Dilapidato il patrimonio elettorale del Carroccio
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Salvini, l’emorragia di voti continua e ora teme la valanga: Lega a picco, Veneto a Meloni
Pasquale Ferraro 21 Novembre 2024 alle 09:24 ilriformista.it lettura3’
Sosteneva Napoleone Bonaparte che la “gloria è fugace”, e in materia possiamo accettare senza alcuna difficoltà la sua “auctoritas”. Estendendo questo concetto alla politica italiana possiamo denotarne una certa attualità. Da tempo – non solo in Italia – si assiste a un restringimento delle “stagioni politiche”, con rapide ascese e rapidissime cadute. Viviamo il tempo delle tendenze, degli hashtag, e anche la durata delle stagioni politiche si è riadattata, ridefinendo pure le parabole dei leader, dei partiti e delle mode.
Dilapidato il patrimonio elettorale del Carroccio
Al tempo de “La condizione postmoderna” (con cui Jean-François Lyotard annunciò la fine delle grandi narrazioni) la preoccupazione fu quella del vuoto, del dover ridefinire i parametri stessi dell’azione politica (e non solo) e il fine ultimo della lotta; oggi invece la questione sembra focalizzarsi sulla durata, sulla resistenza, che fa il paio anche con l’originalità e dunque con la viralità del proprio messaggio politico. Probabilmente questo è uno dei tanti temi che la Lega di Matteo Salvini starà sviscerando in queste ore, al netto di una sconfitta che – pur se condivisa da tutto il centrodestra – trova nel Carroccio la forza politica che ha definitivamente dilapidato un patrimonio elettorale e subìto il risultato più deludente.
Progetto Lega Salvini al capolinea?
Non è la prima volta che accade, e di certo non sarà l’ultima. Ormai la politica italiana si è caratterizzata per la sua instabilità, dovuta anche alle sempre maggiori esigenze dei cittadini. Ma il risultato leghista resta. Non solo perché i dati lanciano un significativo allarme – al di là delle frasi di circostanza – ma anche e soprattutto perché a essere messo in discussione non è un candidato o una particolare corsa elettorale fallita, ma il progetto stesso della Lega di Salvini. Non più forza nordista, ma forza politica nazionale (presente in tutti i Consigli regionali delle Regioni del Sud, con ruoli di primissimo piano in quelle amministrate dal centrodestra) a oggi in netta ritirata su tutti i fronti. Con il rischio concreto di essere ricacciata al di là del Rubicone, perdendo tutto il terreno conquistato, ritornando a essere una forza del Nord e non più nazionale. Una sorta di CSU, costola bavarese della CDU. Scenario che dalle parti di via Bellerio non deve certo entusiasmare la classe dirigente salviniana, che sulla “nazionalizzazione” del progetto politico ha incentrato gran parte della propria sfida.
Alla ricerca di una nuova strategia politica
I risultati elettorali non hanno aiutato di certo a digerire il passaggio del testimone, ma questo fino a ora non ha provocato grandi scossoni tra gli alleati (al di là del gossip, che appunto tale resta). Il centrodestra esiste dal 1994, e anche nei momenti più complessi ha saputo mantenere l’unità e la compattezza. Il vantaggio rispetto alla sinistra non è solo dato dalla continuità temporale della coalizione, ma dalla sua omogeneità. Ciò che divide i partiti della coalizione sono più che altro sfumature, al netto di una visione globale e valoriale comune. Per questo la palla della crisi è tutta dentro la formazione leghista, che deve trovare una nuova strategia politica. Cosa fattibilissima per un partito totalmente post-ideologico. Le carte del sovranismo (e di quello che con troppa faciloneria giornalistica viene chiamato “populismo antisistema”) non trovano spazio nella realtà italiana, dove la destra governa e a guidare la coalizione e il paese c’è un partito conservatore che del patriottismo e dell’identità fa la sua bandiera, senza però marginalizzarsi fuori dalla stanza dei bottoni.
La Lega sul piano europeo ha pagato il mancato pragmatismo che l’ha sempre caratterizzata in Italia, come forza di governo sia a Roma che negli Enti locali, con un’ottima classe dirigente. Ma il momento della riflessione – per quanto traumatico – obbliga a imboccare una strada, non solo per ridefinire il partito ma anche per rinsaldare la segreteria di Salvini. Incombono importanti appuntamenti elettorali nel 2025, con le elezioni in Veneto che preoccupano i leghisti, timorosi che per il dopo Zaia si opti per un candidato meloniano. Salvini smorza la questione delle caselle dicendo che “non dobbiamo giocare a Risiko” e ha ragione. Gli Enti locali vanno maneggiati con cura, perché è lì che la sensibilità dei cittadini è maggiore. E dovrebbe obbligare tutti a mettere da parte gli equilibri nazionali, scegliendo il candidato più indicato per quel determinato territorio, al di là delle percentuali di ciascuno, altrimenti si rischia il flop. Sardinia docet!
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