AGOREPORT! MONTANELLI E FALLACI SCANSATEVE! AI GIORNALISTI DEL “CORRIERE DELLA SERA” SI INSEGNA

A SCRIVERE IN MODO “INCLUSIVO” CON UN CORSO ON-LINE - L’ULTIMA FOLLIA DEL POLITICAMENTE CORRETTO APPLICATA ALL’EDITORIA SERVIRA’

22.11.2024 dagospia.com lettura4’

PER APPRENDERE UN “USO NON SESSISTA DELLA LINGUA ITALIANA” E PER “EVITARE L’USO DEL MASCHILE SOVRAESTESO”: IN PRATICA, IL MATTINALE DEI CARABINIERI RISULTERÀ IN FUTURO MOLTO PIÙ ACCATTIVANTE DEI TITOLI INCLUSIVI - SUL LAVORO BISOGNA EVITARE LE MICRO-AGGRESSIONI, TIPO L’UOMO CHE SIEDE A GAMBE SPALANCATE (LA DONNA MAI?) - PER NON FARSI MANCARE NULLA ARRIVANO LE INDICAZIONI SU COME CHIAMARE I NERI E I TRANS -INSOMMA, CONTINUANDO CON QUESTA FINTA E IPOCRITA “ECOLOGIA DEL LINGUAGGIO” POI NON LAMENTATEVI SE TRIONFA TRUMP!

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DAGOREPORT

Montanelli e Fallaci fatevi più in là. Ai giornalisti del gruppo “Corriere della Sera” adesso si insegna a scrivere inclusivamente con un corso on-line. Altro che “La rabbia e l’orgoglio” o i puntuti corsivi! Altro che titoli accattivanti! Ora, c’è il “corso base” di linguaggio inclusivo: più avanti, magari, ci sarà anche quello “avanzato”.

Il corso, spiega un video, serve per apprendere un “uso non sessista della lingua italiana” e per “evitare l’uso del maschile sovraesteso”, cioè quando si scrive presidente sia per un uomo che per una donna (nel linguaggio inclusivo, a questo punto, non dovremmo scrivere per un uomo e per una donna bensì “per una persona che si sente uomo” e “per una persona che si sente donna”).

Il corso spiega che i “Gender Bias sono distorsioni mentali in base alle quali, per esempio, in fase di assunzione si preferisce un uomo a una donna” (affermazione discutibile che non fa alcun riferimento a dati o a quelle professioni dove si preferiscono le donne) o in base alle quali qualcuno ancora usa i termini “signorina e signora” anziché il cognome (dal che si evince che se in una situazione lavorativa uno non conosce il nome proprio di una collega e nemmeno della persona che fa le pulizie non sa più come rivolgersi ad ello o ella, comunque non con “signore” o “signora”).

Bisogna porre attenzione ai titoli. Il sito on-line che ha titolato “Italia oro nella spada squadre, francesi battute in casa. Le 4 regine: l’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma” ha commesso un’infinità di errori. Il titolo giusto (!) doveva essere: “Le atlete Rossella Fiamingo, Alberta Santuccio, Giulia Rizzi e Maria Navarria medaglia d’oro a Parigi 2024 nella spada a squadre. Francesi battute in casa”: insomma, il mattinale dei Carabinieri risulterà in futuro molto molto più accattivante dei titoli inclusivi.

 

 

Sul lavoro (e ovunque) bisogna evitare le micro-aggressioni. Ma cosa sono? Sono, ad esempio, l’uomo che siede a gambe spalancate (la donna mai?) deriva “dall’educazione sottostante agli uomini di dominare lo spazio, occupare tutto il mondo che ti circonda.

Le donne, invece, sono educate sin da piccole a parlare con gentilezza”: ma questa che fa il corso on-line ha mai viaggiato su un Frecciarossa a sentire quanto blaterano ad alta voce le donne?

 

Inoltre, “i maschi usano il tone-policy solo contro le donne, non dicono mai a un collega maschio di abbassare il tono” (ma chi l’ha detto questo?). Microagressione, ovviamente, è anche fare complimenti non richiesti (ma se sono richiesti sono complimenti? Cioè, una donna deve dire a un uomo: “Dimmi che sono carina” e, solo dopo, questo può dire “Sei carina”, vabbè). Non è opportuno partecipare a chat di soli uomini.

 

 

Ci sono, poi, le parole da usare e da non usare.

Bisogna usare i “femminili professionali” (come ingegnera, assessora…). Se una come Beatrice Venezi a Sanremo chiede di essere chiamata direttore d’orchestra e non direttrice “questo è perché si usa il maschile in professioni considerate prestigiose e il femminile in professioni considerate non prestigiose come cuoca o cassiera” (eh già, non esistono anche cuoco e cassiere? Di contro, la lingua non ha introdotto spontaneamente termini come fattorina, camionista, spazzacamina, meccanica… come mai? Semplice: perché queste professioni, non prestigiose, sono svolte quasi sempre da uomini).

 

Quando si scrivono email sarebbe opportuno “raddoppiare il genere”, come “Cari colleghi e care colleghe…” (per fortuna non serve più la carta, altrimenti disboscavamo l’Amazzonia…) oppure usare la schwa o l’asterisco.

Affermazioni come “non dimostra i suoi anni” oppure “ha ancora voglia di mettersi in gioco” oppure “sei ancora giovane” non vanno usate, non sono complimenti, anzi “significa mettere dentro scatole preconfezionate dove ci sono i giovani e i vecchi” (ah già! Non ci sono? Nel magnifico mondo della lingua inclusiva non ci sono più le età, forse non si muore nemmeno, che so, si scriverà il “diversamente in vita”).

Abbiamo tre parole per riferirci alle persone afrodiscendenti: “la parola con la n che finisce per o meglio non pronunciarla mai”, di colore non va troppo bene perché “definisce tutte le persone non bianche” (discriminandole) quindi solo “nero” o “persona afrodiscendente” (23 caratteri).

Ovviamente, i lavoratori di tutti gli uffici devono sapere che sesso e genere non sono la stessa cosa: il sesso “è assegnato su base biologica alla nascita in base alla presenza di organi sessuali maschili o femminili” mentre il genere è un “complesso di elementi psicologici, sociali e culturali che determinano l’essere uomo o essere donna ed è definito dalla persona stessa e può corrispondere o meno al sesso assegnato alla nascita” (assegnato? Non è che il medico assegna un sesso: il sesso lo assegna, a sorte, la Natura! Chiamate Leopardi, please).

Pertanto, i transgender sono persone la cui identità di genere “non corrisponde al sesso assegnato alla nascita”. Per definirli si può scrivere “persona trans” (aggettivo), ma non “il trans” (sostantivo) perché ha connotazione dispregiativa; queer è una “definizione ombrello per tutte le identità di genere che non corrispondono al sesso assegnato alla nascita”.

L’identità di genere non è da confondere con l’orientamento sessuale, che può essere pansessuale, bisessuale, eterosessuale o omosessuale. Quindi, riassumendo, una persona alla quale è stato assegnato (!) il sesso femminile alla nascita, ma questa assegnazione non corrisponde a un suo “complesso di elementi psicologici…”, può mettersi in transizione come “persona trans” per diventare di genere maschile, magari con tendenza omosessuale e quindi amare un uomo. Una fatica immane; tanto valeva restare nel sesso assegnato!

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