URLANDO CONTRO ORCEL! IL GOVERNO TEDESCO ANNUNCIA CHE NON VENDERA’ PIÙ AZIONI DI COMMERZBANK PER IL MOMENTO
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E COSÌ SBARRA LA STRADA A UNICREDIT SALITA AL 9% DELLE AZIONI DELLA BANCA TEUTONICA – IL MESSAGGIO DI BERLINO E' CHIARO ED E' POLITICO
21.9.2024 dagospia.com lettura3’
- L’INVERSIONE A U DI SCHOLZ DOPO LA PRESSIONE DEI SINDACATI TEDESCHI, CHE, COME DAGO DIXIT, TEMONO UNA PESANTE SFORBICIATA AI POSTI DI LAVORO. ANCHE PERCHÉ LA GERMANIA VIVE UNA CRISI ECONOMICA PESANTE, COME DIMOSTRA IL CASO VOLKSWAGEN, CHE MINACCIA DI FARE FUORI 15 MILA DIPENDENTI...
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STOP DAL GOVERNO TEDESCO A VENDITA ALTRE QUOTE COMMERZBANK
(ANSA) Il governo federale decide di non vendere più azioni di Commerzbank per il momento. Nella riunione del 20 settembre, si legge in una nota, il comitato direttivo interministeriale responsabile delle decisioni chiave del Fondo di Stabilizzazione dei Mercati Finanziari ha deciso che non venderà, fino a nuovo avviso, ulteriori azioni a seguito della vendita parziale di azioni di Commerzbank. "La strategia della banca è orientata all'indipendenza" e "il governo federale la accompagnerà fino a nuovo avviso mantenendo la sua partecipazione azionaria".
IL VAFFA DELLA GERMANIA ALL’EUROPA
Luciano Capone e Carlo Stagnaro per "Il Foglio" – Estratti
(…) Ieri il governo tedesco ha comunicato la decisione di non vendere ulteriori azioni di Commerzbank dicendo in una nota che “la strategia della banca è orientata all'indipendenza" e "il governo federale la accompagnerà fino a nuovo avviso, mantenendo la sua partecipazione azionaria". Sembra un'inversione a U, dopo l'annuncio di inizio mese sulla riduzione della partecipazione che sembrava preludere a un'uscita da Commerzbank. Dopo che la tranche ceduta tra il 10 e l'11 settembre è stata acquistata da Unicredit, tutto è cambiato.
E’ comprensibile che vi sia un dibattito a Berlino, soprattutto in un momento di debolezza e incertezza politica che vive il governo Scholz. Ma il “sovranismo bancario” è un atto autolesionistico, non solo e non tanto per le implicazioni positive che la fusione avrebbe sul sistema finanziario tedesco ed europeo, ma anche e soprattutto perché darebbe un’altra picconata alle regole che faticosamente abbiamo costruito e condiviso.
Regole di cui spesso la Germania ha chiesto (giustamente) l’applicazione puntuale e che l’Italia ha (malamente) svicolato, ma che oggi sono proprio i tedeschi a calpestare con le proprie reticenze.
Non è questione di “interesse nazionale”, che spesso non coincide affatto con l’interesse della classe politica al governo. Gli italiani lo sanno benissimo. Quando la Germania pretende maggiore disciplina fiscale sta perseguendo, oltre al proprio, anche l’“interesse nazionale” italiano, impedendo a un paese indebitato come il nostro di sfasciare ulteriormente il proprio bilancio.
Le clausole volute da Berlino nel nuovo Patto di Stabilità, che comportano tra le altre cose una riduzione del debito pubblico di almeno 1 punto percentuale all’anno, sono state viste in Italia come una sorta di atto ostile. In realtà indicano un obiettivo minimo che Roma dovrebbe perseguire autonomamente, senza viverlo come un’imposizione esterna.
(…) Quali sono le motivazioni di un’opposizione al matrimonio Unicredit-Commerzbank? Ci sono le comprensibili preoccupazioni da parte dei sindacati per eventuali tagli al personale, ma la politica non può usare questi timori come pretesto per impedire una legittima e importante operazione di mercato. In fondo, i timori dei licenziamenti erano la stessa motivazione sollevata in Italia per chiedere di bloccare la vendita della compagnia aerea statale Ita Airways alla tedesca Lufthansa.
Per fortuna, anche dei contribuenti italiani, il governo di Roma non ha ascoltato queste sirene politico-sindacali. Sui giornali sono state sollevate preoccupazioni per l’esposizione della Germania verso l’Italia che la fusione potrebbe comportare, quindi sulla solidità finanziaria di Unicredit dopo l’acquisto di Commerzbank.
Gli ultimi dati congiunturali confermano che l’economia cinese sta attraversando una fase critica, con inevitabili ripercussioni a livello globale. Il prodotto interno lordo cinese dovrebbe aumentare quest’anno meno del 5 per cento fissato dal governo. I principali istituti di ricerca stimano un graduale rallentamento nel resto del decennio.
Tra i fattori sottostanti alla performance deludente non c’è solo la demografia. Diversamente dalla maggior parte dei paesi avanzati, la crisi del Covid non è stata affrontata in Cina con un massiccio sostegno pubblico a favore delle famiglie.