Lavoro. Gli italiani lavorano di più con Garibaldi o con Meloni?
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Secondo la presidente del Consiglio, dall’Unità d’Italia non ci sono mai stati così tanti occupati come oggi. Abbiamo controllato se è vero e se questo confronto ha senso
5.9.2024 di Carlo Canepa, Pagella Politica.it lettura5’
Il 2 settembre, ospite a 4 di sera su Rete 4, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che il numero di occupati in Italia è il «più alto da quando Giuseppe Garibaldi ha unificato l’Italia». Sarà vero oppure c’è stato un periodo della storia italiana con più lavoratori rispetto a oggi?
Vediamo che cosa dicono le statistiche e, soprattutto, capiamo perché bisogna stare attenti a fare i confronti con il passato, che hanno senso fino a un certo punto.
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Il record degli occupati
Partiamo dai dati più recenti. Secondo Istat, a luglio 2024 c’erano poco più di 24 milioni di occupati in Italia: per la precisione, 24 milioni e novemila. Questo è il numero più alto mai raggiunto da gennaio 2004, ossia dal primo mese per cui sono disponibili i dati mensili sugli occupati confrontabili tra loro. A luglio il tasso di occupazione nella fascia tra i 15 e i 64 anni di età era al 62,3 per cento: anche questa percentuale è la più alta mai registrata da gennaio 2004.
Come mostra il grafico, la crescita degli occupati non è un fenomeno iniziato con l’attuale governo, ma è in corso da tempo: la risalita è partita nel 2021, durante il governo Draghi, ed è proseguita con il governo Meloni, che si è insediato il 22 ottobre 2022.
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Che cosa stiamo misurando
Ricordiamo che Istat considera come “occupato” chi ha tra i 15 e gli 89 anni e rispetta almeno una tra le seguenti condizioni: dichiara di aver svolto almeno un’ora di lavoro retribuita nella settimana in cui viene intervistato; è temporaneamente assente dal lavoro, per esempio perché in ferie, in malattia o in congedo parentale; ha un lavoro stagionale, ma continua a svolgere regolarmente compiti necessari al proseguimento della sua attività; oppure è temporaneamente assente da lavoro per altri motivi, ma al massimo per tre mesi. Per essere considerato “occupato” non è necessario aver firmato un contratto di lavoro: per questo motivo i dati Istat sugli occupati comprendono anche chi ha un lavoro irregolare.
Il parametro dell’ora di lavoro retribuita è uno standard internazionale, usato dagli istituti di statistica dei principali Paesi al mondo per monitorare il mercato del lavoro. In Italia meno del 2 per cento degli occupati lavora meno di dieci ore alla settimana.
Il tasso di occupazione, invece, è il rapporto tra il numero degli occupati in una fascia di età e l’intera popolazione in quella fascia d’età. Spesso ha più senso guardare al tasso di occupazione piuttosto che al numero di occupati, perché il tasso di occupazione tiene conto delle variazioni demografiche. Basti pensare che, come si vede dal grafico successivo, il numero di abitanti in Italia è costantemente aumentato dall’Unità d’Italia in avanti, salvo alcune eccezioni: 120 anni fa gli abitanti del nostro Paese erano 26,3 milioni, un numero pari a quasi tutti gli occupati di oggi, mentre a inizio 2024 erano quasi 59 milioni. È normale quindi aspettarsi che con il passare dei decenni sia aumentato il numero degli occupati banalmente perché è aumentato il numero degli abitanti, al di là delle trasformazioni della società da un punto di vista economico.
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Il confronto con il passato
Perché le statistiche di Istat sugli occupati iniziano dal 2004? Qui è importante capire come sono raccolti i dati.
Prima del 2021, quando è entrato in vigore un nuovo regolamento europeo, era considerato “occupato” anche chi rientrava in altre casistiche, per esempio chi era in cassa integrazione per più di tre mesi e manteneva una retribuzione pari almeno al 50 per cento della sua normale retribuzione. Poi le regole sono cambiate e Istat ha ricostruito all’indietro i dati fino a gennaio 2004, per consentire di fare confronti nel tempo con gli stessi criteri.
Come spiega l’istituto nazionale di statistica, sul suo database sono disponibili sia i dati annuali sugli occupati sia quelli sul tasso di occupazione dal 1977 al 2020, ma questi sono stati calcolati con i criteri precedenti a quelli entrati in vigore al 2021. In questo periodo di tempo non sono mai stati raggiunti né i 24 milioni di occupati né il 62 per cento di tasso di occupazione, ma – lo ripetiamo con le parole di Istat – questi numeri «non sono coerenti con il nuovo regolamento» per il conteggio degli occupati e quindi non si può fare un confronto preciso con gli anni più recenti.
Istat mette a disposizione anche le serie storiche ricostruite sul numero di occupati dal 1959 al 2015. Anche in questo caso non c’è mai stato un anno in cui sono stati raggiunti i 24 milioni di occupati. E andando ancora indietro nel tempo, che numeri abbiamo a disposizione?
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Quanto si lavorava con Garibaldi
Istat è nato quasi cento anni fa, nel 1926, quando l’economia e il mondo del lavoro italiani erano molto diversi da quelli attuali, così come la raccolta dei dati.
Sul sito dell’istituto nazionale di statistica sono disponibili le serie storiche con i dati dei censimenti generali sulla popolazione fatti, ogni dieci anni, dal 1861 (anno dell’Unità d’Italia) al 2011. Per quanto riguarda l’occupazione, questi censimenti contengono al massimo i numeri sulla “popolazione attiva” e sulla “popolazione attiva in condizione professionale”. «La “popolazione attiva” comprende gli occupati, i disoccupati (fino al 1971 anche i temporaneamente inabili al lavoro) e le persone in cerca di prima occupazione», spiega Istat. «La “popolazione attiva in condizione professionale” esclude dal computo le persone in cerca di prima occupazione». Come detto, oltre cento anni fa l’Italia era un Paese radicalmente diverso da un punto di vista economico anche solo da quello che sarebbe diventato pochi decenni successivi. Nel 1861 l’Italia era un Paese prevalentemente agricolo, con una struttura economica e sociale diversa da quella odierna, caratterizzata da una industrializzazione limitata.
Detto questo, nel 1861 la popolazione attiva in condizione professionale contava circa 15,5 milioni di persone, cresciute a quasi 16 milioni nel 1871, a 16,1 milioni nel 1881 e a 16,7 milioni nel 1901 (nel 1891 il censimento non è stato fatto «per motivi di ordine organizzativo-finanziario»). I 24 milioni sono stati superati solo nel 2011, ma dentro a questo numero – come abbiamo visto – non rientrano solo gli occupati, quindi anche in questo caso il confronto non si può fare. Per questo, sottolinea Istat, bisogna avere «una particolare cautela nelle comparazioni temporali a causa dei numerosi cambiamenti che si sono succeduti nei metodi e nelle classificazioni di riferimento».
«I primi censimenti non effettuavano alcuna distinzione tra occupati e disoccupati, ma si limitavano a raccogliere informazioni sul complesso di quella che solo successivamente è stata denominata “popolazione attiva in condizione professionale”. In effetti, l’obiettivo iniziale era soprattutto quello di rilevare la professione svolta, mentre altre informazioni quali quelle relative alla condizione e alla posizione professionale, oggi ampiamente utilizzate nell’analisi del mercato del lavoro, sono state introdotte solo in epoche successive», sottolinea l’istituto nazionale di statistica in un approfondimento dedicato a come è cambiata nel tempo la raccolta dei dati sugli occupati. «Gli occupati e i disoccupati rimasero un unico aggregato fino al 1971, sebbene nelle diverse tornate censuarie siano stati introdotti alcuni approfondimenti».