Italia fragile Nel Paese degli inattivi, calano anche i contratti a tempo indeterminato

A settembre 2024 sono diminuiti occupati e disoccupati, mentre continuano a crescere gli scoraggiati che un lavoro non ce l’hanno e non lo cercano,

1.11.2024 Lidia Baratta, linkiesta.it lettura4’

soprattutto tra le donne e nella fascia dei quarantenni. Brusca frenata per i rapporti stabili: meno cinquantacinquemila, su un calo totale si sessantatrémila posti. Pesano le difficoltà dell’industria nella componente maschile

(Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)

Il Pil italiano nel terzo trimestre non cresce. E anche il mercato del lavoro comincia a non sentirsi troppo bene. Gli ultimi dati Istat dicono che a settembre 2024 sono diminuiti occupati e disoccupati, mentre continuano a cresce gli inattivi, quelli che un lavoro non ce l’hanno e non lo cercano. I numeri sono mensili e vanno presi sempre con le pinze, ma su ben sessantatrémila posti di lavoro in meno, per la prima volta la quasi totalità sono contratti a tempo indeterminato (-55mila). Il sorpasso record dei 24 milioni di occupati frena, scendendo a 23 milioni 983mila. E mentre i disoccupati calano di quattordicimila unità, l’aspetto più preoccupante, che continua dai mesi precedenti, è l’aumento dell’inattività. Quelli che a settembre escono dal mercato, gli inattivi, sono cinquantaseimila in più rispetto ad agosto.

È ormai evidente la spaccatura tra chi trova un lavoro e chi ci rinuncia e smette di cercarlo. Un aspetto che deve essere sfuggito dai conti sulla calcolatrice della premier Giorgia Meloni nel siparietto a “Porta a Porta”. L’andamento annuale è quello più significativo: a fronte di 301mila occupati in più e 423mila disoccupati in meno, si contano ben 337mila inattivi aggiuntivi. In pratica, sono più quelli che hanno rinunciato al lavoro che quelli che ne hanno trovato uno nuovo.

Su base mensile, il tasso di occupazione scende al 62,1 per cento, quello di disoccupazione è stabile al 6,1 per cento, mentre il tasso di inattività sale al 33,7 per cento, tornando ai livelli di inizio 2003.

A perdere posti di lavoro a settembre sono stati soprattutto gli uomini (-52mila), certamente a causa delle difficoltà dell’industria, in calo costante da oltre un anno, trainata verso il basso soprattutto dal settore dell’auto e da alcune parti della manifattura (tessile e abbigliamento soprattutto). L’occupazione scende di meno tra le donne, che in un anno crescono più dei colleghi maschi (+179mila contro +122mila).

Ma, a fronte di 264mila disoccupate in meno, le donne inattive in più sono ben 190mila, un dato preoccupante per il Paese che ha anche il più basso tasso di occupazione femminile in Europa.

Ma pure tra gli uomini il calo dei disoccupati annuale di 158mila unità viene controbilanciato negativamente dai 147mila inattivi in più.

Anche la composizione del mercato, dopo la crescita costante dei contratti stabili, mostra più di una crepa.

A settembre, su 63mila occupati in meno, 55mila sono contratti a tempo indeterminato.

Un brusco calo dopo l’impennata di agosto di settantacinquemila rapporti di lavoro stabili in più. Non sono serviti sconti e superdeduzioni a convincere gli imprenditori ad assumere, insomma. Una spiegazione dietro il calo dei contratti stabili potrebbe essere anche la crescita del ricorso alla cassa integrazione nella manifattura, con l’Istat che conteggia come non più occupato chi usufruisce dell’ammortizzatore da oltre tre mesi.

E nello stesso tempo assistiamo a una diminuzione dei contratti a termine, con una tenuta degli autonomi che potrebbe lasciare intravedere il mancato rinnovo dei rapporti a tempo determinato e il passaggio a forme di false partite Iva dietro cui si nasconde, nella sostanza, il lavoro da dipendente. In un anno, i contratti a termine sono centodiecimila in meno, a fronte di ottantunomila autonomi in più.

A settembre tiene la fascia di ingresso nel mercato tra i venticinque e i 34 anni, che guadagna quattordicimila occupati, con una crescita dei disoccupati di sedicimila unità e ventinovemila inattivi in meno. A soffrire di più è invece la fascia intermedia dai 35 ai 49 anni, dove di fatto crescono solo gli inattivi – più settantatrémila – con un calo di settantacinquemila occupati.

E anche al netto della componente demografica, quindi senza considerare l’invecchiamento e la riduzione della popolazione in età da lavoro, si nota una crescita dell’occupazione polarizzata solo tra gli under 35 e over 50 (entrambi al +1 per cento), con la fascia di mezzo che cresce solo dello 0,1 per cento. E se gli inattivi tra i più giovani segnano un +1,9 per cento in un anno, tra i quarantenni si arriva addirittura al +7,3 per cento nei dodici mesi. Pari a 144mila in più.

È qui che si concentra la parte più debole del mercato, sulla quale si attende un segnale da parte del governo oltre le celebrazioni dei record di occupati. Lavoratori per i quali non esistono grandi agevolazioni alle assunzioni, magari con competenze da aggiornare o riqualificare per essere ricollocati. Una fascia probabilmente affollata anche da quegli ex percettori del reddito di cittadinanza, che certamente non hanno trovato un lavoro con la piattaforma Siisl e il Supporto formazione lavoro, misure che secondo il governo avrebbe dovuto invece far rialzare dal divano gli occupabili che usufruivano del sussidio.

La realtà del mercato del lavoro, dietro i numeri e gli slogan, è un’altra. Ma nelle slide per le celebrazioni dei due anni del governo Meloni non se n’è vista traccia.

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