A volte rimangono. L’eterno ritorno del maledetto dibattito sui «sacrifici»
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C’è un legame strettissimo tra i tecnici chiamati all’indomani della crisi finanziaria per salvare la patria in pericolo e la stagione dei populisti sbocciata subito dopo.
10.10.2024 La Linea Francesco Cundari, linkiesta.it lettura2’
Ma la dialettica di questi giorni mostra che a sinistra non è stato fatto alcun passo avanti,
scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
Il deprimente dibattito sui «sacrifici», una delle espressioni più tristi di tutto il tristissimo lessico politico-giornalistico degli ultimi cinquant’anni, dimostra come nient’altro questo grande paradosso italiano: che le cose possono peggiorare sempre, con implacabile eppure sorprendente regolarità, senza che al tempo stesso si possa nemmeno dire, in senso pieno, che stessero meglio prima. L’articolo di Elsa Fornero sulla Stampa di oggi, peraltro pieno di osservazioni ragionevolissime, me lo ha ricordato ancora una volta, dolorosamente. Per anni, in particolare all’indomani della grande crisi finanziaria del 2007-2008, quando i progressisti di tutto il mondo cominciavano a rimettere in discussione la propria adesione all’ideologia del mercato, ho ascoltato i massimi dirigenti del centrosinistra rivendicare con orgoglio i risultati dei loro passati governi, un elenco che cominciava (e perlopiù terminava pure) con un’espressione ricorrente: «Avanzo primario». Dalla crisi dei mutui alla crisi dell’euro, la retorica del rigore e dei «sacrifici» necessari avrebbe scandito tutta la lunga e non proprio trionfale marcia di quei gruppi dirigenti tra l’agonia dell’ultimo governo Berlusconi e la nascita del governo Monti, di cui Fornero, come tutti ricordano, fu un’importante ministra.
Se avessi più spazio, più tempo e meno malinconia, aprirei qui una lunga parentesi su come quegli stessi dirigenti avrebbero in seguito riscoperto in sé stessi e nella propria storia una radicalità di idee e di principi allora del tutto insospettabile, ma non voglio andare fuori tema.
E il mio tema è invece il legame strettissimo tra la retorica dei «sacrifici», del rigore e del «loden» (ricordate?) ai tempi dei tecnici chiamati a salvare la patria in pericolo, e la stagione dei populisti sbocciata subito dopo.
Legame testimoniato peraltro anche dal fatto che a propiziare e difendere l’avvento degli uni e degli altri siano state, in molti casi, le stesse identiche persone. Cioè sempre i dirigenti di cui sopra, ma anche buona parte dei commentatori e degli intellettuali più in vista, anche – se non soprattutto – di sinistra. Passati, nel breve volgere di una legislatura, dal vagheggiare la dittatura dei professori, gridando «tutto il potere ai competenti», al deprecare la sinistra della Ztl, prigioniera dei salotti e delle élite. Avendo a suo tempo molto criticato la scelta di far nascere il governo Monti e anche il modo in cui il Partito democratico di Pier Luigi Bersani decise di accompagnarlo e difenderlo fino all’ultimo, proprio mentre il Movimento 5 stelle passava giustappunto dal 5 al 25 per cento, e la moribonda Lega di Matteo Salvini si metteva subito in scia, avrei sperato che su quelle decisioni e sulle loro conseguenze si aprisse prima o poi un dibattito, una riflessione, un ragionamento che permettesse a tutti (non solo alla sinistra) di fare almeno un piccolo passo avanti. Il dibattito sui «sacrifici» di questi giorni, a ottobre del 2024, tra l’attuale presidente del Consiglio e la leader del principale partito di opposizione dimostra quanto una tale speranza fosse infondata.