Giustizialisti? Solo garantisti non ancora scoperti, direbbe quello.

Segnalo qualche numero ufficiale raccolto dal Foglio per capire come sta andando l’alta velocità in Italia.

10 ott 2024 lettere Diettore lfoglio.it lettura3’

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - E’ finita a pagina 13 del Fatto quotidiano (con richiamo quasi invisibile in prima) la notizia della condanna a 8 mesi dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro per non aver depositato elementi favorevoli agli imputati nel processo Eni-Nigeria. Pagina 13 su 20. Un breve articolo, siglato G.B. (Gianni Barbacetto), che si conclude così: “De Pasquale fu il pm che riuscì a ottenere le condanne per Bettino Craxi (per corruzione, per le tangenti Eni-Sai) e per Silvio Berlusconi (per frode fiscale nei bilanci Mediaset)”. Ecco, appunto, e ho detto tutto…

Luca Rocca

I giornali di ieri sono in effetti un concentrato di divertimento. E oltre al Fatto c’è molto di più. Il Corriere della Sera, con il bravissimo Luigi Ferrarella, mette la notizia in prima pagina, ma prende le distanze dalla condanna al punto da suggerire al lettore di compiere un esercizio opposto a quello suggerito quasi ogni giorno dallo stesso giornale: è una condanna, sì, ma è in primo grado, non fatevi abbindolare, c’è tempo per capire se l’eroe De Pasquale ha davvero commesso qualcosa di sbagliato o no. E così, in prima pagina, Ferrarella tiene a precisare che le motivazioni della condanna di De Pasquale e Spadaro sono tesi dell’accusa, non del giudice che li ha condannati. Anche Repubblica mette la notizia in prima pagina ma l’implacabile Piero Colaprico, nel presentare la notizia, la condanna in primo grado, mette le mani avanti, ridimensiona il fatto, e dice, testualmente, che “la condanna è in primo grado, quindi potrebbe modificarsi”. Stessa storia la Stampa, che dedica alla notizia meno di un terzo di pagina, stando bene attenta a non dare nulla per scontato e a dare alla difesa ampio spazio per spiegare le sue ragioni. Come avrebbe detto un tempo forse Davigo, non esistono giustizialisti, esistono solo garantisti non ancora scoperti, e che per considerarsi tali hanno bisogno di fare i conti con il dolore provato nel parlare di un amico giustizialista improvvisamente condannato.

Al direttore – L’articolo di Andrea Giuricin (il Foglio 3-10) sul guasto nella stazione di Roma Termini di Fs, ha riportato al centro del dibattito politico lo stato della nostra infrastruttura ferroviaria nazionale e le criticità che ha evidenziato nel corso degli ultimi mesi, nonché la necessità urgente di interventi correttivi al riguardo. Detto stato di cose si è a sua volta intrecciato – quantunque solo casualmente, ovvio – a quanto i vertici del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane hanno confermato al Forum Ambrosetti di Cernobbio, svoltosi a settembre: ovverosia che nel cda dell’impresa è in corso la valutazione di aprire ai privati alcuni rami del Gruppo, in particolare l’Alta velocità. Della privatizzazione di parte del Gruppo FS si discute da tempo, per la verità, ed è una prospettiva per la quale è giusto lavorare nell’interesse dell’impresa e del paese; inoltre, come scrive Andrea Giuricin, rappresenta anche l’ipotesi quadro per ottimizzare le stesse azioni correttive di breve e medio termine finalizzate al superamento di parte delle criticità operative e gestionali ultimamente venute alla luce. Nondimeno, si pongono due nodi problematici. E’ evidente che la complessità del tema privatizzazione Fs richiede una tempistica di esame e avvio del progetto che sarà – a detta dei vertici del Gruppo ferroviario – di medio periodo: due o tre anni; questo vuol dire che si viene a sovrapporre alla fase conclusiva della legislatura politica in corso, prevista per il 2027. Il rischio è che la parziale privatizzazione del Gruppo FS diventi oggetto di contesa e scambio politico-elettorale. Vedremo se il rischio sarà evitato. L’altro nodo è quale rapporto la privatizzazione di Fs deve avere con una politica industriale nazionale che il governo, però, stenta a definire e far decollare, in una fase storica che vede: da un lato, la necessità di trarre qualche utile lezione dalla riflessione autocritica in corso in analoghe esperienze all’estero (vedi il caso inglese) circa una privatizzazione hard delle imprese ferroviarie; dall’altro lato, l’urgenza che ogni progetto di privatizzazione di imprese nazionali si raccordi sul piano europeo con quello che potrebbe diventare il quadro di riferimento del programma politico-economico della Commissione europea, ovverosia il Rapporto Draghi sulla competitività, per una politica industriale europea integrata.

Alberto Bianchi

Segnalo qualche numero ufficiale raccolto dal Foglio per capire come sta andando l’alta velocità in Italia. Puntualità dell’alta velocità dal 2017 a oggi, dove per puntualità si considera un ritardo inferiore ai dieci minuti. 2017: 76,8 per cento. 2018: 68,8 per cento. 2019: 77,9 per cento. 2020: 70,6 per cento. 2021: 83,5 per cento. 2022: 78 per cento. 2023: 76,9 per cento. 2024: 74,8 per cento. Anche se sono forse inferiori rispetto a quella che è la percezione comune, i problemi ci sono. Lo dicono i numeri: urge fare presto i conti con la realtà.

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