Il giorno dell’ira di Guido Crosetto: «Se Giorgia Meloni non si fida più me ne vado»
- Dettagli
- Categoria: Italia
Il ministro minaccia le dimissioni dopo gli attacchi sulla sua testimonianza con Cantone. I rapporti con l’Aise e la nota di Mantovano. I retroscena sulle mele marce e l’assenza di nomi nella denuncia
19.9.2024 - 05:35 di Alessandro D’Amato open.online lettura3’
Guido Crosetto è pronto a lasciare l’incarico di ministro della Difesa del governo Meloni. Anche se il rapporto con la presidente del Consiglio «è saldo e costante nella franchezza reciproca che non è mai mancata». Ma se la fiducia di Giorgia Meloni venisse meno lui sarebbe pronto ad andarsene. Il giorno dell’ira non risparmia i giornalisti: «È schifato da un certo modo di fare informazione». Mentre alcuni «centri di informazione e commentatori, magari legati a interessi e poteri specifici, vogliono mettere in ridicolo» l’esecutivo. Cercando di screditarlo a ogni occasione. Ma lui «sorride di chi cerca di mettere zizzania con la premier, «alla ricerca di crepe e al fine di inventare spaccature nel governo che in realtà non esistono».
Il giorno dell’ira del ministro Crosetto
Tutto parte da sabato 14 settembre. Il Fatto Quotidiano pubblica il verbale della testimonianza di Crosetto davanti a Raffaele Cantone, procuratore capo di Perugia. Il ministro si lamenta di alcune notizie uscite su Domani che riguardano il concorso della moglie tra 2019 e 2020 per entrare nei servizi segreti. E la storia di una casa di proprietà del figlio dell’imprenditore Carmine Saladino in cui il ministro sta abitando senza pagare l’affitto. Perché «i lavori di ristrutturazione pattuiti non sono terminati», è la motivazione che dà il ministro. E c’è anche la storia dei 124 mila euro incassati da presidente dell’Associazione Imprese Settore Difesa, dalla Sio, società del settore intercettazioni in seguito acquisita da Saladino. Secondo Crosetto le informazioni finite sui giornali provengono proprio dall’intelligence italiana. Che si starebbe vendicando.
I rapporti tra il ministro e l’Aise
Per cosa? Nel verbale con Cantone il ministro sostiene di essersi spesso lamentato per la mancata condivisione di informazioni di sicurezza nazionale con il suo dicastero. E aggiunge che ha provato una certa ostilità in occasione di nomine in società pubbliche o partecipate che non hanno privilegiato gli ex 007. Poi punta il direttore dell’Aise, il generale Gianni Caravelli. Lo accusa di non avergli fatto sapere nulla delle sue segnalazioni riguardo le fughe di notizie che secondo lui lo hanno coinvolto. Anche se poi a verbale dice che gli accertamenti sono stati sicuramente svolti, ma lui non ne conosce l’esito. Gli accertamenti alla fine li chiede Cantone con una lettera ad Alfredo Mantovano. La risposta che arriva alla procura è chiara: il coinvolgimento degli organismi di intelligence interni è escluso.
La nota di Mantovano
Il giorno della pubblicazione dell’articolo del Fatto con il suo verbale il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti Mantovano manda ai media una nota in cui elogia Caravelli e gli uomini dei servizi segreti per i servigi che stanno rendendo al paese. Senza mai nominare né Crosetto né il pezzo sul suo verbale. Quando l’opposizione comincia a parlare di una frattura nel governo, il ministro interviene e dice che la nota di Mantovano era concordata con lui e che lui aveva detto le stesse cose una settimana fa. Ma nel frattempo lo convocano al Copasir. E lui finisce ancora di più nella bufera. Per questo oggi La Stampa e La Repubblica lo dipingono come pronto alle dimissioni. E lui ha deciso di «limitare al massimo le sue uscite pubbliche».
I retroscena
Nel frattempo però escono i retroscena con i suoi virgolettati. «Sono stupito e incredulo, mistificata la realtà», fa sapere a proposito di chi parla di uno scontro istituzionale tra Palazzo Chigi e la Difesa. E poi, a proposito delle voci di una rottura con Meloni e Mantovano, arriva la minaccia di dimissioni: «Ove mai si ritenesse privo di fiducia e stima, nel governo, dal suo vertice fino al partito cui si onora di appartenere, pur nelle differenze delle storie e dei percorsi personali, ne trarrebbe le conseguenze». Purtroppo, come spesso accade, alle denunce e alle minacce mancano i nomi. Crosetto stesso ha parlato di «mele marce» in un raccolto sano riferendosi agli 007. Ma intanto smentisce di aver tirato in ballo l’ex direttore dell’Aise Luciano Carta, «il quale si è giustamente risentito» per essere stato nominato nel pezzo del Fatto.