ministro, aggiungendo che per quell'errore "oggi dobbiamo riparare".
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Alla base delle varie problematiche del settore, conclude il ministro, si deve guardare a Bruxelles: “Il problema è nella follia delle regole europee del green deal”, che in questi giorni emergono in tuta evidenza con la chiusura di stabilimenti in tutta Europa e il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori”. Il riferimento è all'annuncio della chiusura di tre stabilimenti tedeschi da parte di Volkswagen, l'accesso alla procedura fallimentare richiesto dal gigante tedesco delle batterie Northvolt. “L'italia in Europa ha la responsabilità di cambiare quelle regole, e ci riusciremo".redazione ilfoglio.it estratto 4.12.2024
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